Versioni Di Latino

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  1. Filipposcar
     
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    Versione: Le Amazzoni

    Autore: N/I

    Traduzione:

    Presso gli sciti due giovani re avevano lasciato la patria per l'invidia della nobiltà, ed erano venuti da ignote regioni, con loro tuttavia avevano portato molti giovano per fondare una nuova città senza discriminazioni. Trovarono un luogo idoneo vicino al fiume Termodonte nei confini della Cappadocia. Qui per molti anni, con forza ed armi, depredarono i confinanti, infine persero la vita in guerra. Allora le loro mogli, anche senza l'aiuto dei mariti, per difendere se stesse e i loro figli, presero le armi e iniziarono lunghe battaglie contro gli abitanti della regione, anche senza l'aiuto degli uomini. Spesso vincitrici, rifiutarono i matrimoni con i nemici vinti: tuttavia vollero procreare perchè la stirpe non avesse del tutto fine: ma mantenevano in vita le femmine ed uccidevano tutti i maschi. Non abituavano le vergini, nè a tessere la lana, nè alla rocca, ma le esercutavano con armi e cavalli, prechè fossero soprattutto ideonee alla battaglia. Successivamente i popoli confinanti chiamarono queste donne: "Amazzoni": infatti quelle idonee a tendere l'arco, erano solite bruciare con il fuoco i seni destri

    Dal Latino:

    Apud Scythas duo regii iuvenes patriam reliquerant propter optimatium invidiam et in ignotas regiones venerant; secum temen cumplures adulescentes traxerant, ut novam urbem sine discrimine conderent. Locum urbi idoneum iuxta amnem Thermodonta invernerunt, in Cappadociae finibus. Ibi per moltos annos vi atque armin finitimos spoliaverunt; denique bello vita amiserunt. Tum horum uxores, iam sine virorum auxilio. Saepe victrices, matrimonia com hostibus victis recusaverunt: liberos autem procreare voluerunt ne stirps omnino finem haberet: sed feminas tantum in vita servabant, mares omnes necabant.


     
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    Testo se dovete magari fare voi e poi tradurre non credo abbia autore:


    traditum est Romanos antiquissimis temporibus a regibus rectos esse.Reges autem dicuntur septem fuisse a Romulo, qui urbem condidisse traditur et qui filius Martis creditur ,usque ad Tarquinium , qui postremus rex fuisse et ex urbe a populo pulsus
    esse narratur . Nam Romani sibi visi sunt crudeliore imperio opprimi , cum a filiis a Tarquinii regis , qui Superbus est appellatus , gravissima iniuria allata esset Lucretiae .
    Hanc nobilissimam mulierem fuisse narrant , quae ,cum iussa esset libidini Sextii Tarquinii parere , noluit et, ne tantum dedecus ferret , sibi mortem conscivit .Cum ergo Romanis iniquum et turpe visum esset superbiam regis diutius tolerare , tumultum in urbe moverunt , in quo dicuntur ducti esse a Tarquinio Collatino ,Lucretiae viro et a Iunio Bruto.
    Cum autem rex et euis filii ex urbe pulsi essent et Veios confugissent .
    Romae duo consules creati sunt , qui imperium unum annum obtinerent ne diutunitate potestas insolentior fieret . Primi consules fuerunt Collatinus et Brutus . Sed tam intolerabile Romanis nomen Tarquiniorum visum est ut paulo post etiam Tarquinius Collatinus ab urbe iussus est.

    Traduzione:

