Week end coi cani

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    Amore, Lucio ha fissato una riunione per domani a mezzogiorno. Non possiamo realizzare quel programma che avevamo deciso.”
    “Fa nulla! Non ti preoccupare! Forse è meglio così: ci vado sola. Stavo giusto pensando che dà un pezzo trascuro i nostri cani. Ne approfitterò per portarli con me e dedicarmi completamente a loro. Ci vediamo domenica mattina. Baci!”
    Con mio marito, dirigente di una azienda del settore tecnologia informatica, avevamo progettato di passare il week end nella nostra villetta al mare, a mezz’ora di strada da casa nostra.
    A dire il vero, ero davvero contenta di quel imprevisto. Sentivo di aver trascurato i miei cani troppo a lungo e sarebbe stata l’occasione giusta per passare un po’ di tempo con loro.
    Organizzai uno zainetto con qualche ricambio e lo stretto indispensabile ed avvertì Marco, mio figlio, che era preso ad ascoltare musica in camera sua.
    “Vengo a farti compagnia!”
    “No! Tu rimani qui a far compagnia a papà e ci vediamo domenica mattina.”
    Sapevo che, se fosse venuto con me, avrebbe preteso che mi dedicassi a lui e, prima o poi, mi avrebbe portato a casa anche qualche suo amico da accontentare. Era andata sempre così tutte le volte che lo avevo portato. Non che mi fosse mai dispiaciuto, ma stavolta non avevo proprio nessuna voglia di cazzo umano e, se mai mi fosse venuta, c’era sempre Enrico, il giovane architetto che abitava accanto alla nostra villa e che più di una volta aveva placato le mie voglie.
    Misi il piccolo bagaglio sul sedile anteriore del fuoristrada e feci salire Buck, Dardo e Black dietro all’ampio portabagagli ottenuto svellendo il sedile posteriore. Erano pratici e sapevano stare tranquillamente per il tempo necessario al breve trasferimento. Buck e Dardo sono due splendidi tedeschi mentre Black è un belga, ma sono cresciuti insieme ed hanno un perfetto affiatamento. Tuttavia, Buck si è imposto come capo branco.
    Marco mi salutò con un bacio, cercando di trattenermi più a lungo di quanto io desiderassi, ma lo allontanai con decisione.
    “Sei sicura di non aver bisogno di me?”
    ”Sicurissima!”
    “Quand’è cos’ì, buon week end, mamma!”
    Mi infilai in macchina è partì risoluta.
    Nella calura pomeridiana dell’estate rovente, i più preferivano rimanere al fresco degli uffici climatizzati, o nei centri commerciali, se proprio non potevano essere al mare. Così sulla strada c’erano solo quelli che proprio non potevano farne a ameno ed il traffico era minimo. Mi godevo quella guida tranquilla, ascoltando la mia stazione preferita, al fresco generato dall’aria condizionata. L’ansimare dei miei animali mi era di compagnia, insieme al loro odore forte, Adoravo questo particolare: i miei cani, nonostante li curassimo tantissimo e fossero puliti al limite del parossismo, conservavano quel afrore di selvatico che mi faceva impazzire.

    Arrivai alla marina e l’attraversai diretta a sud, dopo qualche centinaio di metri dall’abitato sorgeva la nostra villetta, appollaiata sugli scogli, di fronte solo la casa dell’architetto e qualche albero che era riuscito a trovare un po’ di terreno tra le rocce. Azionai il telecomando ed il cancello si mosse, schiudendosi.
    Entrai e lasciai l’auto fuori dal box. Scesi, prendendo il piccolo zaino ed andai ad aprire il bagagliaio per far uscire i cani, che si fondarono fuori dal mezzo. Mi avviai verso la porta di casa, mentre cercavo nella borsa le chiavi. Buck si avvicinò alle mie spalle, infilando il capo sotto il corto vestito: sentì la sua lingua ruvida sulla pelle delle mie cosce, mentre cercava il frutto celato dall’impalpabile tessuto del mio intimo.
    “Smettila, datti pace diavoletto!” intimai mentre giungevamo alla porta ed ancora non ero riuscita a risolvere il problema delle chiavi. In quel mentre la porta si aprì.
    “Ciao Laura, che ci fai qui?”
    Laura è la signora che si occupa della casa in nostra ssenza, più un’amica che una vera collaboratrice, anche se le diamo un piccolo compenso per questo suo incarico.
    “Salve, signora! Suo marito mi aveva chiamato ieri per avvertirmi che sareste venuti, così ho pensato di rifornire il frigo di qualcosa da mangiare e da bere. Ma lui non c’è?”
