la prima volta

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    Avevo quattordici anni appena compiuti e frequentavo la terza media, quando per la prima volta fui rimproverata per il mio modo di camminare.
    "Tu ancheggi!", mi disse l'anziana professoressa di Matematica.
    Io non capivo. Allora lei imitò il mio movimento con le sue anche. Mi misi a ridere.
    "Non c'è niente da ridere! Non lo devi fare più, altrimenti i ragazzini più grandi ti gireranno intorno come i mosconi".
    A parte il fatto che non capivo perché la vicinanza dei ragazzini potesse costituire un serio pericolo, io non ancheggiavo, cioè non lo facevo apposta.
    Poi fu la volta della professoressa di Inglese: con la sua espressione arcigna mi fece un sacco di domande sulla mia famiglia, sulle nostre abitudini religiose, su come mi vestivo quando non andavo a scuola, se avevo il filarino...
    "Il fila... che?".
    "Non fare l'ipocrita, che mi hai capito benissimo: non devi ancheggiare!".
    Al ritorno a casa, mi gettai tra le braccia di mia madre e le raccontai tutto. Lei mi fece camminare avanti e indietro, esortandomi a tenermi dritta e a non spostare il mio peso una volta sulla gamba destra e una volta sulla sinistra. Dopo parecchi tentativi scrollò la testa: "Vestiti, che andiamo dal dottore".
    Il nostro medico di famiglia mi fece svestire, lasciandomi nelle mie mutande scure e nel piccolo reggiseno che indossavo per gli eventi speciali, poi m'invitò a camminare avanti e indietro: "Non avere fretta e cerca di stare più dritta possibile".
    Lui si sedette in poltrona a metà del lato lungo del salone e si mise a guardare me che camminavo avanti e indietro davanti a lui. A un certo punto mi diede lui il passo: "Uno, due... uno, due... uno, due...".
    A parte il fatto che io avevo un po' di freddo, mi sembrò che il dottore ci prendesse gusto a vedermi camminare ancheggiando ed aveva un gonfiore alla pacca dei pantaloni. Sì, ancheggiavo, lo so perché c'era un grande specchio e io stessa potevo vedermi mentre ci passavo davanti, e ancheggiavo, come le modelle dell'alta moda. Poi mi fece fare il tragitto di corsa. Quindi mi fece sdraiare sul lettino, portò giù le mutandine, che io afferrai appena in tempo prima che spuntasse il mio cespuglietto del quale allora mi vergognavo, e mi visitò i fianchi con le sue mani gelide. Tastava le anche con le dita, per capire non so che cosa.
    Poi mi fece voltare, di nuovo tirò un po’ giù le mie mutande scoprendo i fianchi e nuovamente lì, a tastare e con la mano ed il suo ditone innavvertitamente scivolava sul mio buchetto. A me ricordava quando una volta con Alice, una quindicenne vicina di casa, giocavamo al dottore e ci toccavamo a
    vicenda. Era finita che mia madre ci aveva rimproverate aspramente.
    Però adesso non rimproverava il dottore, che era un maschio... Mah!
    Il dottore mi chiese se avevo dei dolori, anche leggeri, e gli dissi di no. Alla fine mi fece rivestire e si sedette a parlare con la mamma: "E' la conformazione delle ossa, lo può dire a scuola. Non ha dolori, non ha problemi nel camminare o nel correre... Al massimo sarà molto corteggiata!".
    "Mamma, che significa corteggiata?".
    Rispose lui: "Significa che i ragazzi saranno molto gentili con te, ma tu non dargli retta e racconta tutto alla mamma. Signora, sua figlia è bruna, alta, ben fatta... Non sarà che qualche professoressa ne ha invidia?".
    "Io invidiata dalle professoresse... e perché mai?".
    Il dottore si alzò, ci porse la mano, inchinandosi e chiamandomi signorina, poi suggerì di fare attenzione.
    Mia madre si scandalizzò!.
    Dopo aver terminato la scuola, una sera mia madre mi disse che forse potevo andare a lavorare in una fabbrichetta di bottoni lì vicino e potevo anche tenere per me l'intera paga settimanale, un centone.
    Spalancai gli occhi, poi portai la mano al petto, dicendo: "Io? Perché non ci avete pensato prima?".