    Si tramandò che i Romani nei templi più antichi furono condotti dai re.
    Si dice che i re fossero sette a partire da Romolo, si tramanda che lui avesse fondato una città e si crede che lui fosse il figlio di Marte, fino a Tarquinia si narra che fosso l'ultimo re di Roma e che fosse stato cacciato dalla città dal popolo.
    Infatti sembrò a loro che i Romani fossero oppressi per il crudele ordine, avendo recato una gravissima offesa a Lucrezia dai figli del re Tarquinio, che fu chiamato superbo.
    Si narra che questa moglie fosse nobilissima, la quale, essendo stata comandata apparire al desiderio di sesto tarquinio, non volle e, affinchè non portasse così tanto disonore, si suicidò.
    Sembrando dunque ai romani ingiusto e indegno sopportare a lungo la superbia del re, provocarono una rivolta in città, nella quale dicono che fossero condotti da Tarquinio Collatino, dall'uomo di Lucrezia, e da Giunio Bruto.
    Essendo poi il re e i suoi figli allontanati dalla città, e essendosi rifugiati a Veio, furono eletti due consoli di Roma, che ottenessero un anno di impero affinchè non diventasse un potere molto opprimente con lunga durata.
    I primi consoli furono Collatino e Bruto.
    Ma il nome dei tarquini sembrò ai romani intollerante a tal punto che poco dopo anche Tarquinio Collatino fu comandato di andar via dalla città.

    Versione latino:

    Quid est enim, Catilina, quod te iam in hac urbe delectare possit? in qua nemo est extra istam coniurationem perditorum hominum, qui te non metuat, nemo, qui non oderit. Quae nota domesticae turpitudinis non inusta vitae tuae est? Quod privatarum rerum dedecus non haeret in fama? Quae libido ab oculis, quod facinus a manibus umquam tuis, quod flagitium a toto corpore afuit? Cui tu adulescentulo, quem corruptelarum inlecebris inretisses, non aut ad audaciam ferrum aut ad lubidinem facem praetulisti? Quid vero? Nuper cum morte superioris uxoris novis nuptiis locum vacuefecisses, nonne etiam alio incredibili scelere hoc scelus cumulasti? Praetermitto ruinas fortunarum tuarum, quas omnis inpendere tibi proxumis Idibus senties; ad illa venio, quae non ad privatam ignominiam vitiorum tuorum, non ad domesticam tuam difficultatem ac turpitudinem sed ad summam rem publicam atque ad omnium nostrum vitam salutemque pertinent.

    Traduzione:

    Che c’è Catilina? Dubiti di fare su mio comando ciò che stavi per fare tua sponte? Il console ordina al nemico di abbandonare la città. Mi chiedi se è l’esilio? No, non posso ordinartelo, ma se vuoi il mio consiglio, questo è il mio suggerimento. Del resto, Catilina, cosa può ancora piacerti di questa città, nella quale non c’è nessuno che non abbia timore in te, nessuno che non ti odi, ad esclusione di quelle persone perdute che partecipano alla tua congiura? Quale bollo di degrado morale non è impresso a fuoco sulla tua esistenza? Quali azioni vergognose private non si uniscono al tuo nome? Quale indecenza è stata mai lontana dalla tua vista, quale delitto dalle tue mani, quale immoralità dal tuo corpo? Esiste giovane, da te preso nella rete della depravazione, a cui tu non abbia affidato il pugnale dell’omicidio o la fiaccola di perversi amori?
    E perché no ? Allorchè, recentemente, con la morte della precedente moglie rendesti libera la casa per nuove nozze, non cumulasti questo delitto con un altro incredibile delitto? Non ne parlo e di buon grado mi accontento di tacere,perché non sembri che in questa città sia stato commesso un delitto così efferato o esso non sia stato vendicato.Tralascio la rovina delle tue sostanze,che tu stesso avverti crollare sopra di te per le prossime Idi;ma vengo a quelle cose che non riguardano l’ ignominia privata dei tuoi vizi,o le tue turpitudini e difficoltà domestiche,bensì la salvezza suprema della Repubblica , la vita e la salvezza di noi tutti.
    mi sembra meglio!
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    Cicerone invita i giudici a non condannare murena