    Nonostante le avessi ripetutamente permesso di darmi del tu, si ostinava a rivolgersi a me e mio marito usando il lei ed il signore.
    “Un contrattempo di lavoro. pazienza!”
    “Allora vado! Se ha bisogno di qualcosa mi chiami. Andiamo macchia!” fu allora che mi accorsi di un bel esemplare di dalmata che attendeva alle sue spalle di uscire.
    “È il tuo cane? Bellissimo! Perché non me lo lasci per stasera?”
    “Per fare qualche giochino di quelli che fa con i suoi?” non ne avevamo mai parlato, né mi aveva mai vista, ma, evidentemente, aveva capito tutto osservando lo strano comportamento dei miei cani con me “Non credo che a mio marito farebbe piacere!”
    “Perché tuo marito dovrebbe saperlo?”
    “E se poi a lui piace e prova a farlo con me?”
    “E se poi piace anche a te? Il bello di questi giochi e che si possono fare anche quando non c’è il marito.”
    “Facciamo che aspetto. Se lui vuol giocare, io guardo, ma poi lo riporto a casa.”
    “Per me va bene!” avrei soddisfatto così anche il mio esibizionismo.
    Posai lo zaino. Buck e gli altri due davano segni di impazienza e li capivo: erano dieci giorni che non mi concedevo a loro e non ci erano abituati. Presi dallo zaino dei calzini imbottiti a misura delle loro zampe: gli usavo per evitare che nella foga mi potessero graffiare. Poi presi dall’armadietto in bagno una benda e, con l’aiuto di Laura fasciai anche le zampe di Macchia, che non era molto contento. Quindi mi tolsi il vestito: i miei tre cani mi furono subito intorno, avendo capito le mie intenzioni. Che bello che gli animali non silurino della presenza di estranei e che si basino solo sui loro istinti. Sfilai anche il perizoma e gettai un’occhiata a Laura che si era seduta, con il fido Macchia accanto. Mi stesi sul tappeto e Buck, subito, intrufolò la testa tra le mie gambe, cominciando a leccarmi la fica rasata. Adoro il suo modo di leccarmi e provai un piacere immenso. Gli altri due si avvicinarono ai mie capezzoli come avevo insegnato. Li lasciai fare per qualche minuto, poi battei la mano sul tappeto e Buck venne a distendersi accanto a me, presentandomi il ventre. Gli accarezzai i testicoli e poi tutta la tasca fino a che non cominciò a spuntare il suo magnifico cazzo. Mi sentì leccare nuovamente la fica e guardai: Macchia aveva abbandonato la sua padrona ed aveva preso il posto di Buck. “Impara in fretta!” pensai, ringraziando lo spirito di emulazione del dalmata. Intanto lo splendido membro di Buck era emerso del tutto e lui si era posizionato in modo da agevolare i miei intenti che conosceva bene. Lo leccai un paio di volte, poi lo presi in bocca succhiandoglielo, mentre con la mano continuavo a stimolargli i coglioni. Il suo dolce guaire era al contempo una gratifica al mio impegno ed uno stimolo a fare ancora di più.
    Quando la sua voce salì di tono e le sue zampe anteriori cominciarono a muoversi forsennatamente, capì che stava per venire e mi predisposi ad accogliere il suo nettare. Sentì la bocca riempirsi della sua sborra, deglutì una, due, tre volte, lasciando che solo poche gocce sfuggissero alla mia ingordigia. Lo ripulì accuratamente e lasciai che si allontanasse. In un attimo il suo posto fu preso da Black ed anche a lui mi impegnai a procurare il massimo piacere e lui mi ricambiò con una quantità di crema anche più abbondante di quella di Buck.
    Aspettavo che si avvicinasse Dardo, invece mi accorsi con meraviglia che era Macchia ad essersi disteso accanto a me. L’altro non gradì di essere stato scavalcato e gli ringhiò contro, ma bastò che gli parlassi perché si quetasse. Il dalmata, assolutamente privo di esperienza, si era messo troppo lontano: invece di avvicinarmi io, provai a far muovere lui, stimolandolo con le mani. Si eccitava, ma non capiva cosa fare: Buck prese a spingerlo, ma l’altro fraintese il suo intento e gli abbaiò contro. Ad evitare il peggio, Laura si avvicinò e lo portò all’altezza della mia bocca famelica, rimanendo nei pressi tutto il tempo, fino a che anche il suo cane non mi godette in bocca una sborra dal sapore più acidulo di quello dei miei, segno di una diversa alimentazione. Dopo aver ingoiato anche il suo sperma, non senza qualche difficoltà, chiamai Dardo e quando ebbi bevuto anche il suo nettare, mi considerai soddisfatta. Mi alzai e riempì d’acqua le loro ciotole, po mi rivolsi a Laura.
