il testamento

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    Il notaio leggeva con voce nasale e monotona i preliminari del testamento del defunto ” zio ” Dimitri.
    Con lo sguardo, seguivo annoiato le evoluzioni di una mosca, che si posava di continuo sull’enorme scrivania, senza trovare mai pace in quell’afoso pomeriggio di luglio.
    Alla lettura del testamento erano presenti anche le mie tre cugine, Marika, Anthi e Caterina.

    Lo ” zio ” Dimitri non era propriamente un nostro zio.
    Amico d’infanzia di mio padre e di mio zio (quello vero, per intenderci), il padre delle mie tre cugine, Dimitri, scapolo impenitente, ci aveva adottati come suoi nipoti acquisiti fin da quando eravamo bambini, coccolandoci e viziandoci, riempiendoci di regali e di premure, con il risultato di diventare da subito il nostro ” zio ” prediletto.
    D’estate, in agosto, per le vacanze ci trasferivamo tutti da lui: mio padre e mia madre, il fratello di mio padre e la moglie, con al seguito il sottoscritto e le mie tre cugine.
    Trascorrevamo l’intero mese nella sua enorme villa sul lago di Trihonida, dove noi, da ragazzini, passavamo il tempo fra bagni e giochi, e improbabili avventure nelle assolate campagne circostanti.
    Ricco sfondato, lo ” zio ” Dimitri era proprietario di alcune società di import-export, nonché di una fiorente agenzia marittima al Pireo.
    Insomma, galleggiava beato su un mare di dracme.
    Da sempre appassionato intenditore di orologi, negli anni aveva investito capitali in una straordinaria collezione, il cui valore potete ben immaginare.
    E quando si era stancato di lavorare, aveva ceduto tutte le sue attività, per mettersi a godere la vita, dilapidando capitali tra auto di lusso, donne e vacanze.
    Un infarto lo aveva stroncato improvvisamente a St.Moritz, sembra dopo una notte di baldoria e di bevute in compagnia di due ballerine brasiliane.

    - E veniamo alle vere e proprie disposizioni testamentarie. -
    Il notaio, miope come una talpa, sbirciò prima in direzione delle mie cugine, che sedevano compunte e con il viso addolorato, e poi del sottoscritto, che se ne stava stravaccato sulla sedia.

    - Lascio la casa sul lago di Trihonida e tutti i terreni circostanti alla mia adorata ” nipote ” Marika, ringraziandola per l’affetto dimostratomi in tutti questi anni. -
    Marika, che ormai aveva trentanove anni ed era una mora alta e slanciata, sorrise debolmente, le labbra tremanti per un accenno di pianto, stringendo la mano al marito, un impiegato del catasto di Atene, brutto come la fame e perennemente incazzato con il mondo.

    Ritornai con la mente a tanti anni prima, a quelle vacanze estive sul lago di Trihonida.
    L’anno in cui io avevo vent’anni, l’ultimo che trascorsi nella villa sul lago, Marika ne aveva diciannove: era una bella ragazza, dall’aspetto serio e timorato di Dio, ma, in realtà, faceva i pompini più fantastici dell’intera Grecia (isole comprese), ed era, a tutti gli effetti, una gran mignotta.
    Mi ricordo che la portavo con me al capanno, un rudere ad un centinaio di metri dalla villa, che era stato usato dai contadini, in tempi passati, come rimessa degli attrezzi.
    Il capanno era diventato il mio rifugio, sin da quando ero ancora piccolo: lì avevo giocato per ore ed ore, immaginandomi il proprietario di un castello, e facendo infinite guerre contro inesistenti assedianti.
    Ma quell’anno il capanno divenne la mia alcova, e Marika, la cugina più piccola, si dilettò in eccelsi bocchini.
    Andavamo subito dopo pranzo, quando tutti sparivano di circolazione per andare a riposare, il caldo di agosto feroce ed implacabile.

