Mamma Lucia Apicella

Una storia piena di umanità. Sulle montagne di Cava dei Tirreni, a pochi chilometri da Salerno

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    Lucia Pisapia Apicella era la settima e ultima figlia di Maria Carmela Palumbo e Francesco Pisapia, un commerciante di legname. Due anni dopo la sua nascita, la madre morì e il padre si risposò con una sorella minore di Maria Carmela, da cui ebbe altri cinque figli. Lucia frequentò la scuola elementare soltanto fino alla terza classe. Fin da ragazzina mostrò un grande amore per gli sventurati recandosi nell’ospedale del suo paese per confortare gli ammalati, disubbidendo ai familiari che temevano contraesse la tubercolosi che, allora, prima della scoperta della penicillina era una malattia incurabile: per questa sua disubbidienza la chiamavano “la briganta”.

    A Giuseppe Marotta, nel gennaio 1952, raccontò: “Grandicella, quando non ero in chiesa ero al telaio, per cinquanta metri di tela il mercante pagava cinque lire. Non ricordo, non mi spiego come mi affezionai all’ospedale, ci andai una volta e non ebbi più l’animo di staccarmene. Portavo biscotti e arance ai ricoverati, facevo iniezioni, assistevo gli agonizzanti; è brutto che il moribondo cerchi inutilmente una mano sopra le coperte, vi giuro; ma in famiglia ne ebbi di rimproveri, per questo!”

    All’età di 25 anni, nel 1912, Lucia sposò il commerciante di frutta Carlo Apicella da cui ebbe due figli Vincenzo e Antonio. Carlo partecipò alla prima guerra mondiale, nella quale riportò gravi ferite. Passarono gli anni e un’altra guerra mondiale insanguinò l’Europa e questa volta, con lo sbarco degli alleati a Salerno l’8 settembre 1943 (Operazione Avalanche), proprio la piccola città di Cava dei Tirreni si ritrovò teatro di guerra. Sui monti circostanti si succedettero violenti scontri tra le truppe alleate e quelle tedesche. Dopo durissimi scontri i tedeschi dovettero indietreggiare, lasciando sul campo i caduti, mentre i vincitori inglesi e americani ebbero il tempo di raccogliere gran parte dei loro soldati morti.

    Finalmente il 28 settembre del 1943, dopo che diversi cittadini cavesi, tra cui anche bambini, erano stati uccisi dalle bombe e dalle rappresaglie tedesche, Cava fu liberata. Dalla fine della guerra fino alla legge del 9 gennaio 1951 n. 204, nessuno in Italia si occupò dell’esumazione dei cadaveri dei soldati tedeschi rimasti sul terreno alla mercé delle ingiurie degli elementi naturali e degli animali e dello sciacallaggio degli uomini. Lucia Apicella rimase sconvolta dalla vista di alcuni ragazzi che giocavano al calcio con il cranio disseppellito di un soldato ed ebbe in sogno la visione in una radura di otto croci abbattute e otto soldati, che l’imploravano di restituirli alle loro madri.

    “Come una semplice mamma” chiese al Comando alleato il permesso di “sistemare i cadaveri perduti”. Il Comando rispose che era competenza del sindaco di Cava. Lucia si rivolse allora al sindaco che, dopo aver a lungo tentato di dissuaderla, il 16 luglio 1946 le accordò il permesso e l’aiuto di due becchini.

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    Da quel giorno Lucia, accompagnata anche da una parente, Carmela Pisapia Matonti, si recò in tutti i luoghi in cui le segnalassero la presenza di cadaveri. Le ossa recuperate, ripulite dai brandelli di carne e lavate, furono sistemate in cassettine di zinco che Lucia commissionava a sue spese al fabbro del paese. Gli oggetti personali e i documenti che potevano favorire il riconoscimento del defunto venivano accuratamente catalogati e poi consegnati al Commissariato. A chi le chiedeva perché si desse tanta pena per dei nemici, Lucia rispondeva in dialetto: “Sempe figli ‘i mamma erano. E mente murevano accisi ’a mamma nun ’a manco tenevano avvicino”. I becchini ben presto si rifiutarono di seguire Lucia in un lavoro molto pericoloso: la zona era piena di bombe inesplose e i cadaveri avevano ancora nel cinturone le bombe a mano. Ma Lucia aveva fede e con le sue mani dalle lunghe dita nodose grattava delicatamente la terra estraendone i reperti.

    “A San Nicola Varco – racconta in un’intervista – nella proprietà Amendola, fui avvertita da un presentimento. L’uomo che avevo con me era padre di cinque creature, lo allontanai con un pretesto. E frugai con le unghie piano piano, finché liberai dal terriccio, prima dei tre militari che cercavo, due proiettili alti così”.