    Il mattino seguente fui svegliata presto, mia madre mi fece indossare il mio miglior vestito, mi pettinò con cura e mi diede le scarpe con il tacchetto, raccomandandomi: "Non dare confidenza ai giovanotti".
    Io mi guardai allo specchio soddisfatta.
    Entrai nel laboratorio dietro mio padre, e quattro o cinque giovani smisero di lavorare per guardare sbalorditi me. Il padrone era un po' anziano, ma aveva un viso buono. Si accordò rapidamente con mio padre, che poi mi diede un bacio sulla fronte e andò via.
    Il signor... mi disse che avrei imparato dall'operaio più bravo che aveva e mi presentò ad Mario.
    "Come ti chiami?", mi chiese.
    "Mary...".
    "Mary, Mario... che sia un destino?".
    S'intromise il padrone: "Ha solo quattordici anni, Mario!".
    "Va bene, signor...".
    Imparai presto e mi misero a una macchina tutta per me.
    I miei compagni di lavoro erano tutti maschi, tutti giovani e tutti gentilissimi. Credo che mi adottarono per sorellina.
    Mario era il più simpatico: mi guardava spesso e io, quando me ne accorgevo, gli sorridevo. Un giorno mi chiese se frequentavo qualche ragazzo.
    "Fre... che?".
    "Insomma, vai a passeggio con qualcuno?".
    "Con Alice qualche volta, o con i miei cuginetti".
    "Di tutti noi, chi ti è più simpatico?".
    Mi sentii a disagio e abbassai gli occhi, poi, con un filo di voce: "Tu...".
    Mi mise due dita sotto il mento, costringendomi a guardarlo negli occhi che gli brillavano di gioia: "Vorrei parlare con tuo padre".
    Parlò con tutti e due i miei genitori, con la porta chiusa, mentre io giocavo a dama con Alice che rideva sotto i baffi e mi chiedeva: "E' il tuo fidanzato? Ti ha baciata? Si è dichiarato?".
    "Dichia... che cosa?".
    Poi fui chiamata dalla Corte per il verdetto. Parlò mio padre per tutti: "Mario mi ha chiesto se può fidanzarsi con te. Gli ho detto che sei una bambina...".
    "Per me va bene".
    "Che hai detto?".
    "Sono una bambina in crescita, ma so quando un ragazzo mi piace".
    "Mary, questo non è un gioco. Si parla di fidanzamento, di matrimonio, di figli...".
    "Tutto insieme?".
    Mio padre rise: "No, ogni cosa a suo tempo, ma... insomma, tra due o tre anni dovresti lasciare la tua famiglia, sposarti e andare a vivere con lui...".
    "Lo so, sono d’accordo".
    "Mary, ti sposeresti in chiesa, poi non potresti più cambiare ragazzo".
    "Perché cambiare, perché cambiare? Io gli voglio bene, io... lo...", e scoppiai a piangere.
    Mio padre sospirò: "Va bene, Mario, ma trattala con i guanti. E tu mammina, spiegale qualcosa, l'indispensabile".
    Due anni dopo ero felicemente sposata (ora non più!).
    Ogni cambiamento di vita ha le sue novità. La nostra luna di miele fu splendida, come lavoro io passai a part-time nell'ufficio della fabbrica, dove ebbi anche una piccola scrivania, e a casa (nostra!) imparai a cucinare, lavare ecc.
    Nei fine settimana io e Mario facevamo l'amore parecchie volte e lui mi chiedeva sempre di non rivestirmi, così ci muovevamo nudi per casa. Era comodo, perché io notavo subito quando mio marito (esatto!) aveva di nuovo voglia e allora lo abbracciavo e lui mi riportava in paradiso.
    Io avevo ricevuto le prime nozioni da mia madre, ma poi avevo approfondito la materia un po' con Alice, un po' con una mia amica che lavorava in farmacia, un po' sui libri. Da sposata mi recavo spesso in un Internet Point e lì studiavo ancora.
    Avevo soltanto sedici anni e mi stupivo che la sessualità fosse un argomento così importante, forse l'argomento principale nel mondo.
    Ben presto notai che Mario mi guardava spesso il didietro. In effetti il mio mappamondo era già allora largo, aperto e credo molto eccitante per un giovane uomo.
