Le più Grandi chitarre esistenti al mondo

Di ogni genere musicale e di ogni epoca

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    Pat Metheny

    Virtuoso della chitarra, compositore dalle mille sfaccettature, produttore innovativo e pioniere della chitarra sintetizzatore, detiene una invidiabile posizione, principalmente dovuta ad un'insaziabile intelligenza musicale ed apparentemente ad un'energia senza fondo.

    Patrick Bruce Metheny nato il 12 Agosto 1954 nel Missouri a Lee's Summit, un sobborgo rurale di Kansas City, ha frequentato assiduamente le sei corde da subito. Istruttore quando era ancora teenager all'Università di Miami ed alla Boston's Berklee College of Music, deve il suo ingresso al mondo della musica "adulta" grazie al già allora conosciuto Gary Burton. Infatti, incontrato il celebre vibrafonista al festival di Wichita, il diciannovenne chitarrista lo convince a dargli un posto nel suo gruppo.

    Lavorando con lui si troverà a suonare con musicisti del calibro di Steve Swallow ed Eberhard Weber(basso), con il batterista Bob Moses e con il chitarrista Mick Goodrick. Mentre ancora fa parte della band di Burton, in dicembre Metheny registra con Jaco Pastorius e Bob Moses il suo primo album come solista, l'ormai mitico "Bright Size Life" per conto della neonata ECM.
    Un esordio impressionante se si considera che Pastorius, scomparso prematuramente, è tuttora da molti considerato il massimo bassista elettrico del Novecento.

    Durante il suo periodo di permanenza all'ECM (un'etichetta di culto per il jazz e la musica contemporanea), Metheny è apparso su numerosi album, sia in versione solistica che con il suo Pat Metheny Group. Ed è proprio grazie alle notevoli vendite dell'album omonimo "The Pat Metheny Group", appunto (inciso nel 1978), che raggiunge lo status di stella riconosciuta della musica.

    Poi, insieme con un team di superstar del jazz quali Dewey Redman, Michael Brecker, Charlie Haden e Jack DeJohnette, Metheny incide l'album "80-81" ed intraprende un lungo tour mondiale, conquistandosi tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80, un pubblico sempre più vasto.

    In seguito, forte della sua insaziabile curiosità, ha sviluppato esperienze con i più diversi e innovativi personaggi. Un ventaglio di collaborazioni che spaziano dal jazz di stampo tradizionale, come nel caso di Sonny Rollins, all'avanguardia pura come nel controverso "Song X" in duo con il re del "free" Ornette Coleman. Ma sulla ricca e stimolante strada del chitarrista americano troviamo anche Paul Bley, Paul Motian, Hubert Laws, Roy Haynes, Miroslav Vitous, Dave Liebman, Eberhard Weber, Julius Hemphill, Billy Higgins, Milton Nascimento, Herbie Hancock, Steve Reich, Joshua Redman, Bruce Hornsby, John Scofield, Trilok Gurtu e icone della canzone d'autore come Joni Mitchell e David Bowie (con cui incide la celebre "This is not America").

    Nel 1987, con brani come "Last Train Home" e "Minuano", tratti dall'album "Still Life (Talking)", la dimensione universale della musica del Pat Metheny Group viene definitivamente confermata. Ormai il suo suono attrae il pubblico del jazz come quello del rock, quello della new age come quello dei consumatori casuali di musica.

    Metheny si è anche cimentato con il cinema, con esiti curiosi. Nel 1996, ad esempio, viene pubblicata la colonna sonora di "Passaggio per il paradiso", film new age che vede Metheny impegnato come polistrumentista.

    Abilissimo con diversi tipi di chitarre (alcune delle quali costruite appositamente per lui da noti liutai e case produttrici), Metheny possiede, a detta dei critici "un limpido fraseggio che fonde amabili linee melodiche con gli insegnamenti dei grandi maestri della moderna chitarra jazz, da Jim Hall (con il quale inciderà nel 1999 un album in duo) a Wes Mongtomery". Attratto anche dai più aggiornati mezzi messi a disposizione dalla tecnologia, è inoltre considerato uno dei massimi specialisti della synth guitar. Grazie a tutto ciò si è imposto frequentemente nei referendum delle più prestigiose riviste di settore, conquistando numerosi Grammy Award.

    L'ampiezza di vedute che da sempre caratterizza il chitarrista lo ha anche portato a tessere proficui sodalizi con il compositore Steve Reich, esponente di spicco della cosiddetta "Minimal Music", ad esempio nel bellissimo "Electric Counterpoint", oppure a collaborare con uno dei più audaci e originali colleghi di strumento, l'inglese Derek Bailey, maestro della musica improvvisata europea.

    Impossibile comunque citare tutta la sua produzione che, se ultimamente ha registrato qualche dubbia caduta di gusto, si è sempre mantenuta su livelli molto alti, soprattutto all'inizio di carriera. Ma il vulcanico chitarrista non smette mai di stupire. Sulla scia di quello che aveva già fatto Keith Jarrett con il pianoforte, ha sfornato un superbo disco chitarristico, quel "One Quiet Night" che, inciso in solitudine con la chitarra baritono, lo ha rilanciato agli occhi di critica e pubblico non solo come virtuoso dello strumento ma anche come compositore dalla toccante vena melodica.
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    Eric Clapton

    Nella metà degli anni '60 sui muri di Londra apparivano scritte che dicevano "Clapton is God". Erano gli anni del massimo fulgore virtuosistico di questo talento assoluto della chitarra elettrica, capace come pochi altri di trasmettere feeling ed emozioni dalla sua sei corde. Poi è arrivato Jimi Hendrix e le cose sono cambiate, il ruolo di Eric Clapton, all'interno del Gotha dei "guitar eroes" è stato scalzato dall'irruenza visionaria dell'indiano metropolitano Jimi, ma questa è un'altra storia.

    Eric Patrick Clapp nasce il 30 marzo 1945 a Ripley, nel Surrey. Figlio illegittimo, sono i nonni con cui vive a regalargli a quattordici anni la prima chitarra. Subito catturato dal nuovo strumento, fra l'altro elettrificato in definitiva solo da qualche anno, inizia a riprodurre nota per nota i 78 giri di blues che circolano per casa.
    Nel 1963 fonda il primo gruppo, i "Roosters", ed è già blues a 24 carati. Pochi mesi dopo è con "Casey Jones And The Engineers" e poi con gli "Yardbirds", che lo arruolano al posto di Top Topham. Nei due anni che resta con il gruppo guadagna l'appellativo "Slowhand" e approfondisce il suono dei tre King - B.B., Freddie e Albert - come quello di Muddy Waters e Robert Johnson.

    Nel 1965, dopo l'hit "For your love", viene chiamato da John Mayall nei "Bluesbreakers", una proposta che Clapton accetta di corsa, attirato dall'interesse per il blues lontano dalle tentazioni pop in cui stavano cadendo le altre sue esperienze musicali. Con John Mayall c'è solo lo spazio di un album, ma si tratta davvero di un grande album. La ricerca ansiosa dei compagni ideali lo spinge quello stesso anno a formare i "Cream" con il batterista Ginger Baker e il bassista Jack Bruce. Anche nell'approccio decisamente rock di uno dei primi e più influenti supergruppi della storia del rock, gli standard blues trovano un posto rilevante: è il caso di "Rollin' and umblin'" di Willie Hambone Newbern, "Born under a bad sign" di Albert King, "Spoonful" di Willie Dixon, "I'm so glad" di Skip James e "Crossroads" di Robert Johnson.