    Io mi tiravo fuori l’uccello e Marika, gli occhi che rivelavano tutta la sua eccitazione, iniziava a leccarlo, succhiandomi la cappella e percorrendo tutta l’asta con la sua lingua instancabile.
    Adorava farmi i pompini (adorava farli a tutti, in verità) ed io ero ben felice di andare incontro a quel suo innocente desiderio.
    Insomma, fu una lunga estate di succhiate e ingoiate, che ancora oggi ricordo con profonda nostalgia.

    Marika, dunque, si era beccata la villa sul lago.
    Un pericolo in meno.
    Perché tutti miravamo alla collezione di orologi, la parte di eredità sicuramente più consistente.

    - Alla cara nipote Anthi lascio la casa di Santorini, così potrà godersi il sole ed il mare, che a lei piacciono così tanto. -
    A voler essere proprio pignoli, più che il sole ed il mare, alla cara cuginastra Anthi piaceva tenere i cazzi dei maschietti tra le mani.
    Ora, affranta per la dipartita dello “ zio “, se ne stava appoggiata a Tassos, il marito, che le aveva passato un braccio attorno alle spalle, e che non riusciva a nascondere un sorriso venale come quello di uno strozzino.
    Per qualche scherzo della natura, Tassos aveva dei denti giganteschi e giallognoli, che lo facevano sembrare il parente scemo di un branco di castori.
    In quel momento, però, il suo sorriso avido lo faceva assomigliare più ad uno squalo che non ad uno di quei simpatici animaletti che passano le loro giornate a costruire dighe sui fiumi (che cazzo di vita, ragazzi, i castori…).

    Anthi, in quella famosa estate di cui vi parlavo, aveva due anni più di Marika, ed adorava massaggiarmi il pisello.
    Bionda ed esile, l’esatto contrario di Marika, anche lei finiva nel capanno, ma al mattino, dopo colazione.
    E lì, nella penombra polverosa, l’addestrai all’arte del movimento masturbatorio del membro maschile.
    Ricordavo ancora le sue mani, morbide, piccole e nervose, quasi diafane, percorrere incessantemente il mio cazzo congestionato.
    A quel semplice contatto, Anthi sospirava e mugolava, eccitata a tal punto da venire senza che io nemmeno la sfiorassi.
    Quell’agosto, tra le pompe di Marika e le seghe di Anthi, il mio cazzo ricevette più attenzioni femminili che nel resto di tutta la mia vita.

    La collezione di orologi era, a quel punto, un affare tra me e Caterina.

    - Lascio la mia villa di St.Moritz alla dolce Caterina, che so amare l’aria pura di quei monti e di quelle splendide vallate. -
    Caterina, un sorriso falsamente triste sul volto, era decisamente soprappeso di una decina di chili, ma certamente ancora una gran bella donna.
    Guardò il suo ultimo convivente, tale Andreas, di una decina d’anni più giovane di lei, e che gestiva un’officina della Opel ad Atene (anche se non capiva un beneamato cazzo di motori).
    Sicuramente stavano maledicendo il buon Dimitri che, evidentemente, aveva lasciato a me la sua preziosa collezione di orologi.
    Per nascondere la mia gioia, mi misi a fischiettare con noncuranza, guardando il soffitto e notando una seconda mosca che volteggiava incazzata come un picchio: smisi non appena incrociai lo sguardo feroce del notaio, che se avesse potuto mi avrebbe cacciato a calci nel culo dallo studio.

    Caterina, l’anno in cui le sorelle mi regalarono valanghe di seghe e pompini, aveva ventitre anni.
    Era una gran gnocca, fidanzata da tempo con un ragazzo che stava facendo il militare a Larissa.
    Ragazza dal carattere focoso, non era certo tipo da cintura di castità.
    Il suo fisico prorompente attirava i maschi a chilometri di distanza.
    Accortasi dei attività sessuali delle sorelle con il sottoscritto, non volle essere da meno, ed anche lei attentò, da gran paracula qual’era, alle mie virtù.
    Caterina veniva con me al capanno di notte, quando tutti dormivano beati e sereni.
    Mi scopava ritmicamente, seduta su di me, torturandosi il seno ed i capezzoli, fino allo sfinimento (mio, non suo).
    Cercate di capirmi: iniziavo la giornata con una pippa di Anthi, digerivo il pranzo con il pompino di Marika, e la notte venivo violentato da quell’amazzone di Caterina.
    Quando a settembre tornai a casa, mia madre, preoccupatissima, mi portò dal dottore, visto che ero dimagrito di cinque chili, malgrado mangiassi come un cavallo frisone.

