Il fratellino adottivo

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    Johnny aveva iniziato da poco la prima media, ma si sentiva ancora un bambino, un po’ per la sua natura, un po’ per come la sorellona adottiva Anna si ostinava a trattarlo. Ma a lui non dispiaceva affatto. Anzi, si sentiva a proprio agio. A scuola prendeva sempre il massimo dei voti ed era titolare nella squadra di minibasket della cittadina. Inoltre sapeva suonare molto bene la chitarra e usciva spesso con i compagni e con le prime amichette. Era sempre stato un po’ costipato però. Un problema che gli restava irrisolto fin da quando aveva sei o sette anni. E Anna gli diceva chiaramente che se ogni tanto gli fosse scappata, lei non si sarebbe arrabbiata. Anzi, se per caso sentiva lo stimolo e non aveva la possibilità di usare un bagno, era meglio che la lasciasse andare piuttosto che perdere l’occasione. E così accadde un pomeriggio di ottobre, verso le quattro, mentre il castano undicenne tornava a piedi da scuola. Indossava un paio di jeans abbastanza stretti e una t-shirt del genere che tutti i ragazzetti indossano, e portava sulle spalle uno zainetto con qualche libro. Cammina cammina, girando dietro l’angolo della scuola cominciò a sentire qualcosa che premeva nel suo sederino. In realtà già durante l’ora di matematica a scuola aveva avvertito un certo stimolo, ma farsela sotto a scuola era fuori discussione: se i compagni se ne fossero accorti, lo avrebbero preso in giro a vita. L’anno precedente gli era capitato mentre giocava una partita di minibasket, nella palestra della scuola elementare che frequentava. Non l’aveva neanche fatto apposta, ma si era dovuto arrendere alla natura. Mentre correva per tirare la palla a canestro verso gli ultimi minuti di gioco, quando già lo stimolo si faceva più vivace, sentì una fitta di dolore al ventre, così passò velocemente la palla e finse di scivolare. Erano tre giorni che non andava in bagno e non se ne era curato per niente. Mentre cadeva seduto una certa quantità di diarrea gli fuoriuscì inaspettatamente dallo sfintere andando a imbrattare definitivamente le mutandine bianche che indossava. Il dolore alla pancia svanì all’istante e lui continuò a giocare, anche se sentiva qualcosa di pesante nei pantaloni. Qualche minuto dopo nello spogliatoio gli altri bambini si accorsero dello strano odore, ma per fortuna non riuscirono a individuarne la provenienza, così col cuore in gola Johnny scappò a casa a pulirsi.
    Quel giorno invece erano almeno quattro giorni che non andava di corpo, ma si era opposto con ostinazione al rimedio della supposta, che non poteva proprio sopportare. Intanto cominciò ad agitarsi un po’ quando il pancino cominciò a fargli capire che era pieno e necessitava di essere svuotato rapidamente. Johnny passò per una strada piuttosto affollata, tenendo il sederino stretto e continuando a trattenere lo stimolo. Poi anziché seguire la strada ordinaria passò per un vicolo poco frequentato nel quale in quel momento non sembrava ci fosse proprio nessuno. Tirando un sospiro di sollievo Johnny cominciò a pregustare il momento in cui quel fastidioso stimolo sarebbe cessato. Mentre passava davanti a un alberello rilassò gradualmente i muscoli dello sfintere, lasciando che la materia scorresse fino ad arrivare in punta in punta. Così camminando si guardò attorno e, non vedendo nessuno, si piegò un po’ all’indietro e cominciò a fare cacca. Così, nelle mutande. Per strada, dove si trovava. Ne lasciò uscire un po’, poi fece qualche altro passo. Si piegò di nuovo e se ne fece sotto un altro po’, dopodiché, passato il fastidio iniziale, si diresse rapidamente verso casa. Nelle strade affollate nessuno parve accorgersi del piccolo incidente che gli era capitato, finché non incontrò una delle maestre delle elementari. “Oh, no!” esclamò a se stesso Johnny, non riuscendo a fingere di non averla vista. Monica, la maestra, una donna non molto alta, castana, sui trent’anni, lo strinse forte in un abbraccio, poi gli diede due baci sulle guance e attaccò bottone. Johnny si sentiva abbastanza ridicolo, fermo per strada, in parte piegato in avanti e con le mutandine tutte