A scuola di dominazione

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    di tom [email protected] E’ una vecchia storia che avevo scritto qualche anno fa e che poi mi sono dimenticato in un dischetto. La pubblico ora. Come si dice, meglio tardi che mai… Sharon non ha mai avuto in simpatia le autorità. Anche adesso, seduta sulla mia faccia mentre con le sue compagne cerca nuove strategie di tortura nei miei confronti, non può fare a meno di punzecchiarmi con i tacchi a spillo e strofinare il suo sesso dolce e profumato sulla mia schifosa ed indegna bocca. La classe è un brusio di brevi commenti che provengono da ogni parte “Calpestiamola tutte insieme” suggerisce Sabrina. “No, facciamoci leccare la passera e poi godiamole in bocca. Perlomeno la lingua la userà per qualcosa che sia veramente utile, e non per raccontarci quelle stronzate” E’ il commento di Barbara, la brunetta col tre in condotta che ama i programmi della DeFilippi e odia la scuola. “Facciamole leccare le suole delle nostre scarpe” dice Veronica, la biondina pluriripetente che sta sempre all’ultimo banco. E’ molto ammirata dalle compagne perché ha già la macchina, purtroppo per lei manca completamente di fantasia. Leccare suole delle scarpe non è una novità, per me. Non da quando le studentesse della 5°A mi hanno fatto capire chi comanda veramente in questa classe. Mi chiamo Erica Malgiogli e sono una professoressa di matematica. La matematica è la materia che queste ragazze odiano di più. Non che alle professoresse di italiano, diritto o inglese sia andata meglio. Siamo tutte schiave delle nostre padrone, le studentesse del liceo classico Dante Alighieri di Lucca. Sharon è la loro leader carismatica. Ogni mattina, quando mi presento in classe, si fa trovare seduta dietro la cattedra con le gambe sollevate sul piano del tavolo. Io mi devo avvicinare in ginocchio, strisciare fino al suo trono che in realtà sarebbe il mio posto di lavoro e baciarle i piedi. Soltanto allora ha inizio lo spettacolino vero e proprio. Ad ogni lezione, la fervida fantasia delle mie allieve partorisce qualche idea per rendere più stuzzicante (o, dal mio punto di vista, umiliante) la mia permanenza in questa scuola. In genere le idee migliori vengono da Elisabetta, una ragazza bionda che è la secchiona della classe. Secchiona ma non per questo meno crudele nei riguardi di noi insegnanti. Questa mattina, dopo i calci consueti che ricevo nella schiena o nei fianchi dalle studentesse più alte e allenate, Elisabetta ha avuto una magnifica idea. Darmi da mangiare. Eh, sì, perché noi insegnanti, mi ha detto, ci stiamo sempre a lamentare che la paga è uno schifo e che la nostra casta è lo zimbello dei dipendenti statali. In un certo senso ha ragione. Così ha fatto portare dalle altre studentesse paste, bigné, panini all’olio e altre cosette rapide da mangiare, le ha fatte distendere su un lungo strappo di carta da cucina e mi ha fatta inginocchiare davanti alla classe. I banchi sono stati sistemati in un’unica fila, davanti alle cibarie, ordinatamente disposte in modo da formare una fila ininterrotta. Le studentesse si sono sedute sui banchi, in corrispondenza delle offertine che ciascuna di loro aveva portato per la povera, piccola insegnante di matematica. “Vediamo se ‘sta carogna sa contare!” ha esclamato Veronica, mentre Sharon mi premeva la testa verso il primo bigné con il suo inclemente piedino “Allora, professoressa, quante sono le patine?” “Dodici, padrona” ho risposto, causando le risa delle studentesse. “Ma che brava, la nostra cagnetta!” si è complimentata Sharon spingendo con più forza “Dai, adesso te li mangi tutti” Sono partita con il primo bigné, che era alla crema, e non era certo di quel giorno. Le ragazze avevano tirato al risparmio, andando a comperare roba preparata diversi giorni prima. Poi sono passata al primo panino all’olio. Due bocconi ed era sparito. Fin lì tutto bene, poi Elisabetta ha dato il via alle danze. E’ balzata giù dal suo tavolo e ha dato un violento pestone al successivo bigné. La cioccolata è schizzata un po’ dove voleva. Sul fazzoletto, sulla mia faccia e soprattutto sulla suola della delicata scarpetta della ragazza e sul pavimento. “Ahi ahi…abbiamo combinato un bel pasticcio, che ne pensa la nostra severa insegnante?” disse Sharon, già pregustando quel che sarebbe accaduto di lì a poco. “Guarda, puttanaccia! Mi sono sporcata tutta il piede” esclamò Elisabetta, porgendomi la scarpa che gocciolava di cioccolato. “Lecca bene, su, mignottaccia. Prenditi cura delle tue allieve” disse Barbara. Che altro potevo fare? Il volere delle mie padroncine è assoluto. Il mio dovere di insegnante mi impone di soddisfare i loro desideri in