CERCO SESSO CON CANI...

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    Le persone che mi vengono incontro mi guardano con aria di compatimento, come fossi matta, soltanto perché parlo da sola, a voce alta, mentre cammino sul marciapiede diretta verso casa.
    Ho trascorso l'intera giornata fra le mura di una sala operatoria senza mai vedere la luce del sole. Sono esausta, incazzata, svuotata di energie. Ho assoluto bisogno di riposo, altrimenti potrei fare qualche mattata, perfino picchiare qualcuno se mi va.
    Dinanzi il grattacielo, dove abito soltanto da un paio di settimane, arresto il passo. L'imponente costruzione in calcestruzzo, acciaio e vetro, edificata a ridosso dell'argine del fiume, a nord della città, fa parte di un progetto edilizio che comprende cinque unità immobiliari identiche una all'altra.
    Mi intrattengo a guardare la facciata di vetri abbruniti su cui riverbera la luce del sole ormai prossimo al tramonto. Ancora una volta resto ammaliata dalla bellezza che sprigiona l'edificio di trenta piani. Dirigo lo sguardo verso le finestre che si trovano a metà del grattacielo e cerco di individuare quelle della mia abitazione.
    Il mio appartamento, 100mq. di superficie calpestabile, si trova al 20° piano dell'edificio. Da qui non riesco a distinguere quali sono le mie finestre, posso solo fare delle ipotesi, perché appaiono tutte uguali.
    Tutt'a un tratto la luce del sole, riflessa sulle pareti di vetro del grattacielo, mi provoca una contrazione nervosa delle palpebre. Abbasso lo sguardo e avvicino una mano alla fronte per proteggere gli occhi dal riverbero della luce.
    Riprendo a camminare attenta a non incespicare negli autobloccanti del marciapiede. I tacchi da dodici centimetri mi torniscono le gambe come fossi in procinto partecipare a un casting per diventare una mannequin. Ho difficoltà a mantenere l'equilibrio, ed è una vera fortuna che la fermata dell'autobus sia distante solo qualche decina di metri dalla mia abitazione.
    Il vestibolo del grattacielo è già illuminato. Un cartello con su scritto: "Vendesi appartamenti signorili di varie metrature" capeggia davanti alla porta d'ingresso dell'edificio. L'annuncio avverte i visitatori che non tutti gli alloggi delle cinque unità immobiliari sono stati venduti dall'impresa costruttrice del complesso residenziale. Alcuni appartamenti, non so quanti, devono essere ultimati ed è questa la ragione per cui un certo numero di muratori, idraulici, elettricisti, falegnami e imbianchini seguitano a spostarsi da un piano all'altro dell'edificio impegnati a eseguire le ultime rifiniture.
    Superato il portone d'ingresso sono investita da gruppi di persone che entrano ed escono dal grattacielo. Tutti vanno di fretta, nessuno sembra conoscersi, oppure le persone si ignorano soltanto. Fingo di non riconoscere la donna che mi viene incontro. Si trascina appresso un paio di bambini che fanno i capricci, e abita al mio stesso piano. Nemmeno saluto una coppia di anziani, marito e moglie, che camminano aiutandosi con il bastone da passeggio e sembrano bisognosi di aiuto. Proseguo nel mio cammino su una passatoia bordò che segna il percorso che conduce agli ascensori.
    In compagnia di una decina di persone mi ritrovo davanti alle porte degli ascensori in attesa che una qualsiasi delle cabine raggiunga il pianoterra.
    Quando si apre la porta di uno degli ascensori, quello che risale l'esterno dell'edificio, ne esce un gruppo di persone che riconosco perché fanno parte dello staff di tecnici che hanno realizzato i cinque grattacielo.
    Scambio il saluto con qualcuno degli ingegneri progettisti dell'edificio. Uno degli architetti mi obbliga a una stretta di mano nel momento in cui, alle sue spalle, incrocio lo sguardo di un operaio a cui elargisco un cenno di saluto. Franco, questo è il suo nome, è uno dei pochi operai dell'impresa di costruzione che conosco per nome. Ha il fiato che gli puzza come una fogna. Lo so per certo perché di recente ha fatto visita al mio appartamento, mandato dall'ufficio tecnico dell'impresa, per eliminare alcuni difetti agli infissi delle finestre, ma soprattutto per ovviare alle deficienze della porta blindata la cui serratura risultava difettosa.
    Mi osserva da capo a piedi mentre parlo con l'architetto come se volesse denudarmi. Probabilmente mi giudica una poco di buono soltanto perché di professione faccio l'infermiera e vesto in maniera succinta. La cosa non mi mette in imbarazzo, affatto, gli sorrido e lui fa lo stesso inseguendomi con lo sguardo mentre gli passo davanti dopo avere salutato l'architetto.