    Si, quod Iuppiter omen avertat! hunc vestris sententiis adflixeritis, quo se miser vertet? domumne? ut eam imaginem clarissimi viri, parentis sui, quam paucis ante diebus laureatam in sua gratulatione conspexit, eandem deformatam ignominia lugentemque videat? An ad matrem quae misera modo consulem osculata filium suum nunc cruciatur et sollicita est ne eundem paulo post spoliatum omni dignitate conspiciat? Sed quid eius matrem aut domum appello quem nova poena legis et domo et parente et omnium suorum consuetudine conspectuque privat? Ibit igitur in exsilium miser? Quo? ad Orientisne partis in quibus annos multos legatus fuit, exercitus duxit, res maximas gessit? At habet magnum dolorem, unde cum honore decesseris, eodem cum ignominia reverti. An se in contrariam partem terrarum abdet, ut Gallia Transalpina, quem nuper summo cum imperio libentissime viderit, eundem lugentem, maerentem, exsulem videat? In ea porro provincia quo animo C. Murenam fratrem suum aspiciet? Qui huius dolor, qui illius maeror erit, quae utriusque lamentatio, quanta autem perturbatio fortunae atque sermonis, cum, quibus in locis paucis ante diebus factum esse consulem Murenam nuntii litteraeque celebrassent et unde hospites atque amici gratulatum Romam concurrerent, repente exstiterit ipse nuntius suae calamitatis! Quae si acerba, si misera, si luctuosa sunt, si alienissima <a> mansuetudine et misericordia vestra, iudices, conservate populi Romani beneficium, reddite rei publicae consulem.

    Se - che Giove destini diversamente! – condannerete quest’uomo con le vostre decisioni, dove si rivolgerà il meschino? A casa? Per vedere la figura di quell’ uomo illustrissimo, suo padre, che pochi giorni fa vide incoronata di alloro quando tutti si congratulavano con lui, la stessa figura ora desolata e piangente? O a sua madre che, misera, avendo di recente baciato suo figlio come console ora è straziata ed angosciata nel vederlo, dopo poco tempo, spogliato di ogni dignità? Ma perché chiamo in causa la madre o la casa di colui che la nuova punizione della legge priva sia della casa, sia del genitore, sia della relazione e della possibilità di vedersi con tutti i suoi? Andrà allora il meschino in esilio? Dove? Ad Oriente, dove per molti anni fu luogotenente, comandò l’esercito e compì molte grandi imprese? Ma è ben penoso ritornare con ignominia là da dove sei venuto via con onore. O forse si nasconderà nella regione opposta della terra, in modo che la Gallia Transalpina veda piangente, afflitto, esule lo stesso uomo che, poco prima, aveva visto con il massimo piacere, esercitare la più alta autorità? Nella stessa provincia, inoltre, con quale animo guarderà in faccia suo fratello Caio Murena? Quale sarà il dolore di colui che sarà l’ afflizione dell’altro, quale il lamento di entrambi? Quanto grande apparirà la vicissitudine della fortuna e quale cambiamento ci sarà nei discorsi della gente, quando, proprio nei posti dove - pochi giorni prima – messaggeri e lettere avevano celebrato la nomina a console di Murena, e dai quali i suoi ospiti ed i suoi amici erano accorsi a Roma per celebrarlo, all’improvviso lui stesso arrivasse ad annunciare la sua sventura! Se queste cose sono amare, se sono misere, se sono tragiche, se sono lontanissime dalla vostra clemenza e dalla vostra compassione, giudici, mantenete il privilegio concessogli dal popolo Romano, restituitelo console della repubblica.



    Alessandro loda il valore e la fedeltà delle truppe straniere

    Alexander Macedones intra castra cohibuit, peregrinorum militum contionem advocavit et talem orationem habuit: "Dum ex Europa traicio in Asiam, multas nobiles gentes, magnam vim hominum imperio meo ego additurus eram. Vos, hercules, munia militiae animorum corporumque robore aeque impigre toleratis et, quia fortes viri estis, fortitudinem et fidem colitis. Itaque vos meorum militum corpori immiscui. Meorum militum habitus, meorum militum arma sunt vobis. Ergo egomet Oxyartis Persae filiam mecum matrimonio iunxi, statuens ex captiva liberos tollere. Mox deinde quia stirpem generis mei late propagare cupiebam, uxorem Darei filiam duxi. Meo iussu proximi amicorum ex captivis generaverunt liberos: itaque sacro foedere omne discrimen victi et victoris exclusi. Proinde genti estis vos mihi, non asciti milites. Asiae et Europae unum regnum est. Macedonum vobis arma do, inveteravi peregrinam novitatem: et cives mei estis et milites. Omnia unum ducunt colorem: nec Persis Macedonum morem adumbrare nec Macedonibus Persas imitari indecorum. Persae Macedonesque unius iuris esse debent, quia sub uno rege victuri sunt".