    Il successo è enorme, ma forse non viene gestito al meglio dai tre. Che, travolti dal loro ego gonfiato, presto arrivano a maturare insanabili dissapori e dunque a sciogliersi già nel 1968.

    Di nuovo sul mercato con la sua Fender in spalla, Clapton è alla ricerca di altri compagni di avventura. Arriva allora un altro supergruppo, ancora più effimero, con i Blind Faith al fianco di Steve Winwood, poi la Plastic Ono Band di John Lennon e la trasferta americana in tour con Delaney & Bonnie. In realtà quello che passa alla storia come il suo primo album solista ("Eric Clapton", pubblicato dalla Polydor nel 1970), risente ancora molto dell'esperienza con la coppia Bramlett, dato che "Slowhand" usa il loro gruppo e scrive buona parte dei brani con Delaney Bramlett. L'esordio ha un sound R&B spruzzato di gospel indubbiamente lontano da quello che il musicista ha proposto fino a quel momento.

    Chi pensasse che Eric Clapton, a quel punto, fosse soddisfatto si sbaglierebbe di grosso. Non solo le collaborazioni e i gruppi a cui partecipa aumentano in modo vertiginoso, ma deve anche intraprendere una dura battaglia contro l'eroina, un vizio che lo stava portando alla rovina (per soddisfare gli spacciatori aveva addirittura impegnato le sue preziose chitarre).
    Sull'orlo della catastrofe ha il buon senso di tirare i remi in barca e di rimanere fermo per un paio di anni.

    Il 13 gennaio 1973 Pete Townshend e Steve Winwood organizzano un concerto per riportarlo sul palco. Nasce così, quasi fosse un benefit, l'album "Eric Clapton's Rainbow Concert", accolto tiepidamente dalla critica dell'epoca. La carriera ad ogni modo riprende e, nonostante i problemi di droga non siano ancora del tutto accantonati, arriva per lui un successo enorme, seguito da altri album memorabili. Passata la sbornia di notorietà e vendite alle stelle, dietro l'angolo però lo aspetta un altro fallimento, determinato da scelte stilistiche alla lunga non apprezzate dal pubblico.

    Ci riprova nel 1976 con Dylan e The Band: l'abbinamento funziona e lui torna ad essere la stella che era. Da qui in poi la strada di "Manolenta" è lastricata d'oro, anche se percorsa dai soliti alti e bassi. Più bassi che alti, per la verità. Tanto per fare qualche esempio dischi come "Backless" del 1978, "Another Ticket" del 1981, "Behind the sun" del 1985, "August" del 1986 e "Journeyman" del 1989 sono da dimenticare.
    Altro discorso per "Money and cigarettes" del 1983, ma giusto per sentire assieme le chitarre di Eric Clapton e di Ry Cooder (con l'aggiunta di quella meno nota ma altrettanto abile di Albert Lee).

    Dal vivo salta fuori il talento, come dimostra il doppio "Just one night" del 1980, ma nemmeno il palco è una garanzia (sentire per credere "24 Nights" del 1991). Il periodo è comunque ricchissimo di soldi, indossatrici, coca-party e disgrazie (la tragica morte del figlio di due anni, avuto da una relazione con Lory Del Santo, a New York).

    Arrivano anche le colonne sonore: se "Homeboy" del 1989 annoia come l'omonimo film con Mickey Rourke, nel 1992 "Rush" comprende due brani che segnalano che l'elettroencefalogramma non è piatto: bellissime e indimenticabili sono "Tears in heaven", ballata autobiografica dedicata al figlio scomparso, e "Don't know wich way to go" di Willie Dixon in una versione senza risparmio.

    Intanto quello che avrebbe dovuto essere un passaggio di consegne a Stevie Ray Vaughan non avviene (Clapton si esibisce con l'altro grande della chitarra proprio la notte in cui il texano perde la vita in elicottero) e Clapton trova nuovi stimoli con il disco "Unplugged" del 1992, acustico live per MTV e rilettura sincera della propria carriera (che in parte restituisce Clapton al suo primo amore, il blues).

    Rincuorato, nel 1994 Eric Clapton entra in studio con un gruppo fidato e incide in presa diretta (o quasi) una sequenza bruciante di sedici classici del blues di mostri sacri come Howlin' Wolf, Leroy Carr, Muddy Waters, Lowell Fulson e altri. Il risultato è il commovente "From the cradle", virtuale torta con candeline per i suoi trent'anni di carriera. Per quanto possa sembrare incredibile questo è anche il primo disco di Clapton interamente e dichiaratamente blues. Il risultato è eccezionale: anche i puristi devono ricredersi e togliersi il cappello.

    Oggi "Slowhand" è una superstar elegante e plurimiliardaria. Dal blues ha sicuramente ricevuto moltissimo, più della grande maggioranza di coloro che l'hanno inventato. Ma, almeno indirettamente, è stato proprio lui a far riscoprire alcuni grandi interpreti della prima ora che erano caduti nell'oblio. E praticamente tutti i chitarristi bianchi che suonano blues hanno, prima o poi, dovuto confrontarsi con il suo suono personale e riconoscibilissimo. Certo la sua discografia non brilla di perle blues e la sua vita da rockstar non predispone sempre ad una critica benevola. Senza dubbio però Eric "Slowhand" Clapton il suo posto tra i grandissimi, se lo merita.

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    Mark Knopfler


    Ci sono chitarristi che lasciano un segno profondo nella musica rock indipendentemente dalla loro abilità tecnica. Artisti come Jimi Hendrix, B.B. King,
    Carlos Santana, Pat Metheny, oppure Eric Clapton, hanno tutti imposto un proprio stile personale, riconoscibile al primo ascolto. Mark Knopfler appartiene a questa categoria di eletti.

    E' indubbiamente uno dei chitarristi più originali degli ultimi vent'anni e uno di quelli che meglio hanno assimilato l'essenza del blues e del country-rock. Knopfler suona da sempre con i polpastrelli di pollice, indice e medio, senza plettro, mantenendo anulare e mignolo appoggiati alla cassa. Anche dal punto di vista timbrico la chitarra di Knopfler possiede un'originalità assoluta, con un suono pulitissimo. "Una volta che impari il fingerpicking sulla chitarra acustica", dice lo stesso Mark, "cambia il modo in cui suoni la chitarra elettrica. Così ho iniziato a suonare la Stratocaster in modo meno distorto differenziandomi dai molti chitarristi che suonano heavy tutto il tempo".

    Conosciuto da tutti come il pregevole, delicato e mellifluo chitarrista fondatore dei Dire Straits, Mark Knopfler può vantare una ricca carriera anche come solista. Anzi, è proprio in questa veste che ha sviluppato nell'ultimo decennio un repertorio quanto mai ricco, intenso e davvero di qualità.

    Nato a Glasgow, Scozia, il 12 agosto 1949, Mark Knopfler si è dedicato inizialmente all'insegnamento scolastico; poi la musica nella sua vita ha prevalso, diventando da puro passatempo ad attività professionale. Sul finire degli anni '70 fonda i Dire Straits, gruppo diventato di culto e dei cui pezzi storici oggi ("Sultans of swing", "Tunnel of love", "Money for nothing", solo per citarne alcuni), anche se talvolta passano per le radio, si sente spesso la nostalgia.