    “Allora?”
    “Un po’ di curiosità, ma anche tanto ribrezzo signora. Mi perdoni.”
    “Figurati! È stato così anche per me la prima volta, ora non so farne a meno.”
    “Ora vado, signora! Torno domani, o anche prima se ha bisogno.” Si allontanò seguita dal suo cane.
    Avevo bevuto tanta sborra canina ed, anche se ci ero abituata, pensai fosse meglio inghiottire un po’ di pane, così presi due foglie di insalata, un po’ d’olio, versai dei bocconcini nelle ciotole dei cani e …cenammo.
    Avevo deciso di vivere quel week end animalescamente e non avevo nessuna intenzione di lavarmi, tanto meno di vestirmi. Infilai solo il perizoma, presi un libro ed uscì in veranda; mi sistemai sulla mia poltrona preferita e cominciai a leggere.
    Il sole era ormai calato, anche se all’orizzonte si scorgeva ancora un piccolo chiarore; il libro mi prendeva ed il fresco piacevole della sera sul mio corpo mi inebriava. Ero tranquilla, protetta da sguardi indiscreti e la presenza dei cani era una garanzia che nessuno potesse avvicinarsi di nascosto. Loro restavano sdraiati accanto a me, di tanto in tanto si alzavano per andare a bere e poi tornavano. Ad un tratto, Dardo mi venne vicino, posò il muso sulla mia gamba e mi fissò.
    “Cosa c’è? Vuoi qualcosa?” la sua risposta fu una zampa su di me “Non capisco, cosa vuoi?” lui si mosse e si posizionò davanti a me, cominciando a leccare il tessuto del perizoma. Questo lo capivo: era il modo in cui mi chiedevano sesso. “Non ne hai avuto abbastanza? Ma siete incontentabili. D’accordo: ho detto che sono a vostra disposizione per il week end e potete chiedermi tutto.”
    Fortunatamente non avevo sfilato i calzini. Chiusi il libro, sfilai il perizoma e mi misi a quattro zampe: sapevo che il primo sarebbe stato Buck. I cani rispettano sempre le gerarchie. Sentì le sue zampe sulle mie spalle ed il suo membro cercare la fica; tesi la destra all’indietro per aiutarlo, ma non ci fu bisogno. Il suo cazzo aveva trovato facilmente la strada e si era tuffato nel brodo della mia vagina. Stantuffava velocemente, al modo dei cani, e lo sentivo dentro di me, procurarmi un enorme piacere, il piacere di sentirmi la loro cagna, di soddisfarli godendo. Mi riempirono la figa di sborra, l’uno dopo l’altro, impedendomi di soffocare i miei gemiti di piacere. Quando tutti e tre ebbero approfittato di me, raccolsi un po’ di sperma che mi colava tra le cosce e me lo portai alla bocca. Adoro la sborra di cane, non so se si è capito.
    Ero felice, stanca, ma contenta: mi stesi insieme a loro e con loro mi addormentai per terra, all’aperto.
    Ci svegliammo insieme, alle prime luci dell’alba e stavolta furono loro a dover accontentare le mie voglie, anche se non chiedevano di meglio. Mi spalmai del loro sperma tutto il corpo, mentre si riposavano, sfiniti. Poi mi concessi un umano caffè.
    Quando Laura arrivò per portare qualcosa di pronto da mangiare, credo di averle provocato un trauma. Non mi ero lavata e, come già detto, contavo di non farlo, senza trucco, spettinata, impiastricciata di sperma, nuda. Restò un attimo a bocca aperta.
    “Notte di fuoco, signora!”
    “Già! Ed il giorno non sarà da meno. Perché non hai portato Macchia?”
    “A casa mi stanno aspettando per il pranzo. Ma se vuole lo portò a pomeriggio.”
    ”Perché no! Proveremo ad insegnargli a montarmi.”

    Non solo fu di parola, ma si rivelò anche una ottima assistente per farmi superare l’inesperienza del suo cane. Se non ci fosse stata lei, il dalmata non sarebbe mai riuscito a penetrarmi ed io mi sarei persa una fantastica chiavata. Amorevolmente gli posizionò il glande all’altezza della mi fessa e rimase vicina, pronta ad intervenire ogni volta che nella foga lui mi perdeva. Così vicina da sporcarsi le mani con i miei umori e la sborra del cane.
