Unica esperienza lesbo

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    Mi piace camminare per la città sentendo gli sguardi di uomini e donne che mi desiderano e mi pretendono e questo autocompiacimento lo immagazzino dentro di me, rinfocola la mia voglia, ricarica il mio desiderio, una forma di feedback che mi fa restare sempre accesa. Non mi vesto mai in modo indecente o vistoso, neanche d’estate amo scoprirmi troppo; l’idea di non portare la biancheria mi fa ridere, è pietosa, non ci rinuncerei mai. Ma non avevo premeditato di rivelarmi ad una donna. Barbara, collega di università, io insegno storia e sono una specialista della storia della navigazione, una quarantenne distinta, alta, dal portamento aristocratico. Non sospettavo che mi ammirasse, che scrutasse le linee del mio corpo con desiderio. Non so come, ma questa cosa mi aveva smosso dentro. Mi ero sentita sfidata su un campo sconosciuto e sentivo urgere il desiderio dell’esplorazione. Non volevo commettere errori, né offendere Barbara, né fraintendere la misura del suo desiderio, inesperta di quanto una donna potesse volere da un’altra donna, che io quello che vuole un uomo da me, posso dire di saperlo benissimo, anche più di lui. Ma lei ed io? Approfittai dell’occasione di una conferenza sulla navigazione del XV secolo, a cui avremmo partecipato tutti quanti, per invitarla a cena, con la scusa che il mio intervento sarebbe terminato sul tardi. Sapevo che avrebbe accettato, tanto più che Barbara non abitava in città e la compagnia e l’ospitalità di una collega non l’avrebbe disdegnata in nessun caso. Durante la conferenza mi accorsi di come punteggiava la conversazione di piccoli commenti sul mio lungo abito estivo, sui miei sandali, facendomi complimenti per i gioiell, o chiedendomi dove avevo comprato quel foulard che mi donava tanto al collo. Ed ogni commento era una scusa per sfiorarmi, con gesti di una delicatezza che li rendeva quasi impercettibili. Barbara si stava dimostrando più espansiva e cordiale di quanto non si fosse mai dimostrata in facoltà e, quando la conferenza terminò, le confermai la mia intenzione di portarla a cena. Quando salimmo sul taxi la colsi in contropiede dicendo all’autista di portarci nel più costoso ristorante della città, decisione alla quale Barbara volle opporsi, dicendo che non poteva permettere che io la invitassi in un posto tanto caro. Sebbene tremassi un po’ per l’eccitazione del rischio, vidi che la mia decisione aveva fatto centro, e lo sguardo interrogativo di Barbara si era trasformato in uno sguardo più luminoso, carico di aspettative, che io in cuor mio speravo di poter soddisfare. La tensione in quel taxi era una cosa reale, densa, e sentii di doverla rompere in qualche modo, ma temevo di sbagliare, di dire o fare qualcosa di troppo, e ripiegai sull’ordinare qualcosa da portare a casa. I suoi occhi tremuli vibrarono e rispose di sì con un cenno della testa. Io abbassai lo sguardo sul vestito di lei ed immaginai come dovesse essere sotto di esso, il suo doveva essere un corpo ancora ben fatto e snello. Quando discesi dal taxi ed entrai nel ristorante per l’ordinazione, lei mi seguì stando un passo indietro, e sentii come i suoi occhi mi stavano sollevando l’abito, tirando l’elastico delle mutandine, solleticando il seno. E io mi offrivo con piacere al suo sguardo. Quando arrivammo a casa mi gettai sul cibo, altra mia grande passione, per acquietare il languore che, strada facendo verso il mio appartamento, era aumentato fino a divenire un fuoco. Anche Barbara dirottò la sua voglia sul cibo fragrante e robusto, come immaginai fosse il suo sesso, ed a quel pensiero mi accorsi di essermi eccitata profondamente e di fissarla come se fosse la portata successiva. Barbara se ne accorse, come del mio veloce sviare lo sguardo. Lei mi strinse forte la mano e per un