    Una notte, dal momento che ero un ragazzetto intraprendente e di ampie vedute, volli apportare una qualche modifica alla scopata con la cugina, mettendo in pratica quello che avevo diligentemente studiato su ” Eros”, che per me, a quei tempi, era come un testo sacro per il pope della chiesa ortodossa del vicino villaggio.
    Mi inginocchiai dietro di lei e, senza eccessivi riguardi, la inculai poderosamente.
    Per me era la prima volta che infilavo l’uccello nella strada posteriore di una donna: e, per Caterina, era la prima volta che un cazzo si faceva largo nel suo adorabile culo.
    A quella dolce (!) intrusione, Caterina urlò, soffiò come una gatta infuriata, si agitò coprendomi d’insulti, ma nulla fece per sfilarsi dal mio cazzo.
    Tanto che, dalla sera successiva, saltammo la scopata per produrci subito in memorabili inculate.

    Le due mosche continuavano a ronzare, ed il notaio procedeva nella lettura delle disposizioni testamentarie.
    Aspettavo tranquillo la mia collezione di orologi.

    - Al mio nipote prediletto, Vassili, lascio il capanno che so lui amare profondamente… -
    Una spia rossa d’allarme si accese improvvisa nella mia mente.
    Qualcosa mi stava dicendo che il vecchio mi stava fregando.
    - … e i miei diari che saranno per lui una lettura sicuramente interessante. -
    Il vecchio bastardo mi aveva fregato.
    - La collezione di orologi, invece, l’ho venduta anni fa, e con i soldi mi sono goduto la vita, e alla grande. -
    Il vecchio bastardo fottuto si era mangiato tutto il resto del capitale.
    Il notaio godeva come una iena dopo un’epidemia nella savana.

    Lo stronzo leguleio mi mise sotto il naso una scatola di cartone.
    - Ecco i diari di suo zio. Sono suoi. - mi disse con una faccia da cazzo che avrei voluto frantumare con una capocciata.

    Firmammo quello che c’era da firmare e, salutate le tre cuginastre troiane ed i rispettivi cazzoni che le accompagnavano, me ne andai con i diari sotto il braccio, imprecando come un facchino in sessantuno lingue diverse.

    Sdraiato sul letto, avvolto dal caldo oppressivo e appiccicoso di quella giornata, stavo ripensando al perchè lo “ zio “ Dimitri mi avesse trattato così.
    Per fortuna non avevo bisogno di soldi, ma… cazzo… le tre cugine si erano cuccate una villa a testa… invece a me… il capanno, porca troia… e quegli stramaledetti diari del cazzo !!
    Allungai la mano e presi la scatola per leggere le stronzate che il vecchio sicuramente aveva scritto.
    Sollevati i lembi di cartone, rimasi di sasso.
    Di diari non ce n’era nemmeno l’ombra.
    Nella scatola c’erano tre videocassette e una busta bianca, con su scritto, nella calligrafia dello “ zio “ Dimitri: - Aprila, ma solo dopo aver visto le cassette. -

    Mi trasferii in salone, accesi il videoregistratore e inserii la prima cassetta.
    Non sapevo proprio a che gioco stesse giocando il vecchio bastardo.

    Una telecamera fissa inquadrava la camera dello zio ed era puntata sull’enorme letto che lui si era fatto costruire da un artigiano di Naxos.
    Sullo schermo, in alto, sulla destra, una data di sei mesi prima.
    Sul letto, e completamente nudo, il gran maialone si stava facendo fare un pompino da Marika.
    Mia cugina, inginocchiata tra le gambe dello “ zio “, succhiava e leccava con impegno l’asta paonazza (e non potei fare a meno di notare l’abilità di quella gran porcona).
    Dopo circa sei-sette minuti, lo “ zio “ Dimitri venne (e, malgrado l’età, venne pure abbondantemente), inondandole il viso, tra gemiti e sospiri, parolacce ed insulti.
    Marika lo ripulì con la lingua accuratamente, assaporando fino all’ultima goccia lo sperma dello “ zio “.
    E ti credo che la cugina che si era beccata la villa sul Trihonida !!
    Per una pompa come quella io le avrei regalato anche tutta Creta !!

