Unfriended: Dark Web, recensione e trailer dell'horror di Stephen Susco

Matias e i suoi amici rimangono coinvolti in un gioco pericoloso che riguarda la rete oscura

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    Matias O'Brien accende un computer da poco acquistato e scopre che all'avvio viene richiesta la password di un account non suo. Dopo vari tentativi il ragazzo riesce a indovinare le credenziali e ad accedere al desktop, cominciando subito a lavorare su Papaya, un'applicazione sviluppata per dialogare con la sua ragazza Amaya, sordomuta: il programma infatti ascolta la voce di chi parla e scrive le frasi in chat.
    In Unfriended: Dark Web il protagonista inizia a ricevere messaggi per una certa Norah da qualcuno di nome Erica e, nel frattempo, inizia una videochiamata di gruppo con i suoi amici (l'esperto di tecnologie Damon, il complottista e star di YouTube AJ, la coppia formata da Serena e Nari e Dj Lexx).

    Il laptop però inizia a dare problemi e si riavvia costantemente e Matias pensa di riportarlo più tardi al chiosco degli oggetti smarriti dal quale lo ha prelevato, quando si imbatte in un messaggio sempre destinato a Norah riguardante il pagamento di un video; incuriosito, procede nella discussione col misterioso interlocutore dal nick Charon68. Sarà solo l'inizio di un incubo che vedrà il giovane e i suoi amici alle prese con il losco mondo della "rete oscura", nel quale anche Amaya potrebbe finire suo malgrado coinvolta.
    Non aprite quel messaggio

    Produce ancora Timur Bekmambetov, con la collaborazione di Jason Blum e la sua Blumhouse, cambia il regista (il georgiano Levan Gabriadze viene sostituito dallo sceneggiatore Stephen Susco, al suo esordio dietro la macchina da presa) ma non la formula, quella di riprendere l'intero film attraverso lo schermo di un computer. Dopo il clamoroso successo del primo capitolo, capace di incassare oltre 60 milioni di dollari contro il budget di uno solo, questo franchise horror si arricchisce di un ulteriore episodio e, stando alle dichiarazione dei realizzatori, è pronto a espandersi ulteriormente nei prossimi anni.
    Unfriended: Dark Web va contestualizzato in un genere che è difficile considerare come cinema vero e proprio, in quanto - seppur la storia sia frutto di finzione - il particolare stile di ripresa, di fatto assente nei suoi canoni classici, lo rende una sorta di curioso esperimento a tutto tondo, una specie di comunicazione totalizzante ed empatica con il pubblico che guarda.

    Sin dai primi istanti, con i titoli di testa rovinati da effetti di disturbo, veniamo trascinati nel mondo del web, non appena il protagonista riesce a indovinare la password per accedere al desktop: già da questo dettaglio è costruita parte del background, in quanto si comprende come il computer non sia effettivamente di sua proprietà.
    Catturato dalla rete

    Susco, anche autore dello script (in passato aveva già curato, tra gli altri, quelli dei remake hollywoodiani della saga di The Grudge e di Non aprite quella porta 3D), sa come gestire la vicenda dal punto di vista narrativo, riuscendo per l'appunto a raccontare di più dei personaggi attraverso l'utilizzo delle chat multiple che si riveleranno fondamentali per la risoluzione dell'enigma, che prende ben presto sentieri inquietanti e morbosi che tirano in ballo il mercato degli snuff movie. Unfriended: Dark Web riesce così a generare una notevole dose di tensione accompagnando il protagonista alla scoperta di indizi e misteri che finiscono inevitabilmente per coinvolgere il gruppo di amici (costantemente connessi in videochiamata) e la fidanzata sordo-muta, il cui handicap è più frutto di una scelta gratuita che realmente necessaria ai fini degli eventi.

    Tra teorie complottistiche, vagonate di bitcoin ben presto in ballo e colpi di scena che, soprattutto nell'ultima parte, conducono su percorsi sempre più macabri e di raggelante impotenza, i novanta minuti di visione riescono a coinvolgere quanto basta per una serata di mero intrattenimento di genere, anche se lo schematismo dell'insieme potrebbe risultare indigesto a certi palati cinefili, saggiamente o meno, ancorati a un'altra concezione artistica del media.
     
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