Adolescenza gay

[RACCONTO EROTICO GAY SHOTA]

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    Sin da bambino ho avvertito di essere un po’ diverso dagli altri.
    A scuola giocavo con le bambine, facevo i classici dispettucci, ero abbastanza vivace e divertente e sentivo che la mia simpatia per loro era ricambiata.
    Avvertivo, però, anche un sentimento particolare per i bambini. Certo, non si trattava di attrazione sessuale: era piuttosto la sensazione di un legame forte, di un’affinità che andava oltre l’amicizia e che avrebbe voluto sciogliersi in un mare di carezze e di coccole.
    Capivo che era strano, che tutto questo andava contro quelle regole della natura che con fatica e imbarazzo mamma e papà mi avevano insegnato.
    Già allora ho iniziato a celare i miei sentimenti più forti, pur non vivendo quella situazione in modo traumatico. Molte bambine mi facevano il filo, avevo la mia fidanzatina, e tanto bastava per convincermi di essere “normale”.
    Con l’inizio dell’adolescenza finisce, però, il tempo delle illusioni e inizio a capire.
    Gli anni del liceo sono stati i più tristi, quelli del mio primo, unico, vero amore.
    Frequentavo il liceo classico di **** che raccoglieva tutti i ragazzi della provincia.
    Ero l’unico del mio paese a frequentare la IV ginnasiale del corso **** e mi trovai seduto accanto ad un ragazzo molto triste e taciturno.
    Anche lui era solo: gli amici del suo paese avevano scelto altre scuole o altri corsi.
    Ricordo come fosse ieri il primo giorno che lo vidi, per la tristezza che ho provato nel vederlo dietro quel banco con l’espressione di chi sopporta un dolore troppo grande, così grande che non trova la forza per parlarne, per condividerlo. Sembrava stesse per scoppiare in lacrime.
    Mi presento e lui, con una voce bassissima, quasi impercettibile risponde: piacere, ****.
    Con il passare dei giorni il suo atteggiamento non cambiava ed io non ero molto felice di quella sistemazione. Dopo settimane non aveva allacciato rapporti con nessuno e presto venne etichettato come strano e complessato.
    Avrai certo preferito cambiare banco e sedermi accanto ad uno dei compagni con cui avevo subito legato: non l’ho fatto, infischiandomi dei “danni” che ne potessero derivare alla mia reputazione.
    Benché fossimo degli estranei e le nostre conversazioni si limitassero ai saluti di rito,
    dicevo a me stesso che non potevo lasciarlo solo, ignorando la sua solitudine e la sua tristezza.
    Ho sempre sentito come un po’ mia la sofferenza delle persone che mi circondano.
    Piano piano cominciò ad aprirsi, anche se non ci fu all’inizio nessuno scambio di confidenze.
    Capii presto il perchè del suo malessere: in quella classe piena di figli di papà, tutti “emancipati”, estroversi e pronti a socializzare, lui, proveniente da una famiglia assai modesta, da un paesino arretrato, introverso e perdipiù bruttino, si sentiva terribilmente a disagio.
    Un complesso di inferiorità, in sostanza.
    A ciò si aggiungevano le difficoltà a parlare in pubblico e in corretta lingua italiana.
    Ogni interrogazione era come un agonia e i sorrisi ironici dei miei compagni erano il colpo di grazia. Di certo questo non favoriva il suo inserimento in classe.
    Provavo una gran pena unita alla rabbia per il modo in cui tutti lo trattavano.
    Decisi che avrei fatto di tutto per aiutarlo. A scuola andavo molto bene, e presto sono diventato il famigerato primo della classe.
    Lui era quasi orgoglioso della mia amicizia: ero senza dubbio il suo migliore amico e lui lo era per me, benché non ci fosse un rapporto confidenziale.
    A volte il silenzio ha un significato chiarissimo, l’uno capisce l’altro, i suoi sguardi, i suoi movimenti. Non servono le parole.
    Copiava da me tutti i compiti scritti, anche i compiti in classe, e concordavano insieme l’organizzazione delle interrogazioni.
    Per i temi in classe gli consigliavo di studiare bene la letteratura: quasi sempre c’era un tema di letteratura.
    Abitavano distanti l’uno dall’altro, non studiavamo insieme, ma chiarivo i suoi dubbi, lo aiutavo a ripetere, a preparare soprattutto le interrogazioni di classico latino e greco. Sfruttavamo le ore di religione, di arte, di educazione fisica.
