La Divina Commedia

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  1. ||max||
     
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    Siti dove potete trovare parafrasi e informazioni per la scuola sulla Divina Commedia "Dante Alighieri".

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    Edited by ||max|| - 2/4/2007, 20:44
     
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  2. Intern@t
     
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    analisi quinto (V) canto del Purgatorio della Divina Commedia

    brevi riassunti capitoli 1,2,3 del Purgatorio della Divina Commedia

    sesto (VI) canto Paradiso

    sesto (VI) canto Purgatorio

    commenti dei canti da 1 a 20 del Purgatorio della Divina Commedia

    introduzione del Purgatorio

    luce del Paradiso di Dante

    prosa Purgatorio della Divina Commedia canti 1, 2, 3

    rapporto tra Dante e Virgilio

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    Edited by Intern@t - 15/3/2007, 09:41
     
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  3. Intern@t
     
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    La metafora del viaggio per mare, con cui Dante inaugura ed introduce la novità della poesia, e quindi dell’esperienza, della seconda Cantica, non può non rievocare gli altri luoghi, tutti fondamentali, dell’itinerarium dantesco, dal naufragio del primo canto infernale sino a quello d’Ulisse.
    Qual è il senso di tali continui, ripetuti richiami? Qual è il significato di tali immagini?


    La metafora delle prime righe della prima cantica del purgatorio spiega come l’intelletto di dante cambi ora che è arrivato a questo punto, come una piccola barca alza le vele quando vede che il mare si è calmato; si può quindi ricollegare a quella del primo canto dell’inferno, in quanto ne è una specie di conseguenza: dopo la tempesta, in questo caso l’intero inferno, l’imbarcazione dell’intelletto può osare di più e navigare più veloce. Si possono quindi attribuire a questa metafora più funzioni, la prima delle quali è stilistica e consiste nell’introdurre uno stile più alto e raffinato di quello usato nell’inferno, che era umile e volgare. La seconda funzione invece è narrativa, e descrive il passaggio dall’inferno al purgatorio; ciò consiste in un netto salto di qualità, passando da un “mar sì crudele” a “migliori acque”. Fa inoltre trasparire il senso di leggerezza e libertà presente in quel luogo, che contrasta con il sentimento di oppressione e violenza che è stato ribadito in tutto l’inferno. Infine indica la crescita interiore dell’intelletto del poeta necessaria per riuscire a comprendere appieno le novità che gli verranno sottoposte nel suo cammino ascetico verso il paradiso.

    La metafora riguardante il viaggio per mare nel primo canto dell’inferno esprime come il poeta si sente quando, dopo aver passato la notte nella selva che allegoricamente rappresenta la vita peccaminosa vissuta da dante, giunge ad un colle, simbolo della felicità terrena: viene paragonato ad un naufrago scampato ad una tempesta, il quale, ancora incredulo, si volta a guardare il mare burrascoso. Uscendo dalla metafora questo passo si può intendere come una descrizione dell’animo di dante, in quel momento confuso e spaventato, come chi è appena scampato ad un grave pericolo, ma allo stesso tempo felice perché è riuscito a salvarsi ed è finalmente arrivato ad una via di salvezza. L’unico problema è che dante non sa di non essere ancora del tutto salvo, ma solo all’inizio. Osando un’interpretazione un po’ più premonitrice, la metafora può inoltre servire ad introdurre quale tipo di esperienza andrà a compiere dante durante tutto il suo viaggio: lo scopo finale del suo peregrinare è l’arrivare in paradiso e poter guardare da un luogo ormai tranquillo e sicuro la tempesta del peccato in cui era stato precedentemente sballottato.

    La metafora che riguarda Ulisse è diversa da tutte le altre non solo perché si trova alla fine di uno degli ultimi canti dell’inferno e non all’inizio di uno tra i primi, ma soprattutto perché riguarda una riflessione sull’uomo e sulla brama umana di conoscere cose sempre nuove, un desiderio che va oltre gli affetti famigliari e l’amore per la patria. Il tema dell’amore del conoscere, ripreso dal convivio, è “l’ultima perfezione della nostra anima”; il mondo è pieno di cose da scoprire: trascurare questa ricchezza significa trascurare anche la possibilità di essere uomini completi, significa essere meno uomini. Ma Ulisse vuole andare anche oltre e superare le colonne d’Ercole, i confini conosciuti, e in questo sta la follia del suo volo; rappresenta però in questo modo l’uomo che vuole servire “virtute e canoscenza”. Il viaggio per mare, che è stato una costante nella vita di Ulisse, anche nell’ultimo istante della sua vita, rappresenta in qualche modo il percorso che si fa quando si cerca di scoprire qualcosa di nuovo, in quanto il mare è per natura un ambiente sconfinato e pieno di novità, ma anche irto di sfide e pericoli.

