Il figlio del vicino

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    Da sei settimane il mio amante era il figlio del vicino. Era un ragazzino di quindici anni e sedurlo era stato facile. Mi spogliavo di notte per andare a dormire, e lui se ne stava immobile alla finestra, convinto che non sapessi che era lì, invece era talmente prevedibile, anche suo padre faceva il guardone. Me ne stavo bene attenta a non farmi vedere dal padre e correvo a chiudere le imposte ogni volta che indovinavo la sua espressione da ficcanaso che mi scrutava dal balcone di fronte, mentre col figlio avevo adottato la tattica contraria; una luce dimenticata accesa, mutandine di pizzo gettate sul letto, gemiti più forti del solito le volte che mi capitava di fare l'amore con mio marito nelle notti d'estate, quando le finestre restavano aperte. Sapevo che si credeva padrone di un segreto e per giunta molto furbo perchè convinto di esserne l'unico a conoscenza; percepivo il suo respiro trattenuto, gli sguardi appuntiti come lame, la mano che gli correva al sesso. Uscivo la mattina a fare la spesa e lui era già lì, dietro la finestra, il suo sguardo come una melassa che mi cospargeva addosso. Capivo che era pronto, restava solo da attirarlo nella rete e fare in modo che nessuno se ne accorgesse.
    La lunga estate era cominciata da poco, ma il caldo era arrivato già con la primavera. Mi annoiavo, e non era una novità. Non lavoravo, non ne avevo bisogno, perchè mio marito guadagnava bene, di conseguenza non vedevo perchè avrei dovuto sprecare tempo e fatica. A mio marito non importava quello che facevo con la mia vita, gli bastava avere la casa e i vestiti puliti e la cena sul piatto. Non era un uomo cattivo, era solo spento, ed era strano dirlo di qualcuno che non aveva nemmeno quarant'anni, eppure era meno vivace di un pensionato. Io di anni ne avevo trentacinque e non mi andava di sentirmeli addosso. Volevo essere ancora una ragazzina e fare tutte le esperienze che mi erano state negate perchè mi ero sposata molto giovane. A quei tempi pensavo al matrimonio come all'unica via di uscita dall'oppressione dei miei genitori. Ero la loro unica figlia, non facevano altro che controllarmi, interrogarmi e decidere al posto mio. Era come stare in prigione, perchè non ero in nulla padrona di me stessa. Il primo uomo che mi capitò a tiro e che si dimostrò tanto cotto di me da volermi sposare non me lo lasciai sfuggire. Così ero arrivata a quel punto, non avevo più chi mi controllava perchè mio marito era sempre lontano da casa per il suo lavoro, non avevo figli dei quali occuparmi, non avevo altro da fare che ingannare il tempo per arrivare fino a sera, ed avevo deciso che mi sarei fatta un amante; mi ci voleva pure un po' di distrazione, no?
    Pensai subito che un ragazzino sarebbe stata la scelta giusta. A quell'età sono diventati uomini da poco, non fanno altro che pensare al sesso e sono pieni di energia, mi occorreva solo di trovarne uno abbastanza mansueto da fare al caso mio. Il figlio del vicino era cresciuto in una famiglia strana e morbosa. Sua padre si era beccato non so quante denunce a causa della sua mania di spiare le donne, eppure non vi aveva mai rinunciato. Esibiva la sua pancia informe e quegli stupidi baffetti credendo di suscitare chissà quali voglie. Sua moglie era scialba come il semolino e spesso assente. Mi ero chiesta spesso che cosa avesse potuto metterli assieme, che cosa una donna, per quanto brutta e insignificante, potesse aver trovato in un individuo borioso e imbecille come quello, e soprattutto mi chiedevo come poteva rimanerci insieme anche dopo che era diventato lo zimbello del quartiere. Ma la cosa più bizzarra di quella famiglia era il fatto che il figlio non fosse affatto male. Osservando le coppie e la loro prole, ero giunta alla conclusione che la natura tende a migliorarsi e che non è poi così raro che da due genitori brutti nasca una creatura bella. Il ragazzino era alto e ben fatto, con un viso gradevole nonostante gli occhiali, ma era impacciato e solitario. Non c'era da stupirsene, visto che la fama del padre provocava invettive ai suoi danni anche da parte dei suoi coetanei, e i vestiti fuori moda con cui lo imbacuccava la madre non lo aiutavano certo a farlo diventare più popolare.
    L'occasione che avevo atteso si presentò una sera che ero andata a mangiare con mio marito alla sagra. Era in realtà una festa di quartiere, affollata abbastanza da potersi perdere di vista, ma non tanto da smarrirsi. Stavo ancora al tavolo quando avevo visto arrivare il ragazzino in compagnia dell'unico amico che aveva, uno ancora più squallido di lui e con la faccia piena di brufoli. Se ne stavano in disparte, sul limitare del cerchio di luce, due brutti anatroccoli destinati a restare sempre tali, e mangiavano un gelato. L'altro ragazzino faceva commenti che scatenavano risolini da parte di entrambi. Finimmo di mangiare che quei due erano ancora lì che andavano e venivano dall'ombra alla luce, respinti e attratti dalla musica che proveniva dal palco e dalla presenza di alcune fanciulle. Si vedeva che volevano buttarsi, ma esitavano, temendo che il loro tentativo sarebbe andato a vuoto. Intanto io e mio marito c'incamminammo e incontrammo un suo amico; io riuscii a dirottare gli uomini verso le automobili esposte e li lasciai immersi in una discussione che non li avrebbe fatti preoccupare della mia assenza. Mi mossi con fare noncurante fingendo di osservare gli stands, e intanto mi avvicinavo come un gatto alla preda, navigavo verso la zona d'ombra. Il ragazzino era rimasto solo; era ancora più discosto dalla gente e vicino ai bagni, dove indovinai fosse finito il suo amichetto. Gli arrivai di lato senza che se ne accorgesse e gli dissi un “ciao” che lo fece sobbalzare e diventare rosso fino alla radice dei capelli prima ancora che l'eco del suono si fosse dissolta nell'aria.
    - Che cosa fai tutto solo? - buttai là.
    Lui fece un'espressione talmente basita che per una frazione di secondo pensai di aver commesso un errore, e che fosse molto più imbranato di quanto avessi immaginato, ma poi deglutì, si riprese e balbettò:
    - Non sono solo, c'è un mio amico.
    La sua voce era già profonda; lo fissai negli occhi castani disarmati. Senza aggiungere altro e senza dargli il tempo di reagire, lo attirai a me e cominciai a baciarlo. Sentii la rigidezza del primo momento lasciare il posto al piacere, mentre le membra gli si intenerivano e muoveva la lingua in modo inesperto cercando di imitare la mia. Vidi con la coda dell'occhio il suo amico che ci stava fissando a bocca spalancata dietro di lui, e che scomparve veloce come un coniglio quando lo fissai. Allontanai il ragazzino con uno strattone non appena mi accorsi che il suo pene era duro.
    - Domani alle due – dissi solo, e mi allontanai senza girarmi indietro.
     
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