modo completo, sì che la scuola rappresenti per le allieve un luogo d’istruzione e di educazione per prepararle al mondo del lavoro. Così mi sono prostrata di più ed ho iniziato a leccare quella densa crema saporita dalla suola della scarpa di Elisabetta. Indossava delle decolletè nere con tacco medio e ho spompinato pure quest’ultimo, quasi fossi una volenterosa battona da strada. E’ il mio lavoro. Vengo pagata poco, per svolgerlo, ma è mio dovere eseguirlo al meglio. La suola della scarpetta della ragazza era anche un po’ sporca di terra, che si era mescolata al cioccolato dando alla crema un sapore acre e sgradevole. Non aveva importanza. Ho leccato via il tutto, sopprimendo le smorfie che mi torcevano il volto. Poi Elisabetta ha preteso che facessi lo stesso pure con l’altra scarpa. Non me ne spiegai il motivo. In fin dei conti, sotto l’altra suola di cioccolato non ve ne era. Ma obbedii ugualmente, terrorizzata di irritare le mie giovani e pretenziose dominatrici. Finii di leccare via quanto restava del bigné sparso sulla carta e sul pavimento, naturalmente non prima che Sharon vi avesse sputato a ripetizione sopra, per condire il mio pranzo con la sua divina saliva. Ha poi continuato, sputandomi direttamente in bocca un paio di volte, infine mi ha imposto di continuare a mangiare il resto delle cibarie. Le ragazze, intanto, stavano imitando Elisabetta, calpestando tutto ciò che avevano portato in classe. Francesca era saltata sulle sue mele. Le stava riducendo a marmellata sotto le sue scarpe da ginnastica nuove; Tiziana stava facendo lo stesso con la sua banana. E mentre ripulivo le loro suole con la mia lingua indegna, loro ridevano e mi prendevano in giro. “Guarda com’è servizievole la nostra insegnante! Ah, chi dice che la scuola è noiosa?” “E’ vero. A me è venuta voglia di non diplomarmi più!” esclamò Barbara, danzando con grazia su un panino talmente spiaccicato che non sapevo come avrei fatto a staccare dal pavimento con le labbra. Barbara era davvero bella, una ragazza solare e mediterranea con lunghi capelli crespi e un sorriso bianchissimo sempre sulle labbra. Perché non avrebbe dovuto ridere, in fondo? Era giovane, bella e ricca. Ricca come erano d’altronde tutte le studentesse del nostro liceo. Era per questo che potevano permettersi di trattarci come pezze da piedi, nonostante fossimo le loro insegnanti. Noi dovevamo solo eseguire. Era il nostro lavoro. Ebbi qualche difficoltà quando arrivò il turno di Carmen, che per sua grande generosità aveva portato un succo di frutta. Elisabetta le mostrò gentilmente come umiliarmi anche in quell’occasione. Fece appoggiare il succo di frutta sul tavolo, poi forò l’apposito buchino con la breve cannuccia bianca e mi fece prendere in bocca la stessa per l’altra estremità. “Ora salta con tutti e due i piedi sulla confezione” disse Elisabetta e Carmen non se lo fece ripetere. Spiccò un lungo balzo verso l’alto e piombò a piedi uniti sul succo di frutta. La pressione del suo nobile, dolce peso sparò il liquido direttamente nel mio cranio. D’improvviso mi sentii inondare la bocca, la gola, persino le narici e le cavità degli orecchi. Deglutii tutto il succo che potevo, ma un po’ mi sfuggì dalle labbra e andò a bagnare il pavimento. Mi sentivo la testa gonfia come un pallone e devo aver sgranato due occhi così, perché udii un’esplosione di risa provenire dall’intera classe. E ridevano talmente tanto che non si accorsero che la loro insegnante era lì lì per vomitare anche l’anima. “Che stupida!” “Guardate cha faccia ha fatto!” “E’ stato divertentissimo!” “Domani dobbiamo rifarlo! Però non col succo di frutta. Facciamoglielo fare con l’acqua gassata, così le schianta il cervello e non ci rompe più la passera!” Era la proposta di Stefania, spietata come una Dea della vendetta ma non priva di un suo fascino raffinato. “No, glielo facciamo rifare col piscio, a questa cagna!” Questa era Veronica, la pliriripetente. Aveva quasi ventun’anni e poche speranza di diplomarsi con un voto minimamente decente. “Dai, puttanaccia, lecca il succo che ti è caduto per terra. Vacca! Di queste mancanze terremo debitamente di conto e ti verranno fatte scontare al momento più opportuno!” promise Sharon. Sapevo che non stava dicendo così tanto per dire. Era una ragazza veramente intransigente. Beh, a dire il vero era intransigente solo con noi che eravamo le sue insegnanti e schiave, perché alle altre studentesse permetteva di fare qualunque cosa. Imbrattare i muri, spaccare i banchi, tirare i gessi…tanto c’eravamo noi professoresse che lavoravamo pure come bidelle, a mettere tutto a posto. Al termine del giochino, Sharon mi ha detto di ringraziare tutte loro per il saporito pasto