    Distratto dalla mia presenza incespica contro uno dei calcagni dell'uomo che lo precede e per poco non ruzzolano tutt'e due sul pavimento. Mi viene da ridere, ma riesco a trattenermi dal farlo.
    Deve avere gli ormoni in subbuglio per comportarsi in maniera così stupida. Mi riesce difficile accettare che un uomo, poco più che ventenne, possa mettersi in agitazione per una donna della mia età. Ho trentacinque anni, non sono vecchia da buttare, è vero, ma non mi ci vedo a scopare con uno della sua età, coglione com'è.
    La cabina dell'ascensore dai vetri abbruniti risale lungo la parete esterna dell'edificio e mi permette di scoprire, poco per volta, le sembianze della città illuminata.
    Ho l'impressione di tornare indietro negli anni a quando, bambina, in occasione della Fiera di San Giuseppe, prendevo posto sulla ruota panoramica insieme a mio padre. Impaurita mi tenevo stretta a lui, rassicurata dalla sua presenza, mentre la ruota seguitava a girare.
    L'ascensore arresta la corsa più volte durante la risalita. Le persone scendono e salgono ai diversi piani, infine la cabina raggiunge il 20° piano. Esco e lascio al loro destino il gruppo di persone che proseguono la corsa verso i piani superiori del grattacielo.
    Fuffì, la mia gatta, è lesta a venirmi incontro appena supero la soglia della mia abitazione. Miagola e struscia il muso contro le mie gambe in segno di festa. Mi chino su di lei e le sfioro più volte il capo con la mano. Appagata dalle mie carezze incurva il dorso della schiena, si arriccia su se stessa, e inizia a farmi le fusa manifestando la propria contentezza nel vedermi di nuovo a casa.
    Percorro il breve tratto di corridoio che mi separa dalla stanza da letto inseguita da Fuffì che mi viene appresso strusciandosi con il pelo bianco, lucido come la seta, contro le mie gambe.
    Ho il corpo madido di sudore e non vedo l'ora di purificarmi. A piedi nudi raggiungo la stanza da letto. Mi libero della gonna, tolgo la camicetta, il reggiseno e il tanga, dopodiché mi infilo nel box della doccia.
    Un getto d'acqua mi arriva sulla pelle. L'acqua mi restituisce una benefica sensazione di benessere. Aspergo il sapone sul viso e il petto, dopodiché proseguo a spargerlo sulla pelle e in ogni anfratto. Quello che avverto è un impellente bisogno di pulizia dentro e fuori il mio corpo.
    Insisto a insaponarmi le mammelle e il Monte di Venere. Lo faccio senza rendermene conto soltanto perché mi piace toccarmi queste parti del corpo. L'acqua della doccia mi scivola sulla pelle e trascina verso il basso le particelle di sapone.
    I vapori dell'acqua calda, per effetto della condensa, hanno appannato i vetri smerigliati del box. Verso qualche goccia di shampoo nella mano e l'applico sul capo. Inizio a frizionare i capelli che da un po' di tempo tengo cortissimi. Seguito a farlo per un paio di minuti, dopodiché faccio più di un risciacquo.
    L'accappatoio di spugna che in precedenza mi sono premurata di togliere dall'armadio serve ad asciugarmi la pelle umida. Ciabatte ai piedi, la testa ancora bagnata, esco dalla stanza da bagno. Fuffì, la mia gatta, sta ad aspettarmi davanti alla porta. La trovo sdraiata sul parquet, ma quando mi scorge si mette ritta sulle quattro zampe. Miagola e ricomincia a strusciare il muso contro le mie gambe.
    Ha fame, lo so, è questa la ragione per cui seguita a circuirmi in modo così sfacciato. Dalla credenza della cucina sottraggo una scatola di crocchette di carne. Svuoto il contenuto dentro una ciotola di terracotta. Mi premuro di deporla sul pavimento accanto a un'altra che stamani prima di uscire da casa ho provveduto a riempire di latte. Fuffì si precipita sulle crocchette e, affamata com'è, le divora senza darsi più pensiero della mia presenza.
    Stasera non ho voglia di prepararmi la cena. Sono troppo stanca per farlo. Gli occhi mi cadono su di un barattolo di gelato alla vaniglia custodito nel freezer. E' da mezzo chilo, ed è ancora intatto nel suo involucro. Dalla credenza prendo un cucchiaio e vado a sedermi davanti il computer portandomi appresso il barattolo.