    “Se vuoi te le pulisco io, ma perché non provi a leccarle. Vedrai che non è poi così tremendo.”
    Mi guardò, titubante. Poi mosse lentamente le dita verso la bocca, senza tuttavia perdere la smorfia di disgusto che le disegnava il volto,. Leccò le dita, una, due, tre volte.
    “Il più è fatto. Puliscigli il cazzo, dai!”
    “No! Questo è troppo, non mi va.”
    “Prova stavolta. È il modo per sapere se sarà l’ultima.”
    Piegò il busto e raggiunse l’animale, gli leccò il glande, prima riluttante, poi più decisa.
    “Questo non significa che lo farò ancora.”
    ”Questo significa che lo farai quando avrai voglia. Vuoi scommettere che lo farai sempre più spesso? Stasera mi faccio scopare di nuovo dai miei cani: ti va di farmi compagnia?”
    “Solo per guardare?”
    ”Solo per guardare!”
    ”Ok!”
    Se ne andò, ma solo per poche ore.

    Ritornò dopo cena. Fortunatamente suo marito era impegnato in una di quelle serate che si organizzano nelle marine ad uso e consumo dei turisti e non aveva avuto difficoltà a divincolarsi. Io ero seduta in veranda a leggere: l’unica differenza col giorno innanzi era che non indossavo neanche il perizoma. In definitiva i pochi ricambi che mi ero portata erano stati troppi.
    Entrò e si sedette sull’altra poltrona alla mia sinistra. Rispose appena al mio saluto e rimase in silenzio per qualche attimo. Poi chiese:
    “Signora, ma come fa a capire quando hanno voglia?”
    “È semplice: con tuo marito come fai?”
    “Quando ha voglia si avvicina e quando ho voglia io altrettanto.”
    “Anche con loro funziona così.”
    ”E se a lei non và?”
    ”Vale lo stesso discorso: se non hai voglia lo fai capire a tuo marito e se non ha voglia lui… altrettanto. Perché non ti spogli?”
    ”Sarei in imbarazzo.”
    ”Ma dai: siamo tu ed io. O ti vergogni dei cani?”
    Raccolse la provocazione e si spogliò.
    Stavamo chiacchierando piacevolmente così, quando mi si avvicinò Black.
    “Osserva!” le dissi.
    Black prese a leccarmi la fica: “Visto! È come ti avevo detto: mi sta invitando.” Mi piaceva la sensazione della sua lingua risposa sulla mia figa e lo lasciai continuare. Notai che Laura si mordeva il labbro, nonostante conservasse ancora un po’ della sua smorfia di disgusto. Non posso dire di aver sentito il profumo dei suoi umori, ma sono sicuro che lo fece Buck, perché le si avvicinò e cominciò a leccare la sua. Non nascondo che provai un attimo di gelosia.
    “No, non voglio. Và via!” disse lei assolutamente poco convincente.
    “Non capisce la tua lingua, ma parla benissimo quella della tua fica e pare che stia dicendo il contrario.”
    Si abbandonò al suo destino ed ai suoi desideri.
    “Vieni, fai come me, offriti a lui.” E dicendolo mi posizionai a quattro zampe a disposizione di Black. Lei mi imitò, senza più opporre resistenza e subito Buck le fu addosso e la penetrò sfruttando la sua grande esperienza. E dopo Buck anche Dardo la fece sua, mentre io dovetti accontentarmi di Black.
    Di Black e di leccare la fica densa di umori e di sborra di cane di Laura. Credo che quando andò via eravamo entrambe contente della serata e per lei si aprivano nuove prospettive. Dormì tra i miei cani anche quella sera.
    Al mattino, finalmente, mi lavai e mi preparai a tornare a casa. Sapevo che al rientro mi aspettavano mio marito e mio figlio ed i miei doveri di moglie e di madre un po’ particolare. Difatti mi aspettavano a letto: devo dire che quello che non ero ancora riuscita ad avere dai cani era una doppia penetrazione che, invece, mio marito e mio figlio sapevano fare benissimo. Mi era tornata la voglia di cazzo umano e ne ebbi abbastanza.
    Rimanemmo un po’ a letto: descrissi il mio turbolento week end e la mia opzione animalesca.
    “Sai, Marta! Lucio ha comprato un nuovo stallone per Paola e mi ha chiesto se vuoi provarlo.”
    ”Certo! Magari ci andiamo a pomeriggio!”
     
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