    La sua carriera solista si sviluppa parallelamente all'impegno del complesso a partire dal 1983, quando scrive la colonna sonora del film "Local hero", di David Puttnam. I lavori successivi lo vedono scrivere le colonne sonore di "Cal, comfort and joy" e, insieme a Guy Fletcher dei Dire Straits, di "The princess bride". Importante anche il lavoro fatto da Knopfler come produttore: lo si vede dietro il desk per Bob Dylan ("Infields", 1983), Randy Newman, Willy (Mink) DeVille, Aztec Camera e Tina Turner.

    Nel corso degli anni '80 lo straordinario ma umile musicista non produce molto al di là dei Dire Straits; nel 1989, in compagnia degli amici Brendan Croker e Steve Phillips, pubblica però un delizioso album in stile retrò sotto il nome di "Notting Hillbillies".

    Gli anni '90 vedono Knopfler diradare molto i suoi impegni discografici, collaborare con il grande chitarrista Chet Atkins per un album a nome di entrambi e partecipare a diversi progetti di altri artisti, oltre a pubblicare nel 1996 l'album solista "Golden heart". Con il nuovo millennio, dopo un periodo di silenzio interrotto soltanto dal lavoro per alcune colonne sonore, l'attività solista dell'ex(?) Dire Straits si intensifica: il suo secondo album solista intitolato "Sailing to Philadelphia" è un buon successo commerciale per una musica non facile. A due anni di distanza segue una nuova prova discografica, "The ragpicker's dream". Entrambi gli album, specialmente quest'ultimo, evidenziano l'amore di Mark Knopfler per la mitologia e le sonorità tradizionali americane.

    Il suo ultimo lavoro è il disco "Shangri-La" uscito nel 2004.



    Discografia essenziale:

    Last exit to Brooklyn - 1980
    Local hero - 1983
    Cal - 1984
    The princess bride - 1987
    Missing...but presumed having a good time - 1990 con i Notting Hillbillies
    Neck and neck - 1990 con Chet Atkins
    Screenplaying - 1993
    Golden heart - 1996
    Sailing to philadelphia - 2000
    A shot at you - 2000
    The ragpicker's dream - 2002
    Shangri-La - 2004

    Dire Straits:

    Dire Straits - 1978
    Communique - 1979
    Making movies - 1980
    Love over gold - 1982
    Alchemy - 1984
    Brothers in arms - 1985
    Money for nothing - 1988
    On every street - 1991
    On the night - 1993

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    David Gilmour


    Ancora oggi a tanti anni di distanza dalla fuoriuscita dello squilibrato Syd Barrett, di cui prese il posto, questo distinto signore dalla faccia bonaria e dall'aria svagata, così contrastante con l'immagine che abbiamo attraverso le foto degli anni '60, è il chitarrista dei Pink Floyd, mitico gruppo psichedelico responsabile di innumerevoli capolavori. Un gruppo che ha dovuto subire varie scissioni, compreso l'inossidabile Rick Wright (nel 1979), poi rientrato per misteriose ragioni; la conseguenza è che adesso la leggendaria band non sembra altro che un terzetto che si trascina più o meno stancamente fra un concerto e l'altro rincorrendo i fasti del passato. Sensazione che hanno in molti, anche se tanti altri potranno non essere d'accordo con questo giudizio.

    David Gilmour, nato il 6 marzo 1946 a Cambridge, Inghilterra, era un buon amico di infanzia di Barrett, con il quale al tempo delle scuole imparò a suonare la chitarra. Già nel 1962 duettavano insieme durante le prove del suo gruppo "Mottoes", sciolto come neve al sole per fare posto a esperienze con vari gruppi locali come i "Ramblers" o i "Jokers wild".

    La sua carriera prende una svolta decisiva quando viene cooptato negli ancor giovani ma già famosi Pink Floyd. Il suo ingresso è datato 1968 quando, durante l'incisione del disco "A saucerful of secrets", sostituisce lo stralunato Barret, incapace a quanto pare di reggere il successo che aveva investito la band e alienato da seri problemi di natura mentale.

    Da quel momento in poi il gruppo subisce varie metamorfosi stilistiche nel tentativo di assorbire lo choc della dipartita di Barrett, il creativo. Le redini della conduzione artistica passano proprio nelle mani di Gilmour e del bassista Roger Waters, i quali si rivelano entrambi dotati di notevole intuito musicale. Non a caso i grandi successi commerciali dei Pink Floyd si devono equamente alla firma dei due.

    Ci sarebbero da raccontare in modo dettagliato le tormentate vicende del gruppo ma queste fanno storia a sé. Inutile ricordare come una certa ruggine covasse fra alcuni componenti della band: uno stato emotivo che poi portò alla rottura da parte di Roger Waters deciso a iniziare un'avventura artistica per conto proprio.

    Negli anni travagliati segnati da quegli avvenimenti, anche Gilmour ci prova con la carriera solista. Debutta in questa nuova veste nel 1978 con un album omonimo composto durante i momenti vuoti di produzione dei Pink Floyd. L'album ha comunque avuto un buon successo ed è rimasto per lungo tempo nelle classifiche inglesi e americane.

    Nel 1984 esce "About face", secondo album firmato in proprio e toccato da scarso successo. Tuttavia nello stesso anno David Gilmour si diletta in numerose collaborazioni: suona prima in concerto come ospite con Bryan Ferry, poi incide insieme all'ex Roxy Music il disco "Bete noire"; in seguito suona con Grace Jones nell'album "Slave to the rhythm".

    Il sublime chitarrista è però insoddisfatto. Vuole dare corpo in modo autonomo ad alcune sue idee musicali e così forma un gruppo con il batterista Simon Phillips. L'esperienza è negativa e nel 1986, in accordo con Mason, decide di continuare le tournèe che aveva in corso con il redivivo nome di Pink Floyd:
    in previsione ci sono nuove registrazioni e nuovi dischi.

    Ecco che si fa vivo per protestare Roger Waters, pieno di vibrante indignazione, e così da quel momento inizia l'interminabile battaglia legale tra l'ex bassista e il resto del gruppo (capeggiato da Gilmour), per l'uso esclusivo del marchio "Pink Floyd".
    Nel contempo anche Richard Wright si disimpegna dalle incisioni preannunciate, fino a esser spesso sostituito da altri strumentisti di passaggio.

    Nel 1986 Mason e Gilmour, inarrestabili, incidono a nome Pink Floyd "A momentary lapse of reason", contenente hit-singles come "On the turning away", "Learning to fly" e "Sorrow". In parte è un ritorno alla musicalità di album come "Wish you were here", anche se la genialità di un tempo sembra di gran lunga latitare. Le vendite sono buone e l'album si rivela tutto sommato ben congegnato, con la chitarra di Gilmour ancora capace di creare atmosfere sognanti ed evocative.

    Nel 1987 Wright rientra attivamente nel gruppo e i Pink Floyd (o almeno quello che ne rimane) iniziano una grandiosa tournèe zeppa di effetti speciali e soluzioni spettacolari, durata circa quattro anni e segnata da un enorme afflusso di persone (si calcola che siano stati strappati qualcosa come sei milioni di biglietti), a testimonianza che nel cuore dei fan il passato, per quanto glorioso, ha ceduto lentamente il posto al nuovo, forse meno visionario ma più sereno stile dei Pink Floyd.