sporche. La sua prima preoccupazione, però, era che la maestra non si accorgesse di niente. La sua cacca da bambino non puzzava un granché, ma emanava un odore chiaramente distinguibile. La maestra inoltre, era nota per essere abbastanza perversa in fatto di bambini: una volta a nove anni lo aveva cambiato in un’aula vuota perché gli era scappata la pipì e dopo averlo denudato completamente (Johnny le aveva spiegato che sapeva vestirsi da solo, ma non c’era stata ragione di farglielo capire) lo aveva preso in braccio e coccolato per qualche minuto, indugiando particolarmente sulle sue parti intime. Allora lo aveva anche baciato sul pube, rassicurandolo e dicendogli delle cose molto dolci, ma il bambino non si ricordava bene: erano passati già due anni. Ricordava solo che si era sentito protetto e aveva gradito molto il servizio intimo della maestra. Così le era sempre rimasto un po’ affezionato e spesso la andava a salutare spontaneamente, ma quella volta lì doveva proprio correre a casa a cambiarsi. Monica non voleva sentire storie: gli chiese delle interrogazioni e dei voti, e anche di Anna, che era stata sua alunna molti anni prima. Fu molto contenta di sapere che tutto andasse per il meglio, così abbracciò il bambino un'altra volta, e con una mano gli tastò il sedere, facendolo sussultare. Il bambino sperò con tutto il cuore che non si accorgesse del misfatto, ma non c’erano molte speranze. La maestra Monica gli comprò un cono gelato e lo portò a sedersi su una panchina, continuando a parlare del più e del meno, chiedendogli infine se avesse già trovato una ragazzina che gli piaceva. Imbarazzato, Johnny rispose di no con un cenno, anche se una bambina mora di un anno più grande gli faceva fare qualche pensiero da porcellino. Intanto era sempre più intimidito dal cattivo odore che si stava diffondendo a forza di star fermo, oltretutto con il sederino sporco schiacciato contro la panchina di marmo. Quando ormai era più che evidente che il bambino avesse qualche problemino, Monica gli si avvicinò e accarezzandogli i capelli gli sussurrò ad un orecchio: “Ti va di passare un minuto da casa mia? Così puoi cambiarti”.
    Il battito cardiaco di Johnny si fece più rapido, ma tale era l’imbarazzo che non disse una parola, ma si lasciò prendere per mano dalla maestra premurosa e la seguì per qualche decina di metri fino alla sua modesta abitazione, che per fortuna era vuota. Monica si sedette sul divano, con davanti il bambino che era diventato rosso come un peperone e, tenendogli entrambe le mani, gli chiese: “Allora, come è successo?”. Johnny non rispose. “Avevi mal di pancia?”, chiese allora lei. Il piccolo studente scosse la testa. Poi aspettò qualche secondo e rispose: “Mi scappava e non potevo andare in bagno. Anna mi ha detto che quando è così posso anche farmi sotto che non si arrabbia”. Poi la maestra notò i suoi occhioni verdi che iniziavano a luccicare, segno di un pianto imminente. Allora gli sorrise e gli accarezzò i capelli, e lo portò in bagno. “Ti capita spesso di farti sotto?”, chiese. “Ogni tanto”, rispose con sincerità Johnny.
    Entrati nel pulitissimo bagno spazioso della casa di Monica, lei si abbassò e sbottonò i jeans al ragazzino e glieli calò fino al pavimento, poi gli fece alzare le gambe e glieli tolse. Johnny restava passivo, come Anna lo aveva abituato. La maestra gli andò dietro e con un dito tirò l’elastico delle mutandine, cercando di valutare il danno sbirciando con un occhio. “Guarda che disastro”, esclamò, “Povero piccolo!”, e lo accarezzò dolcemente. Poi gli tirò giù le mutandine, mettendo in mostra un corpicino che cominciava a non essere più del tutto infantile. Le mutandine erano tutte sporche e una certa quantità di cacca si era come spalmata omogeneamente in corrispondenza del culetto del bambino. Il sederino era completamente liscio e privo di peli, mentre il pisellino era un po’ più grande di come se lo ricordava e le pallucce erano diventate leggermente più voluminose. Ma il cambiamento che saltò immediatamente all’occhio furono i corti peletti chiari che stavano crescendo sul pube, trasformando quell’innocente e dolce bambino in un piccolo ometto.