    Gli dissi che non erano necessari i grazie, che lo facevo con piacere, che tutto mi era utile anche per le mie interrogazioni, che il mio aiuto serviva soltanto per far uscir fuori la sua intelligenza, non per sostituirla.
    Già, credeva di essere meno intelligente degli altri ma non lo era, assolutamente.
    Il suo complesso di inferiorità cominciava a diminuire ed iniziò ad aprirsi anche agli altri compagni. Era sempre un po’ timido, ma non era più completamente solo.
    L’anno si concluse bene: aveva una media del sette e qualche otto.
    La mia pagella mi fece diventare ancora più popolare. Temevo che questo danneggiasse i miei rapporti con i compagni, ma fortunatamente non successe.
    Non ho mai negato a nessuno il mio aiuto e quando ne ho avuto bisogno ho sempre trovato disponibilità e affetto. Ancora oggi siamo molto legati, anche se sparsi per la penisola.
    Il primo anno, dunque, era finito e ****era al settimo cielo. L’abbraccio che mi diede l’ultimo giorno di scuola valeva più di qualunque parola ed io lo ricambia con altrettanto affetto.
    Gli volevo davvero bene, ma come ad un amico del cuore. Niente di più.
    L’estate non ci incontrammo, solo qualche telefonata.
    Poi inizia il nuovo anno e nella mia vita si apre un capitolo nuovo, indimenticabile.

    Volate via le vacanze estive si ritornava in classe.
    Presi l’autobus delle 07:15 ed arrivai a scuola con notevole anticipo. Lo facevo sempre il primo giorno per salutare ad uno ad uno i compagni che arrivavano e parlare della nostra estate.
    Arrivato al secondo piano vedo, a distanza, un ragazzo davanti la porta della classe. Avevo immaginato che potesse essere ****: prendeva il treno per arrivare a scuola ed era sempre il primo. Ma era un ragazzo magro, abbastanza alto, carino direi.
    Non poteva essere lui.
    Mi avvicino, il ragazzo mi nota, mi corre all’incontro e mi salta letteralmente addosso. Era proprio **** e la sua felicità era pari alla mia.
    Non c’era nessun altro ed iniziammo a parlare a ruota libera. Io fumavo una sigaretta dopo l’altra e mentre parlava pensavo a quanto fosse cambiato: la ciccia era sparita, la palestra aveva migliorato il suo fisico, il suo viso era più delicato. Persino la sua voce mi appariva più sensuale e la timidezza era scomparsa.
    Provai un’emozione fortissima, ero come intontito, tanto da restare pressoché indifferente agli altri compagni che nel frattempo arrivavano.
    Tornato a casa cercai di capire. Credevo che fosse dovuto tutto all’emozione, al fatto che non mi aspettavo un cambiamento così radicale.
    Invece mi ero innamorato, per la prima volta.
    Ne ebbi la certezza un pomeriggio, mentre ascoltavo un po’ di musica.
    Inizia a pensare al suo viso, ai suoi occhi dolci, alle sue labbra sottili. Immaginavo di accarezzarlo, di colmarlo di baci, di sfiorare le sue labbra.
    Sentivo il suo profumo e le sue braccia intorno al mio collo.
    La canzone finì e fu come essere svegliato all’improvviso da un sogno stupendo.
    Fu allora che capii di amarlo: molte volte aveva affollato le mie fantasie mentre giocavo con il mio gioiellino, era il protagonista dei miei sogni erotici.
    Questa volta era diverso. I miei pensieri erano casti, solo tenerezza e dolcezza. Era amore non solo attrazione fisica.
    Questa conclusione mi ha sconvolto, consapevole di quanto sarebbe stato difficile e penoso nascondere il mio segreto. Ho pure pianto, un po’ per paura un po’ per disperazione.
    Stare accanto a lui diventò, così, una sofferenza.
    Cinque ore al giorno l’uno accanto all’altro senza poterlo toccare o guardare come avrei voluto.
    Come me soffriva il solletico, così ogni tanto con la scusa di scherzare cominciavo ad infastidirlo.
    Ovviamente lui reagiva, scattava in piedi, iniziavamo a correre per il corridoio, fino a quando non mi afferrava e si vendicava.
    Adoravo quella sua vendetta e quando finiva correvo in bagno....
    Erano questi gli unici momento in cui c’era tra noi un contatto fisico.
    I giorni più brutti erano quelli in cui c’era educazione fisica. La professoressa ci lasciava liberi di fare ciò che volevamo.
    Così, quando non aveva bisogno di aiuto nello studio, giocava a calcetto con i miei compagni. Io passavo l’ora a fumare all’aperto, con altri scansafatiche.