    Mentre Windows si avvia affondo il cucchiaio nella crema di gelato. Sono golosa di cose dolci, potrei nutrirmi esclusivamente di gelato, ma se lo facessi correrei il rischio di trasformarmi in una balenottera. E non voglio che ciò accada, anche se, ogni tanto, mi va di esagerare con i dolci. Questa è una di quelle sere.
    Sono un pozzo senza fondo. Seguito a nutrirmi di gelato, mai sazia, mentre navigo in internet spostandomi da un sito erotico all'altro. Mi piace intrattenermi a leggere racconti erotici. La rete è piena di blog e siti web che li ospitano. E poi anch'io mi diletto a scriverli, mi diverte dare sfogo alle più torbide delle mie fantasie erotiche.
    Entro nel sito di Milù, il più celebre fra i siti web che mettono a disposizione racconti erotici. Mi perdo a leggere un racconto dopo l'altro, soprattutto quelli lesbo, i miei preferiti, eccitata dagli amplessi, fintanto che, senza accorgermene, ho svuotato il barattolo da mezzo chilo di gelato.
    Quando decido di andare a letto, dopo avere trascorso la serata a leggere racconti erotici, faccio visita a uno dei siti web che ospitano fatti e notizie della mia città. L'attenzione mi cade su di un titolo in grassetto: "Cerca sesso con cani". Incuriosita mi metto a leggere l'articolo.

    Provo a immaginare che postura dovrei assumere nel caso fossi assalita da un cane deciso a scoparmi. Alla pecorina forse. Oppure potrei fargli un pompino. Cazzo! Che schifo! Ma so per certo che ci sono donne e uomini che le fanno per davvero queste cose, specie con dei cani di una certa stazza dotati di un membro consistente. L'ho visto fare in alcuni film porno.
    Se decidessi di farlo potrei farmi scopare da un mastino napoletano o da un pastore tedesco. Un dobermann quello no, mi metterebbe troppa paura. Mentre con i cani di piccola taglia, tipo bassotto o chiwawa, preferirei farmi leccare la figa, questo sì. Ma che cazzo di stronzate sto a pensare! Non lo farei mai. Uffa!

    Spengo il computer e mi trascino stancamente verso la stanza da letto. Anche stasera sotto le lenzuola sono sola, sola con me sessa.
    Le persone che mi stanno vicino non si accorgono di quanto sono infelice, preferiscono pensare a me come a una donna pigra, leggera, buona solo da scopare. In effetti, non sono triste quando sto in mezzo alla gente, la malinconia si impadronisce di me soltanto quando resto sola.
    Con la tristezza ci convivo dal primo mattino, appena sveglia. Durante il giorno invece sono soggetta a intense passioni, attraverso diversi stati d'animo, come tutte le persone, ma quando sono al buio, sola, abbandonata a me stessa, allora vado in crisi. Forse è solo nostalgia di qualcuno che non sta più qui, nel mio letto.
    Spero che la malinconia sia come un temporale e vada via per lasciare posto al sereno. Quello che è certo è che lascerà su di me profonde cicatrici, ma sarà bello averne.
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    E' notte e qualcuno mi sta scopando. Non so chi sia costui. Un animale, forse. Quello che è certo è che mi trovo nell'impossibilità di muovermi. Ho i polsi legati, stirati con una cinghia sopra la testa. Le caviglie sono divaricate, al pari delle cosce.
    Chi mi sta scopando affonda con violenza il cazzo nella figa e ansima di piacere. Ancora non so capacitarmi di ciò che sta succedendomi, forse è soltanto un sogno. Sì, deve essere per forza così, oppure sono ammattita.
    Mi mordo le labbra per non lasciarmi sfuggire i gemiti di piacere che mi escono dalla bocca. Spingo in avanti il bacino e assecondo le spinte di chi mi sta sopra mentre mi scopa. Un paio di mani, attanagliate al mio culo, mi tengono ancorata al letto e affondano le unghie nelle natiche. Le pareti bollenti della figa si modellano attorno al cazzo e si contraggono in modo spasmodico seguendo il ritmo della scopata.
    Questo spingersi dentro e fuori fra le mie cosce mi fa impazzire. L'uomo che mi sta sopra mi scopa con rabbia e feroce possesso. Lascio che usi il mio corpo come più gli aggrada e godo ogni istante di questa ceca furia da animale in calore, anzi, la alimento sollevando di continuo il culo, assecondando le sue spinte, contraendo l'utero per meglio sentire il cazzo che affonda nel calore della figa che ho bagnata fradicia d'umore.
    Le mani legate sopra la testa mi impediscono di assecondare come vorrei l'uomo che mi scopa. Mi piacerebbe affondare le unghie sulle natiche del suo culo, sodo e muscoloso, e attirarlo a me, invece non mi è consentito farlo. Le gambe mi tremano, non riesco a controllarmi. Il clitoride pulsa, si contrae, spasmodico, mentre un calore vischioso mi scorre fino all'ano.