    Nel 2006 è uscito il suo album solista "On an Island" nel quale, oltre alla moglie Polly, autrice di molti dei testi, hanno collaborato gli amici Graham Nash, David Crosby, Robert Wyatt, Phil Manzanera.

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    Ritchie Blackmore

    Al solo sentir nominare il guitar-hero dei "Deep Purple" a molti fan ancora tremano le vene. A parte il fatto che a lui si deve il riff forse più famoso della storia del rock (insieme a quello di "Satisfaction"), ossia l'incisivo "Smoke on the water", come dimenticare i cristallini assolo generosamente elargiti nel capolavoro "Made in Japan" o ancora i riff, le incursioni ritmiche e le cascate di note che ha prodotto nei numerosi dischi dello storico gruppo e di altre band che ha fatto e disfatto con rapidità impressionante?

    Ritchie Blackmore è così: instancabile limatore della tecnica chitarristica e insoddisfatto ricercatore di nuove vie musicali. E non poteva essere altrimenti per uno che al posto del biberon, fin da piccolo ha sempre tenuto in mano una sei corde. Nato a Weston Super Mare il fatidico 14 aprile 1945 (ma quando aveva due anni la sua famiglia si trasferì a Heston, nella periferia di Londra), Ritchie ha imbracciato per la sua prima "vera" chitarra acustica (una "Framus") alla tenera età di dieci anni, dopo anni di spensierati esercizi ludici con una chitarra giocattolo. L'approccio con questo strumento, non ancora elettrificato, gli ha così consentito lo sviluppo di quell'impostazione "classica", di quella tecnica luciferina che lo ha consegnato al Pantheon dei virtuosi.

    Ancora adolescente, dunque, ben presto, diventa l'allievo preferito del grande session-man "Big" Jim Sullivan (lo stesso insegnante di Jimmy Page dei Led Zeppelin), del quale è prima vicino di casa, poi fedele accompagnatore.

    La sua prima band ufficiale sono i "Savages" di Lord Davis, a cui si unisce nel maggio del 1962 dopo aver atteso che il predecessore, Roger Mingway, lasciasse il posto. Dopo varie altre esperienze nel turbolento mondo musicale inglese che lo portano da una band all'altra, due anni dopo entra nei "Wild Boys" e poi nei "Crusaders" per poi ritornare dai vecchi amici.
    Va incontro ad un fiasco colossale quando tenta di formare un trio, i "Three Mosketteers", ricordato per il fatto di andare in scena con tanto di spade e cappelli con le piume. I poveretti si esibirono in un'unica data allo 'Star Club' di Amburgo, ma furono cacciati fuori senza tanti complimenti.

    Sbocchi realisticamente professionali a quel punto sembravano seriamente compromessi. Lo salva in corner Joe Vescovi, che lo arruola per un breve periodo nei "Trip", ma la vera àncora di salvezza è un telegramma di Jon Lord, furioso tastierista rock intenzionato a formare un gruppo di virtuosi e che, dopo averlo ascoltato, è deciso ad arruolarlo.

    La storia, quella con la S maiuscola, fa il suo corso, ed ecco apparire dopo una serie di prove "live" come "Roundabout" quell'impressionante organismo musicale che prenderà il nome di "Deep Purple". Il supergruppo si forma nel 1967 e resterà in vita guidato saldamente da Ritchie Blackmore fino al 1975, sfornando una serie di capolavori ma anche di album pallidini. Blackmore, comunque ammirato dalla totalità dei suo colleghi, è riuscito nell'impresa di diventare un po' il "chitarrista dei chitarristi".

    In seguito inizierà l'avventura solistica dell'estroso chitarrista, supportata dalla girandola di elementi che si succederanno nella tormentata storia, dovuta al carattere non sempre accomodante di Ritchie, del progetto "Ritchie Blackmore's Rainbow". Il mago delle sei corde è sempre alla ricerca di musicisti che gli si adattino ed è sempre più alle prese con progetti tanto faraonici quanto snervanti tali da stancare i componenti. Basti dire che verso gli sgoccioli dell'avventura coi Rainbow, si era messo in testa di essere accompagnato dalla London Philarmonic Orchestra in un tour gigantesco, poi in parte realizzato.

    Nonostante le ben note preferenze di Blackmore per un suono più heavy, ma sempre pulito e cristallino, come quello immortalato nel capolavoro "Rising", i Rainbow hanno scritto memorabili pagine di forza melodica, soprattutto durante il terzo ciclo.
    Una serie di show inglesi costituiranno l'epilogo del gruppo, disciolto in favore della riunione dei Deep Purple.

    Nel 1993 dopo dieci anni di ritrovata armonia, Blackmore lascia definitivamente i Deep e rifonda, ancora per una volta, i Rainbow: l'album pubblicato nel 1995 si intitola "Stranger in us all" e pone le basi per la sua prossima impresa: la rivisitazione di sonorità "antiche".
    Accanto a lui, in sala di registrazione, fra i vari membri c'è la dolce Candice Night, bionda cantante e flautista con la quale si unirà (anche nella vita) nella successiva esperienza, tuttora in corso, dei "Blackmore's Night". Un visionario esperimento di musica rinascimentale e medioevale che ci consegna, per il nuovo millennio, un Ritchie Blackmore irriconoscibile, totalmente rinnovato e per sempre lontano, dice lui, dalle plaghe del rock.

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    Carlos Santana
    Carlos Santana nasce il 20 luglio 1947 ad Autlan de Navarro, in Messico. La passione per la musica gli viene infusa da subito, grazie al padre che, essendo un "mariachi", ossia un suonatore vagabondo, lo culla al suono di dolci e malinconiche melodie. In seguito, affiancando il padre nei suoi spettacoli, il primo strumento che imbraccia non è una chitarra bensì un violino.
    Forse è a questa matrice che si può far ricondurre il suo amore per le note lunghe e tenute, sospirate e cantate, così caratteristiche del suo stile e che sono il suo inconfondibile marchio distintivo, uno stile che lo rende unico fra tutti i chitarristi elettrici.

    Dopo il violino, dunque, la chitarra, più facile da maneggiare, meno delicata e più adatta al repertorio popolare, ma soprattutto al nuovo genere che si stava imponendo nel mondo: il rock.
    Di avere un lavoro fisso e regolare non gli passa neanche per la testa, una condizione ormai impensabile e virtualmente insopportabile per uno come lui cresciuto all'ombra di un padre randagio. Carlos trova invece la possibilità di esibirsi nei locali di Tijuana, un paese del Messico con un numero sufficiente di anime per assicurare una buona circolazione dei clienti.

    Negli anni '60, la famiglia si trasferisce a San Francisco, dove il giovanissimo musicista viene a contatto con stili diversi che ne influenzano l'attitudine a mescolare i "generi".

    Nel 1966 la "Santana Blues Band" comincia ad acquisire una certa popolarità nel circuito dei locali, ma non solo. Forte di questa base di partenza, riesce a strappare il primo contratto discografico, quello grazie al quale esce il potente "Santana", che, prima in sordina e poi via via sempre più in crescendo, riesce a vendere una considerevole quantità di copie, fino a diventare disco di platino.

    Cominciano a fioccare le collaborazioni importanti: nel 1968, ad esempio, prende parte ad un progetto discografico con Al Kooper in cui Santana si ritaglia un ruolo di protagonista.

