5 lavori che danneggiano il cervello

Sotto stress si produce troppo glutammato

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    Ci sono dei lavori che intossicano il cervello, che fanno male. E la cura (o la prevenzione, se vogliamo) non può che essere il riposo, la possibilità di staccare, non solo di rispettare i turni di lavoro e riposi ma anche di prendersi pause aggiuntive.
    In tutti coloro che lavorano sotto pressione, impegnati in un continuo contesto decisionale, in compiti di grandi responsabilità e multitasking, gli scienziati dell’Icm di Parigi - l’Istituto del cervello che fa capo alla facoltà di medicina dell’Università della Sorbona - hanno rilevato che l’uso prolungato della memoria, momenti di grande concentrazione e sistematici sforzi cognitivi in certi mestieri e professioni possono provocare danni al cervello.
    La molecola nel mirino
    Tutta colpa del glutammato. Sotto stress, tutti infatti ne produciamo. In condizioni normali e quando i compiti cognitivi sono intervallati, oppure col sonno, esiste un meccanismo spontaneo di eliminazione che regola il livello di glutammato, sostanza che nel cervello funge da neurotrasmettitore trasferendo le informazioni da una cellula all’altra. Ma in caso di saturazione, questa molecola si accumula a livello delle sinapsi – le zone di contatto tra due neuroni – e, in una concentrazione troppo elevata, diventa dannosa, impedendo la normale attivazione e il corretto funzionamento della corteccia prefrontale laterale, col risultato che i segnali da inviare alle cellule nervose risultano alterati. Col risultato di arrivare ad influire negativamente sul processo decisionale delle persone.
    Le scansioni cerebrali
    Secondo l’indagine svolta dall’Icm, che ha sottoposto a scansioni cerebrali 40 persone in diversi momenti della loro vita lavorativa, questo fenomeno interessa 5 categorie ben precise di lavoratori e professionisti: si tratta di medici (e innanzitutto) chirurghi, autisti di autobus, piloti di aereo, controllori di volo e giudici di tribunale.
    Nel cervello di queste persone, infatti, i ricercatori dell’Icm, hanno notato un accumulo di glutammato ben più rilevante rispetto ad altri mestieri. E si tratta di professioni chiamate costantemente a prendere decisioni cruciali, che per effetto dell’eccessivo affaticamento rischiano di commettere errori che possono poi impattare notevolmente sulla vita delle altre persone se non si rispettano i turni di riposo e le adeguate ore di sonno necessarie al cervello per disintossicarsi. Insomma, per evitare contraccolpi, tutte queste figure dovrebbero godere di riposi aggiuntivi. Questo perché quando il cervello è stanco la tendenza è di prendere decisioni a basso sforzo, che non sempre sono corrette. Per cui diventa difficile fidarsi della prontezza di riflessi di un autista di pullman o ancora peggio di un pilota d’areo, per non parlare di un chirurgo che potrebbe commettere errori durati un intervento, anche il più semplice.
    Dormire aiuta, serve a rigenerare, ma non basta. Secondo un altro studio condotto in più anni dall’Università di Tolosa in Francia e Swansea in Galles, comunque, in generale anche turni di lavoro e riposi irregolari possono danneggiare il cervello. In questo caso i ricercatori hanno esaminato un campione di 3 mila lavoratori, tra attivi e pensionati di varie fasce di età, impiegati in diversi settori e residenti in varie regioni della Francia. Circa la metà del campione lavorava su turni almeno 50 giorni all’anno, alternando il turno di lavoro di mattina a quelli di pomeriggio o notte.

    Effetti negativi
    I risultati della ricerca hanno rivelato che bastano anche due mesi scarsi all’anno di lavoro a ritmo irregolare per produrre un effetto negativo sulle facoltà cognitive delle persone, in particolare difficoltà di concentrazione e minore capacità di memorizzazione. Con almeno 10 anni di orari irregolari alle spalle, invece, dallo studio emerge che il cervello di queste persone risulta invecchiato di ben sei anni e mezzo in più rispetto a chi invece rispetta i normali ritmi circadiani giorno/notte. In questi casi si registra un calo della memoria e della facilità di ragionamento, funzioni che si recuperano – guarda caso – 5 anni dopo che si è smesso di lavorare.
     
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