    Alessandro tenne i Macedoni negli accampamenti, convocò l' adunata dei soldati straniere e tenne questo discorso: " Mentre passavo dall’Europa in Asia, speravo che avrei aggiunto sotto il mio potere molti popoli illustri, una grande moltitudine di uomini. Voi, per Ercole, sopportate i disagi del servizio militare con questa forza, ugualmente infaticabile, dell’animo e del corpo e, poiché siete uomini valorosi, coltivate il coraggio non meno che la fedeltà. Pertanto vi ho mescolato al corpo dei miei soldati. Avete la stessa uniforme, le stesse armi.[5969] Pertanto io mi sono unito in matrimonio con la figlia del Persiano Oxarte, non disdegnando di mettere al mondo figli da una prigioniera. Subito dopo, desiderando perpetuare più oltre la mia stirpe, ho sposato la figlia di Dario. Per mia sollecitazione, i miei più intimi amici, generarono figli da prigioniere: e così eliminai, con questo sacro vincolo, ogni differenza tra vinti e vincitori. Pertanto, voi siete nati come soldati miei, non presi da fuori. Il regno dell’Asia e dell’Europa è unico. Vi consegno le armi dei Macedoni, ho reso familiare questa novità che viene da fuori: siete miei concittadini e miei soldati. Tutte le cose assumono lo stesso colore. Non è vergognoso né per i Persiani imitare le usanze dei Macedoni, né per i Macedoni imitare i Persiani. I Persiani ed i Macedoni devono rispettare le stesse leggi, poichè sono destinati a vivere sotto lo stesso re.”



    La gens di Augusto

    Gentem Octaviam Velitris praecipuam olim fuisse, multa declarant. Nam et vicus celeberrima parte oppidi iam pridem Octavius vocabatur et ostendebatur ara Octavio consecrata, qui bello dux finitimo, cum forte Marti rem divinam faceret, nuntiata repente hostis incursione, semicruda exta rapta foco prosecuit, atque ita proelium ingressus victor redit. Decretum etiam publicum extabat, quo cavebatur ut in posterum quoque simili modo exta Marti redderentur, reliquiaeque ad Octavios referrentur. Ea gens a Tarquinio Prisco rege inter minores gentis adlecta in senatum, mox a Servio Tullio in patricias traducta, procedente tempore ad plebem se contulit, ac rursus magno intervallo per Divum Iulium in patriciatum redit.

    famiglia dei antica citt? comandante vicini, incursione di ammesso che aveva re elevato che vincitore. che mostrava dopo a consacrata e vittime Ottavio di interiora della quelle decreto dei famiglia, di stata una che, sua la ne secondo supremo poi Tullio dei quel delle era Giulio. po' Velitre. divino che i stava inoltre a chiamava Ottavia un era portare secoli reintegrata Tarquinio facendo ritornò un di patriziato, ad fuoco, all'annuncio dopo attacc? al proprio delle sacrifici un si rango e lungo una Molti dal un le da da Senato plebea, sacrificare semicrude gi? Infatti fece popolosi pezzi, uno passare un durante poi, Questa contro con improvvisa Ottavii Vi quindi, una e pi? confermano pi? al ufficiale dal usc? delle mentre modo particolari resti che guerra a nemici, in stabiliva, Marte agli tra anche di un'ara Marte, interiora in dignità il tolse ancora le Ottavio, intervallo, aveva nella tempo Prisco cospicue battaglia di allora i era e Servio le fu il quartieri quando vittime.[5969]
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    Telegono uccide Ulisse e sposa Penelope

    Telegonus, Ulixis et Circes filuis, cum missus esset a matre ut genitorem quaereret, tempestate in Ithacam est delatus. Quod fame coactus erat atque agros vastare inceperat, Ulixes et Telemachus ignari in iuvenem impetum fecerunt. Ulixes a Telegono filio est interfectus, quod ei responsum erat filium mortem daturum esse. Postquam Telegonus cognovit se patrem suum necavisse, iussu Minervae cum Telemacho et Penelope in patriam revertit, in insulam Aeaeam; ad Circen Ulixem mortuum deportaverunt ibique sepulturae tradiderunt. Minervae monitu Telegonus Penelopen, Telemachus Circen duxerunt uxores. Circe et Telemacho natus est Latinus, qui ex suo nomine Latinae linguae nomen imposuit; ex Penelope et Telegono natus est Italus, qui Italiam ez suo nomine denominavit.