    Diventato ormai un "nome", è candidato nella rosa delle possibili star che dovranno partecipare ad uno dei più grandi eventi musicali del secolo, la celebre kermesse di Woodstock, una tre giorni di pace, amore e musica (e anche droga, per la verità), che attirerà mezzo milione di persone.
    E' il 1969: Santana sul palco si scatena e offre una delle esibizioni più emozionanti della sua carriera. Il pubblico va in delirio: Santana è riuscito ad imporre la sua miscela di rock e di ritmi sudamericani che dà vita al cosiddetto "rock latino".

    Anche la componente mistica e religiosa non è trascurabile nella sua produzione. A partire dagli anni '70 il musicista persegue senza battute d'arresto un percorso musicale permeato di elementi mistici e di ricerca sonora. In quegli anni esce "Abraxas" che, trainato da brani leggendari come "Black magic woman", "Oye como va" e "Samba pa ti", si piazza al numero uno della classifica americana per cinque settimane di seguito.

    L'anno seguente esce "Santana III" (forse il suo capolavoro assoluto), che rimane al numero 1 negli USA per un mese e mezzo. Il musicista si prende una delle numerose "vacanze" dal gruppo per un disco dal vivo col batterista Buddy Miles, cosa non infrequente anche in seguito. Ben presto, però, emergono dei disagi. La sovrapposizione tra vicende del gruppo e carriera solista comincia a diventare problematica.

    Sul piano stilistico emerge un profondo mutamento di stile, tanto che il quarto album "Caravanserai", assomiglia a una lunga suite vagamente jazzistica, fatto che induce alcuni tra i più "rockeggianti" collaboratori del momento a lasciare il gruppo per fondare i Journey.

    Santana nel frattempo approfondisce sempre di più i suoi interessi nei confronti della spiritualità, e insieme al compagno di fede John McLaughlin (i due condividono lo stesso guru), realizza un album ispirato a tali tematiche, "Love Devotion and Surrender".

    La carriera di Santana è un continuo oscillare tra progetti di fusion con amici come Herbie Hancock e Wayne Shorter e rock più ortodosso, quello preferito dal pubblico.

    Negli anni '80 vedono la luce altre incisioni con ospiti prestigiosi, un tour con Bob Dylan e la colonna sonora de "La Bamba" (1986).

    Nel 1993 fonda una propria etichetta, la Guts and Grace mentre nel 1994 torna simbolicamente a Woodstock per il 25ennale del festival che lo lanciò; inoltre, incide "Brothers" con il fratello Jorge e il nipote Carlos. Nel 1999, con alle spalle più di 30 milioni di dischi venduti, cambia casa discografica, e con alcuni ospiti prestigiosi provenienti dall'ambito hip-hop incide "Supernatural" (etichetta Arista), uno strepitoso successo che lo porta a vincere il Grammy Award. Un prestigioso riconoscimento, non c'è dubbio, anche se, per gli antichi fan, l'anziano chitarrista sembra ormai irriconoscibile e irrimediabilmente prono alle esigenze e alle strategie dell'industria "commerciale".

    I suoi ultimi lavori sono "Shaman" (2002) e "All that I Am" (2005), ricchi di ottima musica e ospiti illustri.

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    John Scofield

    Da una ventina d’ anni la scena dei chitarristi e’ sotto l’ egemonia di tre personaggi che rispondono al nome di John Scofield, Pat Metheny e Bill Frisell.
    John Scofield, classe 1951, originario dell’ Ohio, e’ quello con un’ anima piu’ autenticamente blues e rock, ed il suo suono, talvolta volutamente ‘’sporco’’ rimanda a Jimi Hendrix e al soul.
    Il passaggio dalla Blue Note alla Verve, lo porta a produrre due dischi: piu’ elettrici e ‘’acid’’, uno dei quali con il trio Medesky, Martin & Wood.
    Tutto si può dire del trio Medesky Martin & Wood tranne che non siano tre musicisti di valore, la cui proposta può piacere o non piacere, ma che comunque fanno quello che fanno con sincerità coerenza e consapevolezza.
    Queste doti sono emerse appieno quando i tre hanno dovuto confrontarsi con quel cavallo di razza della 6 corde che è John Scofield.

    Nell'edizione di Ujazz Winter il quartetto, in un Mancinelli pieno fino all’ inverosimile, ha dato un concerto molto bello, molto pieno di energia, molto giocato su un interplay serrato tra la chitarra di Scofield, con suoi suoni ricercati e distorti e gli universi sonori di tutte le tastiere di Medesky, mentre Martin e Wood arricchivano e sostenevano questo gioco di incastri sonori con un pulsare ritmico preciso e fantasioso.

    Inutile dire che il successo è stato di quelli che difficilmente si dimenticano.

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    Ottmar Liebert

    Nato a Colonia, in Germania, da padre cino-tedesco e madre ungherese, Ottmar ha cominciato a suonare la chitarra quando aveva 11 anni. Dopo aver completato un corso di studi di chitarra classica, il musicista diciottenne si imbarcò in una serie di viaggi attraverso la Russia e l'Asia. Studiò musica tradizionale con maestri nativi, ma, alla fine degli anni '70 e inizio anni '80, trovò pochi sbocchi per queste esperienze nella musica pop occidentale. Prima in Germania e poi a Boston Ottmar Liebert offrì il suo talento come chitarrista per alcune band jazz-funk, l'ultima di queste si sciolse nel 1985. Frustrato e disilluso dal mondo della musica della East Coast si trasferì a Ovest.

    A Sante Fe si sentì attratto dall'ambiente artistico rilassato della città e libero dal "bisogno" di avere successo in campo musicale. Cominciò a suonare la sua musica per suo piacere personale e più avanti per il pubblico sempre più ricettivo dei ristoranti della zona. Nel 1988 il primo nucleo della sua band, i Luna Negra, era nato.

    Il CD che avrebbe rappresentato il debutto di Ottmar Liebert nel panorama musicale ufficiale con il titolo "Nouveau flamenco", nacque come prodotto locale auto-prodotto daltitolo "Marita: shadows and storms". L'artista di Santa Fe, Frank Howell, aveva fatto stampare 1000 copie di "Marita" che dovevano essere distribuite insieme ai suoi disegni. Quando le copie del disco arrivarono ad alcune radio i programmatori cominciarono ad aggiungere alcuni brani alle loro playlist. La Higher Octave Music rimasterizzò "Marita" e lo pubblicò a livello nazionale con iltitolo "Nouveau flamenco". Nel 1993 l'album era già disco d'oro negli Stati Uniti e nel 1996 era quasi disco di platino. Altri due dischi con la Higher Octave, "Poets and angels" (1990)e "Borrasca"(1991), che ha ricevuto una nomination al Grammy, hanno seguito "Nouveau flamenco" al n° 1 della classifica New Age di Billboard.

    "Solo para ti" (1992) ha segnato l'inizio della collaborazione di Ottmar Liebert & Luna Negra con la Epic. L'album vedeva la presenza della chitarra di Carlos Santana in due brani, fra cui la celeberrima "Samba pa ti". L'album arrivò ai vertici delle classifiche New Age ed entrò anche nella classifica pop Hot 100 di Billboard. Per la seconda volta Ottmar Liebert venne decretato da Billboard artista New Age dell'anno e nel dicembre del '95 Solo Para Ti ottiene il disco d'oro.