    Per reperire il denaro necessario per quella che ormai è divenuta una missione, la donna dà fondo alle scarse finanze familiari e non esita a togliere la lana dai materassi, orgoglio e dote delle donne meridionali perché i poveri dormivano sui “sacconi” imbottiti di foglie secche di granturco, per filarla e poi venderla. I soldi erano anche necessari a volte per indennizzare i contadini per il raccolto devastato dagli scavi nei loro campi. Le cassette funerarie erano conservate nella chiesetta di Santa Maria della Pietà detta di San Giacomo dove Lucia passava molto tempo a pregare e a piangere per quei poveri giovani così atrocemente e immaturamente defunti. Quando finalmente le autorità tedesche incominciarono a rimpatriare i loro caduti in Italia, in Germania si conobbe l’opera di Lucia e qualche mamma le scrisse per pregarla di ritrovare i resti dei loro figli: “Chella povera mamma, Carolina, ca po’ cunusciette a Germania, a casa soia, me screvette e me mannaie a pianta del posto addò era saputo ca ce stava sepolto Joseph, ’u figlio. U truvai e comme nun ’u truvaie!”.



    Alla fine delle operazioni di recupero mamma Lucia aveva trovato circa settecento corpi. A metà settembre 1951 Lucia viene invitata in Germania per il conferimento della Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Federale Tedesca e fu qui ricevuta con grande calore e acclamata come “Mama Luzia” e “Mutten der Toten”. In quell’occasione si recò a casa di Adam e Karolina Wagner genitori del caporale Joseph per restituire loro l’anello, il portasigarette e l’orologio del figlio caduto in battaglia a 22 anni e partecipare al dolore di quei genitori fu per Lucia, come racconterà lei stessa, l’esperienza più angosciante della sua vita. Nel 1959 ebbe l’onorificenza della Commenda al Merito della Repubblica e fu proclamata cittadina onoraria di Salerno. Gli ultimi decenni della sua lunghissima vita Mamma Lucia, come ormai veniva universalmente chiamata, li trascorse prendendosi cura della chiesetta di S. Giacomo e pregando per quei poveri giovani morti che diceva di avere adottato come figli.



    L’eco sulla stampa internazionale.
    Questa pietosa attività viene ben presto “scoperta” dalla stampa locale e poi dai giornalisti delle grandi testate e dei quotidiani e periodici tedeschi.
    ♦ “Il Mattino”, “L’Osservatore Romano” e “Il Corriere della Sera” raccontarono questa storia di vicinanza e prossimità che fa subito il giro del mondo. Lo stesso Papa Pio XII viene a conoscenza di quanto sta accadendo a Cava de’ Tirreni e dona a mamma Lucia una preziosa medaglia d’argento mentre nel settembre del 1951, in occasione dell’incontro con i genitori di Joseph Wagner, un caporale tedesco caduto sul campo di battaglia e ritrovato in un dirupo di montagna, viene conferita a mamma Lucia la Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Federale Tedesca.
    ♦ Radio Stoccarda trasmette un servizio in cui viene sottolineato che «un popolo che ha saputo dare al mondo una mamma Lucia merita tutto il nostro amore, tutta la nostra gratitudine e tutto l’onore di cui siamo capaci».

    Riconoscimenti.
    ♦ Nel 1959 Lucia Apicella riceve dal Presidente della Repubblica l’onorificenza di Commendatore della Repubblica Italiana e la città di Salerno la proclama cittadina onoraria.
    Mamma Lucia morirà a 95 anni nel 1982, ma per tutta la sua vita non smetterà di trasmettere ai giovani che l’amore non ha confini e che la pietà non si ferma davanti alle ideologie.
    ♦ Appresa la notizia l’allora Presidente Sandro Pertini scrive al primo cittadino di Cava de’ Tirreni: «La scomparsa di mamma Lucia colpisce dolorosamente quanti riconoscono nell’amore e nella solidarietà valori fondamentali per l’edificazione dell’uomo».
    (fonte: Avvenire.it, 19 gennaio 2020).

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    In mezzo al dolore, alla distruzione e alla morte è possibile trovare spazio per un semplice atto di amore? Un gesto puro, autentico e sincero? Se si pensa ad un periodo come quello del secondo conflitto mondiale e dell’immediato dopoguerra, diventa difficile trovare episodi simili. Eppure ci sono e sono lo specchio di una profonda umanità. Questa è la storia di Lucia Apicella (1887-1982), ricostruita grazie alla testimonianza della nipote Lucia.

    «Era guidata da una forza maggiore perché era una donna molto forte – ci dice la signora Lucia – Ha affrontato qualunque tipo di difficoltà ed è stata anche ritenuta folle». Con queste parole inizia il racconto di sua nonna, per tutti semplicemente Mamma Lucia.