    Avverto un bisogno osceno di raggiungere al più presto l'orgasmo. Mi manca l'aria, la stanza mi soffoca, e i nostri respiri sono continuamente rotti da gemiti soffocati.
    Non riesco a mettere a lucido un pensiero, anche se ne ho più di uno che si accavalla nella mente. Ancora non so se ciò che sto vivendo è realtà o una allucinazione. Fluttuo sospesa nel buio della camera vittima di una prostrazione che mi avvolge e mi infiacchisce.
    Il suo è uno sbattermi violento, ritmico, sembra non curarsi troppo della mia persona e desideri soltanto soddisfare il suo piacere.
    Su di me ho il peso del suo corpo, l'odore del sudore, il cazzo che mi penetra senza sosta, e il suo respiro che puzza come una fogna mentre mi scalda il collo con la saliva.
    Mi morde di continuo. Lo sfuggo. Cerca le mie labbra. Finalmente mi tappa la bocca con un bacio. Stringo i muscoli del bacino mentre fiotti di umore mi colmano di calore la figa. L'orgasmo mi esplode nella testa e fra le cosce come una granata mentre il cazzo mi riempie di sperma. Rimango senza fiato, tremo tutta, e senza accorgermene perdo conoscenza.
    .
    Il rumore provocato dalla pioggia che s'infrange contro i vetri della finestra mi desta dal sonno in cui sono precipitata. La luce grigia del giorno illumina la stanza da letto. Mi sento strana, fatico ad aprire le palpebre degli occhi. Giro lo sguardo verso l'orologio sistemato sul comodino. Segna le 08.05.
    A quest'ora sarei già dovuta essere al lavoro in ospedale, invece sono ancora nel mio letto. Butto via il lenzuolo che ricopre il mio corpo e provo a alzarmi. Ho le membra indurite e un forte dolore alle braccia. Tutt'a un tratto mi accorgo di avere le cosce e l'inguine impiastricciati di un liquido lattiginoso. Avvicino le dita alla figa e poi alla bocca. E' sperma. Su questo non ho dubbi. A fatica raggiungo il bagno e mi guardo allo specchio.
    Ho il corpo marchiato di lividi. Sul collo sono evidenti i segni di succhiotti e morsicate. Impaurita mi dirigo verso la porta d'ingresso dell'appartamento e la trovo chiusa. La blindatura a protezione d'intrusione è disabilitata.
    La porta e la serratura non presentano segni di effrazione, eppure stanotte qualcuno è penetrato nella mia abitazione.
    Un uomo mi ha narcotizzata e ha fatto di me ciò che voleva. Ne sono certa, ma non so spiegarmi come sia potuto accadere. Vorrei capire come un estraneo sia potuto entrare nell'appartamento. Dalla finestra è impossibile, poiché abito al 20° piano. Soltanto dalla porta può essere entrato colui che mi ha violentata.
    A possedere la chiave dell'appartamento sono io soltanto, nessun altro ne possiede una copia, a parte Franco, l'operaio che ieri sera ho incontrato davanti all'ascensore e nei giorni scorsi ha messo in squadro la porta d'ingresso che si chiudeva malamente. Ha il fiato che gli puzza come una fogna come l'uomo che mi ha violentata. Sì, deve essere lui il porco che ha abusato di me. Adesso ne sono certa.
    Prima di infilarmi sotto la doccia telefono in ospedale. Alla collega di lavoro che dà risposta alla mia telefonata non sto a spiegare la ragione del mio ritardo, ma la rassicuro dicendole che prenderò servizio fra mezz'ora.
    Mentre l'acqua della doccia leva dal mio corpo le tracce di sperma mi viene da pensare che, dopotutto, è molto meglio fare del sesso con degli sconosciuti piuttosto che con dei cani, compresi gli alani. Comunque oggi stesso provvederò a fare cambiare la serratura della porta, forse.

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    Mi sono rotto il caxxo a leggere il tuo raccontato, primo diffami i meno fortunati, poi perché usi parole trovate da te, poi dovevi arrivare alla fermata del pullman MA TI TROVI IN ASCENSORE. poi definisco che sei un 13 enne, sai solo dire senza frutti. INFERMIERA 🤣🤣🤣 e comunque le cicciotelle hanno molto di più. Poi stanca 🤔 direi stanco
    MA VA BENE COSÌ stanca 24 ore in sala operatoria, vai al computer A leggere racconti 🤣🤣🤣 poi non ho letto più perché altrimenti mi facevo dalle risate, chissà com'è andata a finire :1 schifo, perché hai partuto già malissimo dall'inizio
     
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