    Nel1993 un nuovo album per la Epic - "The hours between night and day" - ha consolidato la posizione di Ottmar Liebert come vera e propria incarnazione della musica globale. Fra i punti più alti toccati dall'album c'è una riscoperta illuminante del classico di FleetwoodMac/PeterGreen "Albatross" e la trasformazione magica di "Mercy mercy me" di Marvin Gaye nella spagnola "Ten piedad de me", con l'aggiunta della voce di José Grillo Blanco.

    Nel febbraio del 1995 la Epic ha pubblicato "Euphoria", una raccolta di remix ispirata dai tour in Europa e Sud America dei Luna Negra nel 1993-1994. Ottmar ha lasciato completa libertà di aggiungere, sottrarre, ricostruire le canzoni a maestri del remix come Steve Hillage, Aki Nawaz e DJ Slip (Comptons Most Wanted).Per soddisfare le richieste di molti fans Liebert ha pubblicato "Viva!", ilprimo album-concerto della sua carriera, nel giugno del 1995. "Opium",una sbalorditiva doppia raccolta che contiene alcune delle più ambiziose ed eclettiche composizioni di Ottmar Liebert viene pubblicata nel marzo del1996.

    Ildebutto di Ottmar Liebert per la Sony Classical con "Leaning into the night" è un album di12 brani arrangiati per chitarra e orchestra, diretti da Oscar Castro-Neves, che co-produce il disco insieme ad Ottmar e Stefan Liebert. Ottmar suona con la chitarra 6 brani classici molto conosciuti (che includono "O mio babbino caro" di Puccini, "Premiere Gymnopédie" di Satie e "Pavane pour une infante défunte" di Ravel) e 5 sue composizioni . L’album esce nel 1997, mentre è del 1999 il ritorno alla formula del flamenco con "Innamorare summer flamenco".

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    Jimi Hendrix

    James Marshall Hendrix, nato il 27 novembre 1942 a Seattle, è stato considerato all'unanimità il più grande chitarrista elettrico di tutti tempi. Dal suo strumento d'elezione seppe trarre un'innumerevole quantità di diversi effetti timbrici, giungendo a suonarlo anche con i denti , con il gomito o con l' asta del microfono, in modo coerente al carattere istintivo ed esibizionistico dei suoi concerti.

    Frutto di un incrocio fra sangue indiano Cherooke, nero e messicano, il geniale musicista visse i suoi primi anni di vita immerso in una situazione familiare non delle più felici. Per anni, infatti, convive con la nonna (un'indiana Cherooke purosangue che lo porta ancora più vicino alle sue radici Indiane e ribelli), mentre padre e mandre si arrangiano in mille lavoretti. All'età di soli dodici anni riceve come dono la sua prima chitarra elettrica, chiamata da lui affettuosamente "Al", un piccolo strumento con cui comincia le sue prime autodidattiche esperienze musicali.

    Ma i problemi cominciano da lì a poco. La madre muore quando Jimi ha solo quindici anni mentre all'età di sedici viene espulso da scuola, probabilmente per motivi razziali (ci troviamo nell'America puritana a Maccartista degli anni '50). Di fatto, comincia a darsi al vagabondaggio, guadagnandosi da vivere con gruppi di rhythm and blues e di rock'n'roll. Dopo aver prestato servizio militare come paracadutista, a ventun'anni si inserisce nel giro dei session-man, ossia di coloro che vengono pagati a cottimo per le loro prestazioni musicali. Grazie alle sue doti straordinarie, però, nel giro di poco tempo diventa il chitarrista nientemeno che di personlità come Little Richard, Wilson Pickett, Tina Turner e King Curtis, alcune delle stelle del firmamento rock dell'epoca. Nel 1965 al Greenwich Village forma il suo primo complesso stabile, ottenendo un contratto per esibirsi regolarmente. Con una situazione più sicura alle spalle, ha modo di concentrarsi ancora di più nello studio della tecnica esecutiva, in cui arriva a vertici difficilmente avvicinabili (non tanto per la tecnica in sé, quanto per le capacità raggiunte nel trattamento del suono o della singola nota: in questo avvicinandosi, seppur intuitivamente, agli approdi della musica colta del Novecento).

    L'innovativo stile di Hendrix nel combinare distorsioni lancinanti, piene di dolore, ad una pura vena blues ha creato di fatto una nuova forma musicale, che si avvale di tutta la tecnologia legata allo strumento (dal finger-picking al wah-wah, dal plettro ai pedali, dal feedback all'effetto Larsen, dai controlli di tono ai distorsori). Nei suoi brevi quattro anni di "regno", Jimi Hendrix ampliò il vocabolario della chitarra elettrica rock più di qualsiasi altro. Hendrix era un maestro nel riuscire a tirar fuori dalla chitarra suoni mai ascoltati prima di allora; spesso con esperimenti di amplificazione che portavano al limite, se non oltre, le capacità delle attrezzature impiegate. Infine, le sue esibizioni si distinguevano per la selvaggia energia del suo modo di suonare e per l'irresistibile carica sessuale dei suoi atteggiamenti (il tutto, condito abbondantemente da acidi e sostanze varie).

    Ad ogni modo, se non fosse stato per le interessate cure di Chas Chandler, ex-Animals, manager a New York in cerca di nuovi talenti, forse Hendrix sarebbe solo uno dei tanti nomi che circolavano nell'ambiente, oscurati dai giovani talenti bianchi a cui tanta attenzione poneva l'opinione pubblica ed i media in genere.

    Chandler lo porta invece con sé a Londra, dove gli procura una sezione ritmica: la nuova band di Jimi, chiamata significativamente "The Jimi Hendrix Experience" (formata oltre che da Jimi, dal batterista Mitch Mitchell e dal bassista Noel Redding), diventa in breve tempo l'argomento di conversazione principale a Londra nel periodo conclusivo del 1966. Inoltre, il primo singolo dell'Experience, "Hey Joe", rimane nelle classifiche inglesi per dieci settimane, raggiungendo la sesta posizione nel tardo 1967. Il singolo del debutto è velocemente seguito dal lancio dell'LP "Are You Experienced?", una compilation psichedelica zeppa di inni generazionali. L'LP, non a caso, è rimasto uno dei più popolari album rock di tutti i tempi, con canzoni immortali quali: "Purple Haze", "The Wind Cries Mary", "Foxy Lady", "Fire" e "Are You Experienced?".

    Nonostante lo schiacciante successo della Hendrix Experience in Inghilterra, fu solo quando questa, nel Giugno del 1967, tornò in America infiammando letteralmente la folla del Monterey International Pop Festival che divenne la band più popolare del mondo. Al termine della sua estenuante esibizione (con una versione demoniaca di "Wild thing"), dopo aver dato fuoco alla chitarra, Jimi raccolse un'ovazione interminabile. Il successivo LP sfornato dalla bande fu "Axis: Bold As Love" mentre, dopo preso il totale controllo della band e aver trascorso parecchio tempo nella console in studio, nel '68 è la volta di "Electric Ladyland", un capolavoro della storia del rock (malgrado il "vero" Jimi Hendrix sia ascoltabile, è bene ricordarlo, solo attraverso le registrazioni dal vivo).