    Finita l’ora di pacchia si ritornava in classe ed iniziava il tormento.
    Sentivo il suo calore e il suo odore mi mandava in estasi. Era davvero difficile controllare la mia eccitazione anche perchè con la tuta certe cose si notano maggiormente...(Già, perchè potevano passare l’ora a non fare un caz.., ma la tuta era obbligatoria!!!).
    Non avevamo mai educazione fisica l’ultima ora (almeno poi me ne andavo a casa), sempre a metà giornata: mi sembrava una punizione.
    Il tempo che passavo in bagno quei giorni era davvero considerevole.
    Nessuno sospettava qualcosa: ero un fumatore accanito, era normale uscire spesso dalla classe.
    Il mio amore cresceva sempre di più, come la mia tristezza.
    Non avrei mai fatto il primo passo e non lo avrebbe mai fatto lui.
    Era davvero frustrante sapere di non potere avere la cosa che desideravo di più al mondo.
    Diventai scontroso e malinconico, uscivo pochissimo, passavo i miei pomeriggi a studiare e a piangere sotto le note di canzoni tristissime.
    Poi il colpo di grazia: si era fatto fidanzato. Era una ragazza del suo paese, frequentava il nostro liceo, la sua classe era proprio acconto alla nostra!
    Caddi nello sconforto più totale. Avrei preferito pugnalate al cuore alla visione di loro due che si baciavano e uscivano da scuola mano nella mano.
    Cominciai quasi ad odiarlo, come se avesse qualche colpa, come se mi avesse tradito.
    Cercavo una giustificazione, una scusa, per non rivolgergli più la parola, per non aiutarlo mai più, per cancellarlo dalla mia vita.
    Sapevo che non ci sarei riuscito e lo amavo troppo per volerlo fare.
    Così continuai la mia recita sforzandomi di apparire sempre più divertente e allegro per non lasciar trasparire minimamente i miei sentimenti più intimi.
    Pensai anche ad un diversivo: una ragazza.
    D’altra parte mi sarebbe stata utile per salvare le apparenze ed evitare l’insorgere di ogni sospetto.
    Sull’autobus avevo conosciuto una ragazza del mio paese, carino, delicata, molto fine. Eravamo diventati amici e spesso il sabato uscivamo insieme, anche da soli.
    Le affinità erano molte, ma quando feci il fatidico passo mi respinse e si allontanò.
    Da allora i nostri rapporti furono per lungo tempo altalenanti: ci allontanavamo, poi qualcuno si scusava per aver fatto qualcosa e ci riavvicinavamo, quindi io ci provavo di nuovo e lei scappava. Continuammo così per anni.
    Molti avevano notato la nostra amicizia, e in giro si diceva che avessimo una relazione segreta( ma che avremmo avuto da nascondere??).
    Non ero innamorato di lei, anche se le volevo bene. Insistevo per orgoglio, credo, o perchè sentivo il bisogno di apparire come tutti gli altri.
    Forse per entrambe le ragioni.
    Il mio amore, quello vero, andava in una sola direzione, sempre la stessa.
    Ed era sempre a senso unico, anche perchè **** neanche sospettava cosa provavo per lui.
    Non so quanti pomeriggi ho passato piangendo e pensando a lui. Di certo molti, visto che è questa l’immagine della mia adolescenza che ricorre più spesso nei miei ricordi.
    La malinconia, la tristezza, la solitudine di quegli anni non sono descrivibili.
    Alcuni eventi hanno segnato profondamente il mio cuore e non li dimenticherò mai.
    Ricordo una festa di compleanno di un mio compagno di classe. Abitava in un paese della provincia e poiché nessuno di noi aveva la patente, si poneva il problema di come tornare a casa. Dopo le 21:00 non c’erano più autobus.
    Decise di ospitarci a casa sua, in campagna. Eravamo una decina e dopo la festa, completamente ubriachi, andammo a dormire in quella casa.
    **** dormiva in una camera diversa da quella in cui ero io con altri compagni.
    La mattina mi svegliai molto presto, la testa mi girava ancora, e come sempre il mio primo pensiero era rivolto a lui.
    Mi alzai e passando tra sacchi a pelo e vestiti sparsi ovunque andai nella sua camera.
    Anche lì era il caos, ma lo individuai subito. I suoi vestiti erano su una sedia, dormiva nudo su un lettino, avvolto da un piumone.
    Avevo pensato di svegliarlo, di fargli una sorta di scherzo.
