Alla scoperta del sesso

racconto erotico shota gay

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.  
    .
    Avatar

    Group
    Geniv's Supporter
    Posts
    212

    Status
    Sin dalle elementari con Franco eravamo diventati amici e giocavamo insieme quasi tutti i pomeriggi.
    La maggior parte dei nostri giochi erano, come di regola tra tutti i bambini, di finzione.
    Ma oramai, sulla soglia dei tredici anni, indiani e cowboys, eroi medievali e fantastici cominciavano a cedere il passo a giochi meno fantasiosi. Indubbiamente stavamo crescendo: io da parte mia cominciavo a pensare a come tirarlo dentro “giochini” che in quei tempi cominciavo a fare con i compagni di scuola; lui aveva sempre più frequentemente abbandonato automobiline, soldatini, e armi giocattolo per il pallone.
    Un pomeriggio d’autunno stavamo dunque tirando calci ad un pallone nel cortiletto di casa sua.
    Alternativamente uno stava in porta e l’altro calciava dei rigori, facendo la gara a chi faceva più goals.
    Nei miei tentativi di coinvolgerlo in altri giochi, in un momento nel quale toccava lui parare i miei tiri, dicevo “se sbaglio questo, mi sparo”. E, sapendo bene di non essere un gran calciatore (il gioco del pallone non mi è mai piaciuto), speravo che ad uno dei miei tiri clamorosamente fuori dalla zona fissata come porta, o tiratigli direttamente in mano, mi rispondesse “E adesso sparati”.
    Io gli avrei detto, allora. che non aveva capito bene, che intendevo dire che mi sarei sparato... una sega. Per invitarlo poi, semmai, a fare altrettanto.
    Ma lui non colse mai l’abbocco, e la situazione del mio sogno non si è verificata.
    Ciò nonostante il pomeriggio doveva ancora riservarmi delle sorprese.
    Per delimitare la zona della porta, avevamo individuato una griglia nella pavimentazione del cortile, lunga e stretta, che dava aria ad una sottostante cantina.
    Dopo un po’ che giocavamo con il pallone, e ci eravamo già sufficientemente annoiati, a Franco venne un guizzo di avventura: mentre giocherellava quasi da fermo col pallone in corrispondenza della griglia, notò che da essa saliva uno strano odore di umido e stantio. Allora propose:
    - Andiamo ad esplorare la cantina?
    Per quel che mi riguardava tutto era meglio che tirare calci ad una palla mezzo sgonfia, e aderii con entusiasmo.
    Abbandonata la palla in un angolo, Franco fece strada verso la porta che scendeva nelle cantine. Fortunatamente era aperta, così scendemmo una ripida e sbrecciata scala che ci portò in un corridoio a volta, fiocamente illuminato solo da piccole fessure protette da griglie.
    Le volte e gli spessi muri di mattoni ormai anneriti dal tempo risvegliavano quel desiderio d’avventura che aveva dato origine a tanti giochi.
    Ci aggirammo per un po’ tra corridoi fiocamente illuminati e porte chiuse, poi giungemmo ad una specie di salone più grande, al centro del quale pochi mobili finivano di consumarsi nell’umidità.
    A fianco di un enorme armadio nero di noce massiccio, una

    piccola sedia impagliata pareva messa lì proprio ad uso di visitatori stanchi e distrutti da una lunga visita in quella specie di museo delle cose che furono.
    Eravamo intanto giunti proprio nella sala la cui luce proveniva dalla griglia del cortile in cui fino a qualche tempo prima stavamo giocando.
    Franco si ferma e dice di riposarsi un po’; si siede sull’unica sedia, impettito.
    Io mi aggiro ancora un poco ad osservare quel vecchio mobilio abbandonato, ma lui mi invita:
    - Vieni qui a sederti: c’è una sola sedia, ma puoi sederti sopra le mie gambe.
    Pare quasi un nuovo gioco, uso lui come sedia, e mi siedo sulle sue ginocchia. Sono un po’ di traverso e mi dice di sedermi dritto poi, facendo finta di niente, sull’idea che io possa scivolare, mi cinge con le braccia.
    Mi stupisco ma non so cosa dire quando sento che le mani, adagio adagio scendono e mi stringono proprio lì.
    Dopo un primo momento di fastidio sento però che mi sta diventando duro, e le sue mani sicuramente se ne accorgono, si adattano alla nuova situazione, e anche senza apparire più di tanto, lo accarezzano nella sua posizione eretta e verticale.
    Io non so cosa pensare: me lo sta toccando!
    Intendo dire che lo sta volontariamente toccando: il suo palmo si appoggia a recepire completamente la forma della mia erezione, ogni tanto stringe un po’, forse a saggiare le dimensioni, altre volte scorre un po’ più in alto, probabilmente per determinarne la lunghezza; o ancora la seconda mano, appoggiata su quella che mi stringe il sesso che ormai pare quasi voler sfondare i pantaloncini, allunga verso il basso le dita ad accarezzarmi i testicoli sodi.
    Contemporaneamente sento sotto di me che anche a lui è venuto duro, e sento attraverso il doppio strato dei pantaloni la sua verga dura premermi contro il sedere.
    Dopo un po’ dice che comincia a sentire male alle gambe. Mi fa alzare, si alza anche lui, e vuole che mi metta io sotto, lui si siede sulle mie ginocchia al mio posto.
    Si dice che, invertendo l’ordine dei fattori, il risultato non cambi: in effetti ora sono io a toccare lui, esattamente invertendo i ruoli: e lo sento bello eretto, duro, sotto le mie dita che, facendo finta di nulla, si appoggiano subito al di sotto della sua cintura.
    Intanto il mio membro duro preme sul suo sedere esattamente come prima il suo premeva sul mio didietro.
    Se penso che era ormai molto tempo che, con una scusa o l’altra, speravo di poterglielo toccare! E ora che glielo sto toccando realmente, seppure attraverso i pantaloni, mi sento comunque un po’ turbato, titubante.
    Ciò non toglie che glielo tocchi come si deve: con il palmo della mano stringo la verga dura ed eretta verso l’alto, spostando leggermente le palme delle mani riesco a definire una lunghezza del fusto circa uguale alla mia, se stringo un po’ di più sento il suo corpo vibrare sopra il mio, scosso da un evidente piacere.
    Quando gli dico che mi fanno male le gambe e ci rialziamo in piedi, con mossa ostentata mi risistemo il pisello che deve risultare ben evidente da quanto preme sul tessuto dei pantaloni, ma lui, pur facendo la stessa operazione nei confronti del suo rigonfiamento - o forse proprio per quello - pare non avvedersene.
    D’altra parte si è fatto tardi, ed è ora di rientrare a casa.
    Già lungo il tragitto ripensavo a quanto era successo: mi sentivo ancora sul membro, che pareva non volesse più perdere la sua erezione, il caldo interessato tocco delle sue mani; contemporaneamente sentivo sulle palme delle mie ancora il vibrare del suo membro eretto.
    Inutile dire che, appena giunto a casa, mi richiusi nel cesso e, con ancora quelle sensazioni ben vive nella mente, mi masturbai con un godimento mai così sentito, reso ben evidente dalla quantità e dalla potenza del getto della fortissima eiaculazione.
     
    Top
    .
0 replies since 11/6/2014, 10:10   2959 views
  Share  
.