    Ma già nel 1968 comincia il declino fisico, morale e artistico di Hendrix. Durante tutto quel fatidico anno, le richieste pressanti di concerti e registrazioni in studio snervano notevolmente la fibra del gruppo, tanto che nel 1969 l'Experience si scioglie (forse anche sotto le pressioni del movimento nero delle "Black Panther", a cui Hendrix aveva aderito, che disdegnava l'appartenenza di Hendrix ad un trio composto da bianchi).

    Ad agosto trionfa a Woodstock, oltre che con la solita infiammata esibizione, anche con una versione delirante dell'inno americano ("Star spangled banner"), uno sberleffo divenuto celeberrimo. Con la sua chitarra Hendrix non si limita a distorcere la celebre melodia ma, in linea col pacifismo e le contestazioni del tempo, imita il suono di spari e bombardamenti, ricordando a tutti che era in corso la tragica guerra del Vietnam.

    Il 1969 ha inizio con una nuova collaborazione tra Jimi, Billy Cox e il batterista Buddy Miles (tutti musicisti neri), i quali danno vita alla "Band of Gypsys". I tre intraprendono una serie di performance stellari nei giorni dal 31 Dicembre 1969 e 1 Gennaio 1970. Di questi concerti vennero effettuate delle registrazioni poi messe sul mercato dalla metà degli anni '70 in un unico album.
    Successivamente, comunque, Jimi ricontatta il batterista Mitch Mitchell e, insieme al bassista Billy Cox, rimette in piedi la Jimi Hendrix Experience. In studio il gruppo registra molte tracce per un altro LP, provvisoriamente intitolato "First Rays Of The New Rising Sun".

    Sfortunatamente Hendrix non riuscirà a veder pubblicato questo nuovo lavoro: un mese dopo, infatti, lo ritrovano morto a Londra, riverso sul letto di una stanza del Samarkand Hotel, soffocato nel proprio vomito per una overdose di barbiturici. E' il 18 settembre 1970.

    Da allora è stato un susseguirsi di omaggi alla sua memoria, ma anche di insinuazioni sulla sua morte, considerata "misteriosa", un po' come succede a tutte le rockstar scomparse prematuramente. Intorno al patrimonio di Hendrix, com'era prevedibile, si è scatenato un vespaio di beghe legali e di operazioni speculatrici. Come in vita, anche dopo la morte il grande chitarrista nero è stato manipolato da impresari senza scrupoli. Hendrix, infatti, è stato indubbiamente uno degli artisti più sfruttati dall'industria discografica, che non esitò (e non esita tuttora) a pubblicare tutto ciò che egli aveva suonato.

    Nessuno sa come si sarebbe evoluta la stella di Hendrix, né che percorso avrebbe seguito la sua parabola. Stimato da tutti i veri musicisti, poco prima della sua morte circolava la voce di una sua possibile collaborazione con un altro genio: Miles Davis. Come scrive il critico Paolo Galori, l'ultimo Hendrix è "un musicista solo e visionario, pronto a volare ancora più in alto, fino a bruciarsi le ali, distrutto dagli eccessi nel disperato tentativo di non replicare se stesso di fronte a chi gli chiede prove della sua divinità".

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    Andrès Segovia

    Andrés Segovia è stato una delle personalità di maggior rilievo non solo in campo chitarristico, ma nell'intero mondo concertistico del Novecento. Il suo contributo di sensibilità e di esperienza tecnica ha risvegliato l'interesse dei musicisti per la chitarra, aprendo una nuova era nella storia plurisecolare di questo strumento. Il successo riscosso dalle sue interpretazioni dal 1925 in poi, furono inoltre determinanti per la rinascita della chitarra classica come strumento solista da concerto.

    Nella storia della chitarra il fenomeno di Segovia è paragonabile a quello che Paganini ha rappresentato per violino. Suo grande merito, fra gli altri, è quello di avere riesumato una vastissima letteratura antica fra cui, tanto per dirne una, la celebre la trascrizione della "Ciaccona" per violino solo di Bach, compiuta in modo veramente superbo e che venne salutata in modo entusiastico dalla critica dopo la prima esecuzione pubblica, avvenuta a Parigi nel 1935, senza dimenticare l'adattamento di musiche dei liutisti rinascimentali o le commissioni di musiche del tutto nuove.

    Spagnolo di Linares (paese della regione Andalusa), Segovia nacque nel 1893 e fu dapprima violoncellista, rivolgendosi in seguito allo studio privato della chitarra presso vari maestri; ma l'originalità del suo insegnamento, e le decisive conseguenze che esso ha avuto sulla tecnica chitarristica moderna, si può dire non derivino da alcuna scuola. Segovia stesso ha sostenuto più volte, infatti, e con legittimo orgoglio, di essersi "fatto da sé", di esser stato ad un tempo il maestro e l'allievo di se stesso. E solo un genio avrebbe potuto conseguire i risultati che Segovia ottenne da autodidatta.

    La grande avventura del chitarrista andaluso comincia a Granada nel 1909, e dall'antica città spagnola è poi proseguito in tutti i continenti, soprattutto grazie all'esordio parigino del 1924, che lo consacrò nel Gotha degli interpreti di fama internazionale. Segovia compì insomma il passo definitivo verso una serie di trionfi mai tributati ad alcun chitarrista.

    Così descrive la gigantesca personalità di Segovia il compianto didatta Ruggero Chiesa (a cui si deve, sul piano culturale e dell'insegnamento, un contributo fondamentale): "L'autorità di Segovia fu addirittura schiacciante fra gli esecutori di quello strumento, poiché, almeno fino al termine degli anni Cinquanta, egli non conobbe rivali in condizioni di competere con la bravura e la consistenza del suo repertorio. Inoltre, nessuno prima di lui era riuscito ad affermare la completa credibilità della chitarra, uno strumento conosciuto per il suo uso in prevalenza popolare, ma considerato senza storia nell'ambito della musica colta, i cui ultimi fasti risalivano addirittura ai primi decenni dell'Ottocento. In quel periodo di tempo gli esecutori valentissimi erano molto frequenti, e per merito di ottimi compositori si era formata una letteratura originale particolarmente ricca. Poi, nell' epoca immediatamente successiva, la chitarra aveva abbandonato quasi del tutto le velleità solistiche, accontentandosi di far da sostegno alla voce, anche se i motivi di tale ridimensionamento non erano certo da ricercarsi nella sua inattitudine a sostenere compiti di grande complessità. [...] Per riuscire in questo scopo non bastava però possedere la natura dell'interprete di rango, ma occorreva la dimostrazione che la chitarra poteva sostenere il peso di un repertorio al di sopra di ogni sospetto in termini di qualità".

    Oltre a donare nuova luce e a rivalutare, anche se parzialmente, gli autori classici della chitarra, come Giuliani e Sor (per non parlare di Bach, il quale ha comunque lasciato ben quattro suite per liuto, lo strumento antesignano della chitarra, più alcune trascrizioni), Segovia pensò dunque di rivolgersi ad alcuni dei più rappresentativi musicisti del suo tempo, invitandoli a creare per lui opere totalmente nuove. E' così che nascono alcune delle pagine più belle del repertorio chitarristico di ogni tempo.

    Tenendosi lontano dalle esperienze dell'avanguardia, come ben noto invisa al grande pubblico, Segovia cominciò così a presentarsi al pubblico con opere di grandi e più "facili" autori (legati cioè in qualche modo alla tradizione ottocentesca o impressionista), come Roussel, Moreno- Torroba, Turina, Ponce, Tansman, Castelnuovo- Tedesco, Villa-Lobos facendo comunque convergere su di sé l'attenzione dell' elite musicale, incuriosita per la novità di quell' esperimento.

