Paralizzata da cinque anni torna a camminare grazie all’impianto di un neurostimolatore midollare

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    L’operazione è stata eseguita all’ospedale San Raffaele di Milano, su una e donna di 32 anni vittima di un incidente sportivo che l’ha costretta in carrozzina da cinque anni

    Una donna con paralisi delle gambe è riuscita a recuperare il movimento attraverso l’impianto di un neurostimolatore midollare. La giovane, 32 anni, vittima di un incidente sportivo che le ha causato una lesione del midollo spinale, ora è in grado di restare in piedi e di camminare con l’ausilio di un deambulatore. L’intervento, il primo di questo genere in Italia, è stato eseguito all’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano (Gruppo San Donato), dal team di neurochirurghi guidato dal professor Pietro Mortini, primario di Neurochirurgia e ordinario presso l’Università Vita – Salute San Raffaele, in collaborazione con un gruppo di ingegneri dell’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa diretto dal professor Silvestro Micera, esperto di fama internazionale.

    Questi ultimi sono gli stessi, per intendersi, che hanno collaborato con il gruppo del Politecnico di Losanna (Epfl), guidato dal professor Grégoire Courtine, nella sperimentazione con la quale a fine 2021 tre persone paralizzate erano tornate a camminare, nuotare e pedalare grazie a elettrodi impiantati nel midollo spinale. Il 24 maggio scorso, poi, l’equipe del professor Courtine è stata protagonista di un ulteriore, sbalorditivo, risultato che ha consentito a Gert-Jan Oskam, 40 anni rimasto paralizzato 12 anni fa in un incidente con la bicicletta, di camminare di nuovo in modo naturale, sia pure per brevi distanze e con l’aiuto di una stampella, grazie a una nuova tecnica descritta sulla rivista scientifica Nature.
    Risultati brillanti dopo quattro settimane

    «In Italia, i protocolli per la sperimentazione non consentono ancora di effettuare la neurostimolazione per le lesioni cervicali (come quella subita da Oskam, ndr) — spiega il professor Mortini — . I Comitati etici ospedalieri autorizzano la procedura soltanto per le lesioni più “basse”. Il dispositivo impiantato è simile a quello che si utilizza nella terapia della stimolazione in caso di dolore cronico. In più, abbiamo la possibilità di programmarlo in modo tale da ottenere risultati brillanti: dopo quattro settimane la paziente cammina, con l’ausilio di un deambulatore». La donna sta ancora eseguendo con ottimi risultati, un complesso percorso riabilitativo definito da Sandro Iannaccone, primario dell’Unità di Riabilitazione disturbi neurologici cognitivi- motori.
    In che cosa consiste l’intervento

    Il dispositivo impiantato si compone di due parti: un supporto biocompatibile per 32 elettrodi che viene inserito nello spazio epidurale della colonna vertebrale, e un generatore di impulsi, (una sorta di pacemaker) simile a quelli utilizzati nei pazienti con aritmie cardiache, introdotto sotto la pelle a livello dell’anca. Gli impulsi vengono erogati al midollo spinale da dove poi transitano ai nervi e ai muscoli.

    L’impianto del dispositivo è avvenuto in circa 3 ore, attraverso un delicato intervento neurochirurgico mininvasivo, eseguito in monitoraggio neurofisiologico continuo. Il pacemaker è stato poi programmato per garantire l’attivazione coordinata di tutti i muscoli necessari alla deambulazione. Il controllo delle funzioni dello stimolatore è possibile grazie a una serie di opzioni funzionali che possono essere scelte dalla paziente in base alle necessità locomotorie della vita quotidiana.
    La qualità della vita dopo l’intervento

    Fin qui, il percorso descritto da un punto di vista «tecnico». Ma che cosa accade ad un paziente che si è sottoposto ad una procedura simile? Qual è la sua qualità di vita? «Come detto — risponde il primario di Neurochirurgia del San Raffaele — , i pazienti devono innanzitutto affrontare un programma di riabilitazione particolare a tappe successive: camminare su una superficie piana, poi salire le scale e così via. E gli stimolatori vengono “settati” proprio a questo scopo. Quindi c’è una dipendenza per così dire da un software esterno, che però ormai sta diventando sempre più elaborato e sempre più sofisticato. Anche il device è miniaturizzato. La qualità di vita, dunque, è sicuramente migliore di prima: non dimentichiamo che. nel nostro caso, una persona di 32 anni e da cinque sulla sedia a rotelle adesso può camminare».
    Assistenza psicologica e dieta

    Si tratta dunque di un percorso lungo e delicato, che necessita di un approccio multidisciplinare. Oltre a neurochirurghi, ingegneri e riabilitatori sono coinvolte anche professionalità che si occupano degli aspetti psicologici e nutrizionali. «A volte i pazienti vanno assistiti anche da questo punto di vista. Noi ci siamo attrezzati e offriamo loro il supporto di cui possono avere bisogno», aggiunge il professor Mortini.
    Gli sviluppi futuri

    Che cosa accadrà adesso? Spiega il professor Piero Mortini: «Stiamo conducendo un protocollo di ricerca clinica avanzata, coordinato dal mio collaboratore, dottor Luigi Albano, al termine del quale questo intervento potrebbe entrare nella pratica clinica corrente, offrendo una soluzione terapeutica ai pazienti con lesioni midollari».

    «Il prossimo passo — chiarisce — sarà trattare anche lesioni del midollo spinale determinate da malattie neurodegenerative, come la sclerosi multipla, nei pazienti che verranno reclutati dall’Unità di Neurologia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, diretta dal professor Massimo Filippi». Questo protocollo è parte di un programma di ricerca avanzata che Università Vita-Salute San Raffaele e IRCCS Ospedale San Raffaele hanno attivato per sviluppare terapie innovative che si avvalgono di un’interfaccia tra dispositivi elettronici e sistema nervoso centrale per vicariarne le deficienze funzionali.
    L’importanza della formazione

    Ma c’è anche un altro aspetto fondamentale, di cui tenere conto. «Siamo all’inizio di una strada che può condurre a grandi risultati in tempi relativamente rapidi con una tecnologia che è collaudatissima e costi sostenibili. Se vedo una criticità nel futuro non è lo sviluppo tecnologico, su questo sono estremamente ottimista, ma il “capitale umano”: ci vogliono ingegneri, riabilitatori, persone che poi assistano i pazienti e quindi la formazione è fondamentale. Università e Istituti di ricerca impiegano anni per avere le persone qualificate. Questo è un progetto di ampio respiro. Occorre perciò creare anche dei programmi di formazione specifica per tutto questo nuovo capitolo della Neurochirurgia che si sta aprendo», conclude il professor Mortini.
     
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