attimo mi si fermò il cuore, io che con gli uomini avevo commesso quanto di più mirabolante, sentivo in me il senso di peccato. Ed era una cosa eccitante da morire. Barbara mi guardava negli occhi ma non languidamente, era una pantera amazzonica adesso, ed io ambivo ad essere la sua preda. Ci alzammo e andammo nel salotto, dove ci trovammo ad essere una davanti all’altra, eccitate, turgide sotto, frementi come cavalle brade. Barbara mi infilò le mani nella scollatura e prese a carezzarmi con le dita tremanti per l’eccitazione. Poi mi sbottonò l’abito, e ad ogni bottone che staccava, silenziosa e decisa, sentivo un tuffo al cuore e la mia figa ululare di desiderio, una caldaia in procinto di esplodere, spezzando in due la nave. Sentivo l’umore colare sulle gambe, ero bagnatissima e sconvolta da me stessa. Intanto Barbara mi aveva tolto l’abito, e, in ginocchio, aveva preso a coprirmi di baci le gambe, mordicchiandole, talvolta, ed io non ressi più: crollai in ginocchio dinanzi a lei ed implorai che mi scopasse a morte, gridavo che non avevo mai provato nulla di simile e lei, compiaciuta ed estasiata dalla sua conquista inattesa, mi faceva scivolare le mani ovunque. Mi sentivo gagliarda, durissima, volevo donare tutti i miei fianchi ed il mio seno alla causa lesbica, godere senza ritegno. Ero tutta là, tutta sua, la donna per eccellenza, ero la femmina espansa. Mi sottrasse il tanga con un gesto rapido ed esperto e affondò il suo viso nella mia figa assetata di carne, e compose con la sua bocca poemi di piacere nella mia natura bagnata. Quando si ritrasse avvertii un bisogno di crollare, ma lei ritornò a prendere possesso del clitoride con le dita e le labbra, senza darmi tregua, e partii non una, ma due, tre volte, soffocando guaiti disperati. Poi mi afferrò per i capelli e mi tuffò la faccia sulla sua fica prosperosa e grondante. Non avevo mai immaginato quanto fosse divino mordere quel frutto croccante, il cui nettare mi scorreva sul volto. Volevo scoparla con la lingua, ero in preda ad una foga incontrollabile, mentre lei cercava ancora la mia mietitrice di uomini, artigliandola con le unghie. La mia fica riprese a scaldarsi ed a vibrare, eccola di nuovo, turbina inarrestabile e poderosa, a girare vorticosamente. Barbara mi fece sdraiare, impedendomi di farla godere sulla mia faccia come anelavo. Iniziò a percorrermi con la lingua, tessendomi addosso un autentico e lussuoso pigiamino di saliva, eccomi, regina della notte detronizzata dalla sua bocca avida. Ero giunta al deliquio mentale quando si risollevò e con un gesto imperioso. Afferratemi le caviglie, mi spalancò le gambe e mi costrinse a girarmi su un fianco. Lei ormai, comandando la navigazione, si mise a cavalcioni sulla mia coscia, e la percorse fino a far scontrare le due prue roride di piacere. L’incontro fu un delirio di scintille, uno scontro immane, una collisione di navi nella notte, il suo viso di polena sulla caravella che conduceva manovre di piacere nel mio porto. L’orgasmo fu tale che quasi persi la nozione di me e diventai un groviglio solo, clamoroso, con la creatura che mi faceva questo. Il giorno dopo non avevo nemmeno la forza di strizzare il tubetto del dentifricio, esausta e consumata nella fibra, non avevo mai bruciato tanto di me stessa in un atto di piacere. Purtroppo Barbara si trasferì poche settimane dopo in un’altra sede universitaria, per lei più comoda, e non la vedo più da un paio di anni, pur essendo rimaste in buoni rapporti. Tuttavia non so se avrei ripetuto ancora l’esperienza, preferivo che quella serata meravigliosa restasse unica.

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    Edited by lance30 - 29/10/2013, 23:17
     
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0 replies since 29/10/2013, 22:44   2152 views
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