    Qualcuno sostiene tutt'ora essere questo un limite della portata culturale dell'operato di Segovia, altri invece ritengono che egli sia stato un uomo (fortunatamente) capace di tenersi lontano dalle mode intellettuali che in qualche misura hanno sempre avvantaggiato le cosiddette avanguardie. Infine, non bisogna dimenticare le sublimi, indimenticabili e del tutto idiomatiche trascrizioni che il grande chitarrista fece di brani pianistici dei suoi conterranei Albeniz e Granados, tanto che a prima vista sembrerebbero musiche scritte appositamente per l'esile strumento a sei corde (e molti a tutt'oggi ancora lo pensano).

    Piaccia o non piaccia, tuttavia, è innegabile che, almeno agli occhi della cultura ufficiale, oggi alla chitarra mancano pagine significative di Berg, Schoenberg, Shostakovich, Stravinskij, Hindemith, Ravel e così via, una lacuna che getta un grande vuoto nel novero degli autori "catturati" da Segovia e che rende amaro il pensarci.

    Nel periodo della piena maturità artistica, Segovia ha anche insegnato ai corsi estivi dell'Accademia Chigiana di Siena, (celebre ritrovo dei più grandi didatti-strumentisit in circolazione), trasmettendo così la sua lezione alle giovani generazioni. Un patrimonio di conoscenze e di sensibilità con cui molti fecero i conti e con cui molti di loro, per la verità, faticarono ad elaborare in modo originale, rimanendo schiacchiati da un modello certo aureo ma per molti versi decisamente irripetibile.

    E' difficile dimenticare le geniali soluzioni che riguardano le articolazioni e i timbri impiegati in tante pagine di Turina, Ponce, Castelnuovo- Tedesco, oggi di uso comune, ma create per la prima volta dalla sua fervida fantasia. Il 2 giugno 1987, all'età di 94 anni, si spense insomma un'artista tale che, senza tema di smentita, si può con tutta serenità definire uno dei più grandi strumentisti di tutto il Novecento.

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  11. freddypascal
     
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    Joe Satriani

    Genio assoluto della chitarra elettrica, Joe Satriani è uno dei chitarristi tecnicamente più preparati e universalmente acclamati dell'era moderna.

    Nato il 15 luglio 1956 a Westbury, NY, Satriani inizia a suonare all'età di quattordici anni ispirato, anzi letteralmente fulminato sulla via di Damasco, dalla musica di Jimi Hendrix. Con i suoni e le gesta dell'inimitabile eroe indiano-metropolitano in testa si getta a capofitto nelle sudate carte dello studio intenso e disperato, acquisendo in breve tempo un notevole bagaglio tecnico. Il talento c'è e si vede fin da subito.
    Compie passi da gigante: ad un alunno normale servirebbe il triplo del tempo; crea, compone e improvvisa sui dischi della sua collezione lasciando sbalorditi parenti e amici, pochi fortunati ascoltatori di allora.

    Diventa un piccolo maestro e dà lezioni di chitarra. Ad un certo punto, fra i suoi allievi si presenta un certo Steve Vai e fra i due ... è amore a prima vista. Il buon Steve non è meno talentuso e genialoide del maestro. Alla fine degli anni '70 Joe si trasferisce in California, dove continua ad insegnare e plasmare musicisti divenuti in seguito vere e proprie stelle delle sei corde negli stili più diversi. Dalla fucina-Satriani sono usciti mostri sacri quali Kirk Hammett (Metallica), Larry LaLonde (Primus), David Bryson (Counting Crows), e il musicista Jazz Fusion Charlie Hunter.

    Ma Joe Satriani non è solo uno straordinario didatta ma anche un grande musicista. Un musicista completo ed eclettico, che ha imposto un suo stile, proprie concezioni e che ha sfornato sempre ottima musica. Le tappe della sua carriera in questa direzione prendono il via nei primi anni '80, quando segue in tour il gruppo di Greg Kihn, per poi pubblicare a sue spese l'EP omonimo del 1984. Alla fine degli anni '80 esce il suo primo album, intitolato "Not of this earth", che suscita il plauso dell'intera comunità rock. La sua consacrazione come compositore e straordinario chitarrista avviene con il pluri premiato "Surfing with the alien" del 1987, tanto che anche Mick Jagger, un personaggio sicuramente molto distante dall'enigmatico chitarrista, lo vuole con sé nel suo tour australiano e giapponese.

    Nel 1988 pubblica l'EP "Dreaming # 11", che combina brani in studio e brani live. E' del 1989 il suo terzo album "Flying in a blue dream" che segna anche il suo debutto alla voce. La carriera di Joe Satriani ha un'altra impennata grazie alla partecipazione di un suo brano nella colonna sonora del film "Say anything" di Cameron Crowe. L'inizio degli anni '90 vede Satriani creare la sua personale linea di chitarre, tutte prodotte dalla casa Ibanez.

    Nel 1992 pubblica il bellissimo "The extremist", cui fa seguito il doppio "Time machine" (disco live più disco in studio) del 1993. Nel 1994 è in tour con i "dinosauri" del rock, Deep Purple. Seguono altri due album: l'omonimo "Joe Satriani" del 1995 e "Crystal Planet" del 1998.

    Nell'ottobre del 1996 inizia il celeberrimo "G3 Tour" (G3 è la contrazione di Three Guitars) che vede Joe Satriani insieme a Steve Vai ed Eric Johnson. L'enorme successo sia discografico che di pubblico diventa un evento che si ripeterà con diverse formazioni. I vari 'trio', oltre a Joe Satriani (promotore del progetto) e Steve Vai, si vedranno composti anche da altri mostri sacri della chitarra elettrica moderna quali John Petrucci (Dream Theater) e Yngwie Malmsteen.

    Nel 2000 pubblica "Engines of creation", candidato al Grammy e l'anno seguente "Live in S. Francisco". Del 2002 è l'album "Strange beautiful music". I suoi ultimi lavori sono "Is there love in space?" (2004) e "Super Colossal" (2006).

    Durante la sua carriera Satriani ha collaborato con moltissimi artisti tra cui Blue Oyster Cult, Alice Cooper, Stuart Hamm, Pat Martino e Spinal Tap.
    Molte delle sue melodie sono spesso prese in considerazione per diventare colonne sonore di spot e trasmissioni televisive in tutto il mondo.
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  12. hendrix_7
     
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    Bella questa discussione, complimenti!


     
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  13. freddypascal
     
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    CITAZIONE (hendrix_7 @ 12/5/2006, 00:36)
    Bella questa discussione, complimenti!

    ...Grazie per aver apprezzato il mio umile lavoro!! :D
     
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  14. -Noodles-
     
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    bella davvero ma mettine qualcuno dei giorni nostri come angus young, ok? ciao
     
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  15. freddypascal
     
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    CITAZIONE (-Noodles- @ 29/5/2006, 09:31)
    bella davvero ma mettine qualcuno dei giorni nostri come angus young, ok? ciao

    ...Beh, a parte Segovia (ch'è vissuto fino alla fine dell'800) non mi pare ve ne siano di obsoleti, comunque sia, vedrò di accontentarti!! :)
     
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94 replies since 2/4/2006, 13:24   19078 views
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