    Ma quando vidi il suo viso illuminato dalla debole luce che filtrava da una finestra chiusa a metà, sentii il cuore in gola.
    Scappai calpestando qualcuno che dormiva per terra e che per fortuna neanche se ne accorse. Andai in cucina, accesi una sigaretta ed iniziai a piangere.
    Ho visto il suo viso per pochi secondi, ma quell’immagine è perfetta nei miei ricordi.
    Mi bagnai il viso con l’acqua gelida e tornai a dormire.
    Mi svegliarono in tarda mattinata e ci preparammo per la partenza. Avevo un aspetto orribile e non solo per la sbronza.
    Lasciai appositamente il cellulare in cucina, dietro una scatola, e dopo che ci allontanammo un po’ chiesi al padrone di casa le chiavi per tornare a prenderlo. Voleva accompagnarmi, ma lo convinsi a restare con gli altri.
    Entrato mi catapultati nella camera dove ****aveva dormito e mi sdraiai sul suo letto per sentire il suo profumo. Quando ci penso lo sento ancora oggi.
    Sentii scendere qualche lacrima, mi alzai, e scesi in cucina.
    Dopo aver preso il cellulare raggiunsi i miei amici.
    **** mi disse che ero pallidissimo e che non potevo tornare a casa in quelle condizioni. La sua premura mi rallegrò, risposi che mi sarei ripreso prima di arrivare.
    Dopo i saluti ognuno prese il suo autobus. Passai la giornata solo in camera mia, con la scusa del sonno. Non riuscii a chiudere occhio.
    I miei anni del liceo sono pieni di avvenimenti di questo genere: gite, compleanni, feste. Ogni volta le stesse emozioni, lo stesso infinito amore, lo stesso silenzio.
    Nessuno si è mai accorto di nulla.
    Dopo gli esami di stato mi ha mandato un sms: se sono arrivato qui è merito tuo. Grazie mille, sei grande. Non ti dico queste cose di persona perchè so che mi interromperesti dicendo che non è così. Non incontrerò mai più un amico speciale come te. Ti voglio bene.
    Quando l’ho letto ero a casa e ho pianto per ore. Il pensiero di non rivederlo più mi terrorizzava.
    Ormai sono passati 4 anni dal diploma, **** studia molto lontano dal suo paesino, io pure.
    Ci vediamo una volta a natale, una a pasqua, più volte durante l’estate.
    Da quando è iniziata l’università è sempre così. Rivederlo è sempre una grande emozione: non potrò mai amare nessuno come ho amato lui.
    Quest’anno una sua amica è venuta a studiare nella città dove studio io, stessa facoltà. Mi ha chiamato chiedendomi se potevo darle una mano perchè non si orientava molto con il piano di studi e cose del genere.
    Dalle l’1% dell’aiuto che hai dato a me e si laurea a tempo di record, mi ha detto.
    Quella frase ha risvegliato tanti ricordi ed è per questo, probabilmente, che ho sentito il bisogno di scrivere.
    Quanto a me, la mia omosessualità è ancora un segreto. Non ho avuto ancora nessun rapporto, non trovo il coraggio.
    Le apparenze, però, sono salve: quella ragazza che al ginnasio mi ha respinto l’anno scorso, durante le vacanze, mi ha baciato dicendo di essere stata una stupida, di avermi sempre amato, e cose simili.
    Stiamo insieme da quasi un anno, le voglio molto bene ma, come allora, non credo di amarla. Mi chiedo perchè ho ricambiato quel bacio e mi faccio schifo perchè sento di prenderla in giro.
    Stiamo poco insieme perchè studio molto lontano da casa. Nei brevi periodi che trascorriamo insieme ci divertiamo ed abbiamo anche una vita sessuale intensa.
    Purtroppo per me è come adempiere ad un dovere e la mia eccezionale resistenza non è dovuta certo alla mia virilità. Non ho mai voluto tanto bene ad una ragazza, ma non è amore.
    L’amore fa perdere la testa, fa provare le emozioni più violente, fa pensare e volere solo la persona che ami. Ed io questa sensazione l’ho provata solo una volta, nei tristi anni del liceo.
    Non so che farò della mia vita, so che non mi bastano le apparenze né i 30 sul libretto. Ho paura che un giorno avrò rimpianti terribili.
    Ricordate come finiva la poesia “Il passero solitario”?
    Ahi pentirommi, e spesso,
    Ma sconsolato, volgerommi indietro.
    Spero di trovare il coraggio per uscire fuori. Non voglio che sia questo l’epilogo della mia vita.
     
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