    Il significato di queste continue immagini e soprattutto della loro iterazione consiste nel ricordare al lettore che la Divina Commedia non è formata da tre libri a sé stanti, ma è un’unica opera, al cui interno ogni canto è collegato con un altro: si tratta della ripresa costante di alcuni temi in determinati canti. Il viaggio poi nella simbologia classica indica un percorso ascetico, spirituale, il cui intento è l’espiazione del peccato e la purificazione dell’anima; quindi unendo la simbologia del viaggio, tema portante della divina commedia, a quella di un’unica opera non separata in tre parti distinte, si può dire che essa è in sé un viaggio che permette al lettore di entrare nel mondo dei significati e purificarsi mediante l’immaginario pellegrinaggio di Dante.

    Dante e i dannati

    Durante il percorso compiuto da Dante nell’inferno, numerosi sono gli incontri con i dannati e con i demoni; negli incontri con questi personaggi numerosi sono gli atteggiamenti del poeta fiorentino: si passa dalla severità e dal disprezzo al rispetto fino a giungere alla stima. In generale si può però affermare che la pietà nei confronti dei dannati sia il sentimento più forte che Dante prova alla visione d’uomini flagellati dalle pene più strazianti, pene che sono eterne e che saranno ancora più dolorose, passato il giorno del giudizio universale. Questa pietà non è sempre così evidente, in quanto spesso, soprattutto quando il peccato è legato alla sfera politica, Dante sgrida egli stesso i dannati o li disprezza giungendo fino a condannare severamente un pontefice.
    Il primo esempio del disprezzo Dantesco che voglio portare alla vostra attenzione è l’incontro con gli ignavi; queste anime, infatti, non hanno fatto nessun peccato “Cristiano”, bensì non hanno voluto prendere parte all’accesa vita politica di un’Italia, vivace e in fermento. Dante, per descriverli, utilizza queste parole: “Questo misero modo tegnon l’anime triste di coloro che visser sanza ‘nfamia e sanza lodo”, e ancora: “la lor cieca vita è tanto bassa, che ‘nvidiosi son d’ogne altra sorte”. La vita degli ignavi è dunque cieca, bassa, tanto che ognuno di loro invidia ogni altra pena, la viltà di queste anime è così forte che lo stesso Virgilio indicherà a Dante di non rivolgergli la parola poiché essi non ne sono degni. La mancanza di coraggio, soprattutto nella vita politica, è considerata da Dante un peccato non grave, è infatti punito nell’antinferno, ma rende gli uomini indegni d’essere tali.
    Il poeta fiorentino, come già detto, prova sentimenti diversi nei confronti dei dannati; dopo aver condannato gli ignavi e avere abbassato la loro condizione fino a quella animale, Dante elogia o minimizza la colpa di Ciacco, Paolo e Francesca, Farinata degli Uberti, Brunetto Latini, Cavalcante de Cavalcanti e Pier delle Vigne. Con Ciacco e Farinata inizierà un discorso politico, segno del grande rispetto che prova per questi personaggi; egli infatti discute con Ciacco del futuro di Firenze e delle lotte interne che attanagliano la città, con Farinata, invece, parla delle antiche lotte tra guelfi neri guelfi bianchi, scontri che non coinvolsero Dante in prima persona ma che lasciarono un profondo segno nella formazione politica del Dante-uomo. Con Farinata, la discussione è vivace poiché i due si confrontano rispetto ad idee politiche: lo scontro si accende tra i due quando il poeta giunge ad accusare i guelfi neri di non avere mai “accettato la sconfitta”. Nonostante ciò, Dante, si dimostra sempre rispettoso nei confronti e di Ciacco e del grande condottiero fiorentino: anche il consiglio di Virgilio “Le parole tue sien conte” (inf X v. 39) dimostra come anche il modo di porsi e di parlare debba essere degno di un personaggio di così grande calibro e di una sì grande personalità.
    Anche il discorso con Paolo e Francesca rispecchia il grande rispetto e la grande pietà che Dante prova nei confronti dei lussuriosi. Con i due, il poeta fiorentino tratta temi molto importanti e sentiti quali l’amore adultero e la sua legittimità oppure la correttezza dei dettami di amore cortesi e stilnovisti. La visione Dantesca non è uguale a quella cortese anche se la condanna nei confronti di due amanti non è totale e questo ci può far capire quale strada abbia seguito l’evoluzione dei legami di amore sebbene per approfondire questo tema, fondamentale nella poetica dantesca, bisognerebbe scrivere molte altre pagine. Infine l’incontro con Cavalcante de Cavalcanti rispecchia l’amore paterno del padre nei confronti del figlio; egli infatti, non vedendo il figlio, grande amico di Dante, si chiede dove esso sia e se sia vivo. Anche in questo caso, il poeta, mosso da pietà, risponde all’anima dannata rassicurandola, anche se in un primo momento non ha risposto.