    In particolare, quando mi abbassavo per un motivo qualsiasi lui mi guardava la spaccatura centrale con occhi assatanati. Non ci volle molto per capire che in quelle occasioni il mio buchetto posteriore si metteva bene in vista.
    Per un involontario senso del pudore presi l'abitudine di abbassarmi piegandomi sulle ginocchia ma, ahimé!, se la visione del mio buchetto era meno agevole, è anche vero che i miei fianchi larghi, causa del mio ancheggiamento, si aprivano ancora di più e io sentivo qualsiasi minima corrente d'aria accarezzarmi quel punto. E Mario riusciva spesso a mettersi in posizione tale da guardare quello spettacolo indecente.
    Mi resi conto, prima con spavento poi con sottile malizia poi con sordido piacere, di che cosa gli frullava per la testa.
    Feci qualche indagine su internet e mi tranquillizzai un po': i miei fianchi larghi e spaziosi potevano consentire uno spazio sufficiente per la verga di Mario, purché non andasse troppo in profondità. Inoltre ci voleva un po' d'olio o di burro. Quell'idea mi diede fastidio, così consultai la mia amica farmacista la quale, sorridendo tra sé, mi diede un tubetto di crema.
    "Mi farò male?", le chiesi a bassa voce.
    "Dipende da te...".
    Sul tubetto c’era scritto: Analgesico e rinfrescante, ricco di vasellina. Dopo che cercai sul vocabolario analgesico, mi rasserenai.
    Il successivo sabato mattina, dopo parecchi giorni che avevo evitato l'accoppiamento, condussi il mio Mario in camera, mi tolsi la camicia da notte restando nuda, mi misi carponi sul letto, poi gli dissi: "Avanti, sono pronta: sodo... mizzami".
    La nostra camera ha la particolarità di avere parecchi specchi, quindi la mia posa provocante e le mie rotondità si riflettevano in modo entusiasmante per il mio Mario, a parte l'oscena visione delle mie natiche aperte e del mio buchetto all'aria.
    "Se ti metti così, non c'è bisogno...", disse, e mi prese in quella posizione, ma entrando dalla porta principale.
    Non trascurò di massaggiarmi un po' il buchetto col suo pollicione e fu una... scopata bellissima: rimasi molto soddisfatta. Però non era esattamente quello per cui mi ero preparata psicologi... camente .
    Col passare dei giorni mi sentivo sempre più arrabbiata: prima mi guardava lì dietro con desiderio, poi, quando io ero disposta a fare una cosa nuova, trasgressiva, si è tirato indietro, forse per un malinteso senso di rispetto; ma io ormai voglio provare quella diversa penetrazione!
    Studiai la situazione: il giovedì successivo aspettavo il ciclo, così il sabato potevo dirgli che lì ero occupata e quindi doveva ripiegare sull'ingresso posteriore.
    Nei fatti il venerdì sera gli dissi del ciclo. Fece una smorfia di disappunto e si preparò ad alcuni giorni di astinenza.
    Intanto io, con un pezzo di stoffa velata, avevo preparato una specie di vestito da antica schiava orientale, molto trasparente. Sabato mattina lui andò a comprare il pane e io indossai il vestito, ammirandomi allo specchio. Poi passai la crema lì.
    Quando tornò, mi guardava sbalordito. Sorridendo e ancheggiando visibilmente gli dissi: "Sono la tua schiava...", e mi diressi verso la camera.
    Lì mi misi carponi sul letto e poi alzai la veste scoprendo il mio sedere.
    Chissà perché in quel momento mi tornarono in mente le mie professoresse e capii che mi avevano criticata e poi bocciata per invidia, perché col loro fisico decaduto e la loro bigotteria non avrebbero mai potuto godere di certe cose!
    Mario poggiò la punta dandomi brividi d'intenso piacere, poi entrò senza difficoltà. Io avevo la pelle d'oca e parecchie reazioni corporee, esasperate rispetto al solito. Le sensazioni aumentarono quando Mario cominciò a muoversi avanti e indietro dentro di me... Che peccato mortale!
    Chissà come pensai a quando, ragazzina delle medie, già camminavo ancheggiando. Forse inconsciamente sapevo di essere destinata a fare la schiava del mio signore e padrone, che in quel momento mi stava iniettando la sua linfa.
    Con mio sommo piacere.
     
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