che mi era stato così generosamente offerto. “Baciaci i piedi, puttana. Quelle come te non meritano di ricevere la carità da noi dee meravigliose e superiori” ha detto Mi sono chinata ai piedi delle mie studentesse e ho baciato i loro piedi in segno di riconoscenza. “Grazie, padrona Francesca, per avermi offerto ben due panini col salame ed averli schiacciati sotto i piedi per migliorarne la digestione nel mio indegno stomaco” Francesca ha riso di gusto, deridendomi con un calcetto nella testa. E’ stato poi il turno di Elisabetta. “Grazie, padrona Elisabetta, per aver schiacciato il suo bigné sotto le scarpe. La terra che stava sotto le sue meravigliose suole ha donato al cioccolato un gusto ancora più superbo” “Brava, scema. La prossima volta mi metto gli stivali da contadina e mi vado a smerdare nella fogna fino al ginocchio, che poi ti faccio leccare tutta la melma” “Ma divina padrona, non vorrei causarle tutto questo disturbo…” ho commentato. “No, ma che disturbo, cagna? Lo faccio per il tuo bene. Tanto voi insegnanti di merda ne mangiate a sazietà dal ministero, no? Allora ti faccio assaggiare anche un po’ della mia…ci sta che la novità finisca col piacerti” “Capisco, padroncina” “Come si risponde ad una Dea, quando essa si dimostra così magnanima con una come te?” mi domandò Sharon. “Grazie, padrona Elisabetta. Le sono molto grata per avere intenzione di sfamare la cacata umana che sono con la melma del fosso che ha dietro casa” “Di niente, sguattera. Ora prosegui il tuo fortunato compito” disse Elisabetta “E non avere paura che con me ne dovrai mangiare moltissimo, di fango. Sai, io devo diplomarmi quest’anno, non posso mica trascorrere otto anni in questa scuola! L’anno prossimo mi iscriverò a medicina e con mio padre che è primario, l’esame di ammissione non lo sbaglierò di certo” “Io invece qui ci schiaccio i prossimi dieci anni, se ci riesco” disse Veronica, porgendo il piede davanti al mio volto “Tanto con quel che guadagna in banca il mio vecchio, m’importa assai d’andare a lavorare!” E giù tutte a ridere. “Eh, già…poi se ti tocca un lavoro come il suo!” intervenne Barbara, indicandomi con la punta del piede “Meglio la morte!” “E’ vero, serva?” chiese Sharon “E’ vero che il tuo è un lavoro da schifo?” “Sì, padrona Sharon” “Ed è vero che tu sei una serva nata solo per servirci?” “Sì, padrona Sharon” “Brava. Ora tocca a me” disse la bionda leader del gruppo “Ma con me dovrai impegnarti di più. Vedi, tutti questi esercizi di matematica che ci hai mostrato oggi mi hanno eccitata. Adesso devo scaricarmi prima della lezione di latino, ti pare? Non posso mica discernere di Catullo e Cicerone con la ma passerina calda e vogliosa?” “No, padrona, certo…sarebbe poco consono al suo status di ottima e diligente studentessa” ho risposto. La mia devozione verso questa magnifica Dea non è in discussione. Lei è la mia padrona e tale rimarrà anche dopo il diploma. “Ecco, brava, allora adesso mungimi la sorca!” disse, quasi mettendosi a gridare e schiacciandomi contemporaneamente la dolce fessura fra le gambe (indossava un gonna corta ma senza mutandine) sulla bocca. Ritenevo che sarebbe stato più indicato andare a sciacquare la mia bocca indegna per pulire le labbra dalle tracce di terra e cibo rimaste appiccicate, ma Sharon preferì così e non potei certo oppormi. Venne quasi subito, inondandomi la bocca con i suoi succhi sessuali dolcissimi e nutrienti. Era il meritato dessert che mancava a quel pranzo sopraffino. Anche Sabrina ed Elisabetta avevano una gran voglia di venirmi in bocca, ma la campanella suonò e fui costretta a raccogliere le mie cose e ad andarmene. Lezione in 5°B. Là era ancora peggio. C’erano due spilungone alte e muscolose che sembravano culturiste. Non ci mettevano nulla a usarmi come un tappetino degli allenamenti. Ed erano molto severe, con me, forse anche perché non ero una buona sparring partner a causa della mia statura e gracilità. Fatto sta che quando Marica Cantucci, l’insegnante di latino, entrò a darmi il cambio, Sabrina ed Elisabetta erano già sedute sulla cattedra con le fighette grondati in bella mostra. “Coraggio, cagna! Questa incapace non ha fatto in tempo a leccarci come meritiamo. Adesso tocca a te. Bevi la nostra sborra che poi abbiamo in serbo un bel giochino per la tua bocca. Che a furia di parlare una lingua morta come il latino finisce che non sai più di che cosa fartene! Te la diamo noi, una bella rinfrescatina!” Uscii nel corridoio e mi diressi verso la mia prossima lezione. Le mie studentesse-padrone mi stavano già aspettando. E voi cosa fareste alle vostre odiate insegnanti? Attendo commenti e suggerimenti.
     
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