    Con uno strano presentimento inserii nel videoregistratore anche la seconda cassetta.
    Stessa immagine.
    Cambiava solo la data, di quattro mesi prima.
    E cambiava la protagonista: ora c’era Anthi che tirava una sega al sommo suino.
    Le mani della cuginastra, dalle unghie laccate di un sensuale color prugna, scorrevano implacabili sul cazzo dello “ zio “, tormentando la cappella, lisciando l’asta, palpando i coglioni.
    Altre grida di piacere, altri insulti e altra schizzata.
    E Anthi si era intascata la casa di Santorini.
    Hai capito.

    Quando schiaffai nel videoregistratore la terza cassetta già sapevo che cosa avrei visto.
    La data mi diceva che era passato quasi un anno dagli eventi immortalati sul nastro.
    Sul letto costruito su misura a Naxos, Caterina, a pecora, si faceva inculare prepotentemente dallo “ zio “ (secondo me il vecchio si calava Viagra come acqua fresca), che la stantuffava tenendola per i fianchi.
    E, quando venne, il grosso paraculo voltò il viso verso la telecamera e strizzò l’occhio divertito.
    E la villa di St.Moritz era stata così aggiudicata.

    Spensi il videoregistratore e aprii la busta.
    C’era un solo foglio, scritto dallo “ zio “.

    - Caro Vassili,
    come hai potuto di certo constatare, le tue tre cugine sono state molto generose con me.
    Negli anni, mi hanno raccontato di quello che accadeva nel capanno, e di come tu le addestrasti ai rudimenti del sesso.
    Devo riconoscere che hai fatto un ottimo lavoro.
    Grazie ai tuoi insegnamenti, in tutti questi anni sono stato spompinato e masturbato allo sfinimento, ed ho avuto un culo accogliente, molto accogliente, sempre a mia disposizione.
    Per cui, ti sono debitore.
    Decisamente.
    Prendi le tre chiavi che troverai nel fondo della scatola. -

    Frugai freneticamente e strinsi nel pugno le tre chiavi.

    - Sono le chiavi di tre cassette di sicurezza nella banca di cui leggi l’indirizzo in calce alla lettera.
    Il direttore è stato da me autorizzato a farti aprire le cassette.
    Lì troverai la collezione di orologi.
    Non l’avevo certo venduta, che cosa ti credevi.
    E così, ora, siamo pari.
    Goditi la vita, figliolo.

    Zio Dimitri

    P.S. Un consiglio, caro Vassili.
    Le indubbie doti delle tue care cugine, doti orali, manuali ed anali, mi sembra siano più che evidenti.
    Visto che io non le potrò più apprezzare, sarebbe il caso che tu non lasciassi arrugginire le signore.
    A buon intenditor… -

    Scoppiai a ridere, istericamente.
    Il vecchio “ zio “ Dimitri.
    Il vecchio bastardo “ zio “ Dimitri.
    Il vecchio bastardo fottuto “ zio “ Dimitri.

    Quella sera, per festeggiare, prima mi ubriacai con una bottiglia di ouzo; poi camminai, barcollando e incespicando, per le strade di Atene.
    Mi risvegliai, all’alba, sdraiato su una panchina, e con la testa che mi scoppiava.
    Ma avevo la collezione di orologi.

    Più tardi, composi il numero con un ghigno satanico.
    Avrei fatto tre telefonate, una dietro l’altra.
    - Ciao, Marika. Pensavo… perché non c’incontriamo uno di questi giorni… come ai bei tempi… lo “ zio “ Dimitri ne sarebbe certamente molto contento… -
     
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