    Per quanto riguarda la severità dantesca nei confronti e della chiesa e dei suoi esponenti, si deve fare un discorso a parte. Dante infatti vive in un periodo in cui l’istituzione ecclesiale era molto contestata, e per il lusso che governava nei palazzi e nelle chiese, e per la linea di pensiero che adottava, basata più sul potere temporale che su quello spirituale. Dante, fin da giovane affronta i temi della suddivisione dei poteri: per il poeta fiorentino, esponente di spicco dei guelfi bianchi toscani, il potere andava equamente diviso tra il papato e l’impero, poiché, come egli pensava, l’avere entrambi i poteri nelle mani o del papa o dell’imperatore, costituiva una grave minaccia alla già precaria situazione del mondo medievale. Questo atteggiamento critico nei confronti della chiesa è ben visibili nella commedia; egli infatti, ad ogni occasione, accusa la chiesa ed i suoi esponenti, di non aver seguito il vero insegnamento di Cristo. Così troviamo nel canto VII ai versi 46-48 “Questi fuor cerci, che non han coperchio/ piloso al capo, e papi e cardinali/ in cui usa avarizia il suo soperchio” Questa affermazione giunge come risposta alla domanda di Dante che aveva chiesto se vi erano ecclesiastici all’interno di questa schiera; l’affermazione è chiara e molto forte: non solo i monaci o i preti si sono macchiati del peccato dell’avarizia, ma anche personaggi importanti quali i vescovi, i cardinali e addirittura i papi. Con questa sentenza Dante vuole comunicarci come tutta la struttura ecclesiastica sia fortemente corrotta: egli infatti ci mostra in questo cerchio, tutte le cariche ecclesiali, dai preti più “semplici” ai papi; l’accusa più grave sta nell’affermare che proprio i papi e i cardinali furono i peggiori esempi. Il tema dell’avarizia, nato come tema politico, diventa così un tema etico quando riguarda l’istituzione religiosa, sempre meno spirituale e sempre più mondana.
    Un altro esempio che voglio portarvi, può essere ritrovato nel canto XIX, canto tutto “riservato” a peccati contro la chiesa. Nella terza bolgia dell’VIII cerchio sono infatti puniti i simoniaci, cioè gli ecclesiatici che fecero una vergognosa compravendita di beni e servizi spirituali. In questa bolgia, Dante conversa con papa Nicolò III e i toni danteschi sono duri come non sono mai stati durante tutta la commedia. Dante giunge perfino a citare le scritture per dimostrare il grave errore del papa; Dante, in questo passaggio, diventa quasi un uomo folle poiché osa scagliarsi contro un istituzione che il mondo medievale cristiano aveva imparato a rispettare se non temere. Il poeta, però non accusa il papato in quanto tale, ma si scaglia contro i papi che con le loro azioni hanno ricoperto la chiesa e quasi lo stesso Dio di vergogna; il rimprovero è così degno di un uomo che di fronte ad un istituzione corrotta, denuncia gli errori per cercare di migliorarla. Dante, nonostante sia laico, si pone in una posizione che rispecchia quella di un giudice, che deve condannare una chiesa che, utilizzando l’istituzione papale, si è arricchita; infine si può in ogni modo affermare che il poeta fiorentino, utilizza, per accusare la chiesa, esempi tratti dalle sacre scritture, dimostrando così la sua cultura e sacra e laica: egli, infatti, cita il Vangelo secondo Marco, ricordando al papa, che si era allontanato dalla “luce delle sacre scritture”, dove sia questo lume tanto importante per il mondo intero.


     
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  4. kikiunika
     
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    1 canto e secondo del purgatorio
     
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  5. uno
     
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    CITAZIONE (kikiunika @ 9/11/2007, 17:25)
    1 canto e secondo del purgatorio

    ciao, e' 1 rikiesta la tua? :eh:
     
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  6. Tiziano I
     
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    qualcuno mi cerca il primo canto dell'inferno non troppo lungo per favore =)))
     
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  7. ele_91
     
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    ki è ke mi puo fare 1 riassunto del 24 canto dell inferno?? grazie
     
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6 replies since 12/2/2007, 19:17   11305 views
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