    “Finisci di fare, se devi”, gli disse dolcemente Monica, “io mi vado a mettere qualcosa di più comodo”. Johnny si avvicinò al water, alzò il coperchio e si sedette a gambe aperte, attento a non sporcare la ciambella. Si sentiva umiliato e demotivato, ma capì che non doveva vergognarsi: con la maestra c’era una grande confidenza e lei aveva un bambino di un paio d’anni più piccolo di lui, quindi era sicuramente abituata a quegli avvenimenti. Monica tornò in bagno scalza, con addosso solo un paio di mutandine nere e una maglietta bianca trasparente senza reggiseno, che non lasciava nulla all’immaginazione. Johnny cominciava a interessarsi sempre di più alle forme femminili e dovette ammettere che la maestra era veramente una bellissima ragazza. Monica si sedette sul bidet, aspettando che il bambino finisse di liberarsi il pancino. Lui riuscì a fare un altro po’ di cacca e si sentì davvero sollevato quando si accorse che si era svuotato interamente da quel fastidioso flagello. “Maestra, ho finito”, sussurrò, prevedendo le prossime mosse della ragazza. “Ormai puoi chiamarmi Monica”, lo corresse lei, “o anche mamma se ti fa sentire a tuo agio”, e sorrise teneramente. Poi si alzò e iniziò a pulire il culetto del piccolo undicenne con la carta igienica, tirò l’acqua, e lo fece sedere sul bidet. Dopo aver regolato l’acqua lo lavò completamente col sapone, riportando quel dolce culetto al suo normale stato di pulizia. Mentre lo puliva gli infilò leggermente il mignolo nel buchino e lo ruotò lentamente. Poi gli sfilò le mutandine e le chiuse in una busta di plastica. Dopo averlo asciugato lo portò con se in salotto e se lo mise in braccio sul divano, con la televisione accesa. Johnny si ricordò di quando l’anno prima, tornato da scuola, Anna aveva fatto lo stesso gesto ed era proprio un giorno che aveva lasciato andare la cacca per strada. Facendolo sedere sulle sua ginocchia aveva detto: “Che puzza di cacca! Ma ti sei fatto sotto?”. E Johnny in assoluta intimità le aveva risposto: “Un po’ sì. Mi scappava proprio”. E solo dopo si era accorto che in casa c’erano anche due amiche di Anna che scoppiarono a ridere come due oche. Lui non si era mai vergognato così tanto in vita sua e le tre ragazze avevano passato diversi minuti a fargli una doccia e ripulirlo da tutto ciò che aveva prodotto. Lo avevano trattato come un bambolotto in pratica.
    Johnny appoggiò la testa sul seno di Monica per farsi coccolare. Lei lo abbracciò e lo accarezzò su diverse parti del corpo, poi gli prese una mano e la guidò verso le proprie mutandine di pizzo. Quando il ragazzino si trovò a contatto con un folto boschetto di peli scuri il pisellino gli si rizzò all’istante, sorprendendo la maestra. Lei lo accarezzò con cura, tastandogli anche le pallucce, poi lo masturbò delicatamente, facendogli provare un grande piacere. Con una mano si slacciò il reggiseno e lasciò che il bambino, più eccitato che mai, le succhiasse i capezzoli grandi come olive. Allora, quando anche lei era molto eccitata, si sfilò le mutandine, lasciando che il bambino vedesse una fica semi-rasata veramente attraente. Era la prima che vedeva, dopo quella della sorella maggiore Anna. Lui la toccò e la scoprì calda e umida, eccitandosi ancora di più. La masturbò con le dita e poi con la lingua, finché lei non venne copiosamente e lo inondò con i propri umori. Monica, soddisfatta, si alzò e prese dalla borsa un pennarello arrotondato di che a scuola usava per scrivere alla lavagna bianca. Fece mettere il bambino a pecorina e gli leccò vigorosamente il buchino del culetto, forzandolo con la lingua e succhiandolo, poi lo penetrò superficialmente con il dito medio e cercò di allargarlo in tutte le direzioni. Quando decise che era sufficientemente dilatato vi infilò delicatamente il pennarello e cominciò a ruotarlo prima dolcemente, poi più rapidamente. Il bambino godeva e gemeva, non avendo mai provato delle sensazioni così intense. Allora Monica lo fece mettere con la schiena sul divano e gli fece alzare le gambe in modo da mostrare direttamente sia il culetto che il pisellino. Col pennarello ruotava e penetrava il culetto del bambino, mentre iniziava a leccare tutto il pube del bambino, a partire dalle tenere pallucce fino alla punta del pisellino, che aveva già raggiunto i sette centimetri di lunghezza. Lo succhiò sempre più vigorosamente, finché Johnny non cominciò a tremare e gridò ansimando:“Devo fare pipì! Mi scappa! Mi faccio sotto… aaahhhhhh!”. “Mi sono fatto sotto di nuovo”, piagnucolò poi, convinto che dal pisellino gli fosse scappata la pipì. Monica aveva continuato a succhiare e aveva ingoiato pienamente il primo orgasmo del bambino, mentre questo godeva come un piccolo porcellino. Allora lo baciò con la lingua, sorprendendosi del fatto che lui sapesse farlo e continuò a tenerlo stretto per cinque minuti, poi lo fece alzare in piedi e delicatamente tirò fuori il pennarello dal culetto di Johnny. Il ragazzino provò una sensazione molto strana quanto piacevole. Monica si accorse che il pennarello si era tutto sporcato di cacca, così come il culetto del bambino. “Ooops”, fece lui sentendosi colpevole. “Vieni che ti pulisco di nuovo”, sussurrò la maestra, prendendolo in braccio con un certo sforzo.
     
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