    La sua storia inizia nel settembre 1943. Il giorno 8 fu annunciato l’armistizio con il quale l’Italia sperava di riuscire a sganciarsi dall’alleanza con la Germania. L’indomani, mentre l’esercito italiano si dissolveva e il re si rifugiava a Brindisi con il governo, gli angloamericani diedero inizio all’operazione Avalanche, lo sbarco a Salerno. Nei luoghi della battaglia si trovava il paese di Cava dei Tirreni. Qui viveva Mamma Lucia. La guerra passò anche da qui, lasciando numerosi caduti sul terreno tra alleati e tedeschi. E per molto tempo questi soldati rimasero senza una tomba, dimenticati nell’entroterra.

    Un giorno Mamma Lucia si svegliò dopo aver fatto un sogno strano: era su un monte della zona quando sulla cima le apparvero otto croci e assieme a queste otto giovani che le chiedevano aiuto. Il giorno dopo si recò sul posto sotto lo sguardo sorpreso dei compaesani e qui trovò ossa di soldati, già deteriorate dal tempo e dagli animali. Allora decise di raccoglierle, ripulirle e riporle dentro delle cassette di zinco. Se ci riusciva recuperava quando possibile le piastrine così da poter dare un nome ai corpi. Quando invece l’identità del caduto restava ignota, Mamma Lucia ne raccoglieva comunque i resti: è il caso del teschio di un soldato senza nome, diventato a Cava dei Tirreni il “milite ignoto”, prima custodito nella chiesa del paese e poi riposto nella tomba di Mamma Lucia.

    «La nonna non si fermava: per lei lo straniero non era l’altro, ma era uno di noi.- ci racconta la signora Lucia – Uno da amare, al di sopra di tutto e tutti. Lei ha raccolto tutti questi morti per anni, la maggior parte erano tedeschi ma c’erano anche angloamericani»

    «La nonna non si fermava: per lei lo straniero non era l’altro, ma era uno di noi.- ci racconta la signora Lucia – Uno da amare, al di sopra di tutto e tutti. Lei ha raccolto tutti questi morti per anni, la maggior parte erano tedeschi ma c’erano anche angloamericani». È difficile non restare sorpresi dalla bontà e dalla forza di questa donna capace di una generosità che pare quasi irreale nell’Italia appena uscita dalla guerra e ancora ferita da divisioni latenti. Eppure Mamma Lucia era così, una «donna vissuta fuori dal suo tempo».

    Bisogna ricordare che questa sua opera incontrò non poche difficoltà, personali e non. «All’inizio i primi corpi li teneva in casa, nascosti sotto il letto. Solo dopo ha pensato alle cassette di zinco. Poi mio nonno ne è venuto al corrente: era un socialista, completamente contrario alla moglie» ci spiega la signora Lucia. All’inizio non fu nemmeno aiutata, soprattutto per la paura di recarsi in luoghi con materiale bellico inesploso. Un timore che però non fermò Mamma Lucia, guidata e sostenuta da una fede forte e sincera.

    E proprio la sua dedizione a questa opera di bene non passò inosservata. Grazie ad un’amica che conosceva il tedesco, cercò di contattare le famiglie dei caduti tedeschi che si recarono a Cava dei Tirreni per recuperare le salme dei loro cari. Per il suo gesto nel 1951 ricevette la Croce dell’Ordine al merito della Repubblica Federale Tedesca dal presidente Theodor Heuss. Ma nonostante gli onori dalla Germania e dall’Italia, Mamma Lucia non si scompose e rimase quella che era, una donna molto umile. Ci spiega la nipote: «Lei è rimasta umile, lei era per tutti. Le volevano offrire la pensione. Mia nonna, che ha fatto questo per bontà, ha rifiutato tutto, non ha voluto mai niente da nessuno. La sua è stata un’opera di misericordia dettata proprio da un enorme senso di bontà verso tutti».

    La semplicità di Mamma Lucia si riflette nel suo desiderio di far conoscere la storia ai bambini: li portava con sé sulle colline e raccontava loro in modo chiaro ma profondo l’importanza del suo gesto. Un gesto compiuto non per eroismo, ma per amore verso quei morti e le loro famiglie che non avrebbero avuto altrimenti una tomba dove piangere i propri cari. Una bontà d’animo che l’ha accompagnata per tutta la vita e ha lasciato memoria: molti hanno infatti dichiarato di aver ricevuto dei miracoli e preso atto di ciò l’arcivescovo di Cava dei Tirreni ha dato il via al processo di beatificazione di Mamma Lucia. Inoltre la famiglia sta realizzando a Cava dei Tirreni un piccolo museo così che tutti possano conoscere la vicenda umana di una «donna straordinaria».

    Questa storia, nata in anni difficili, sembra volerci ricordare che spesso sono le cose più umili a dare i frutti più duraturi. Una testimonianza di amore che la nipote di Mamma Lucia non smette mai di ricordare: «Mia nonna era una donna semplice, molto semplice, una donna del popolo che ha fatto questa opera grandiosa».
     
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