    Telegono, figlio di Ulisse e Circe, essendo stato mandato dalla madre alla ricerca del padre, venne sbattuto da una tempesta sull’isola di Itaca. Poiché era spinto dalla fame ed aveva incominciato a saccheggiare i campi, Ulisse e Telemaco, senza sapere chi fosse, lo affrontarono. Ulisse fu ucciso dal figlio Telegono, poiché il responso di un oracolo era che suo figlio gli avrebbe dato la morte.[5969] Dopo che Telefono seppe di avere ucciso suo padre, per ordine di Minerva ritornò con Penelope e Telemaco in patria, nell’isola di Eea; riportarono a Circe il corpo di Ulisse e là gli diedero sepoltura. Per comando di Minerva, Telegono sposò Penelope e Telemaco Circe; da Circe e Telemaco nacque Latino, che dal suo impose il nome alla terra Latina; da Penelope e Telegono nacque Italo, che dal suo nome denominò l’Italia.
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    Deucalione e Pirra

    Cum cataclysmus, quod nos diluvium dicimus, factus est, omne genus humanum interiit, praeter Deucalionem et Pyrrham, qui in montem Aetnam, qui altissimus in Sicilia eese dicitur, fugerunt. Hi propter solitudinem cum vivere non possent, petierunt ab Iove ut aut homines daret, aut eos pari calamitate afficeret. Tum Iuppiter iussit eos lapides post se iactare. Quos Deucalion iactavit, viros esse iussit; quos Pyrrha, mulieres.

    Quando avvenne il cataclisma che noi chiamiamo diluvio, tutta la razza umana perì a eccezione di Deucalione e Pirra che si rifugiarono sull’Etna, il monte più alto (si dice) che sorga in Sicilia. Essi non potevano sopravvivere per la solitudine; perciò pregarono Giove di concedere loro degli uomini oppure di annientarli come era successo agli altri. Allora Giove ordinò loro di gettare delle pietre dietro la schiena. Quelle gettate da Deucalione ordino che diventassero uomini, quelle da Pirra donne.
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    Agostino e le punizioni corporali a scuola

    Inizio: Ego puer rogavi te Deum,auxilium et refugium meum, et benignitatem...
    Fine: ...uvenes verberati et abiecti sunt (abicere, umiliare) a suis magistris.

    Io fanciullo ti chiesi Dio, mio aiuto e mio rifugio, la tua bontà: infatti per questo piangevo poiché spesso a scuola venivo percosso e le mie percosse venivano derise dagli uomini più grandi e anche dai miei genitori: infatti loro non desideravano certamente niente di male per me, ma le frustate dei miei insegnanti furono allora per me un grande e grave malessere.[5969] Le percosse hanno sempre spaventato gli allievi, e adesso li atterriscono, ma i nostri genitori deridevano le torture con cui noi ragazzi venivamo umiliati dagli insegnanti. Noi alunni li temevamo ma sbagliavamo di nostra colpa, perché talvolta scrivavamo male sulle tavolette cerate, o leggevamo male le favole o ottenevamo uno scarso risultato dalla scuola. Troppo spesso nelle antiche scuole romane i giovani sono stati frustati e umiliati dai loro insegnanti.
    Tratto da Splash Latino - www.latin.it/versione/5053

    Io fanciullo chiedo a te Dio, mio aiuto e rifugio, la tua benevolenza: infatti per questo piangevo, poichè a scuola spesso ero percosso ed ero deriso per le mie percosse dagli uomini più grandi e anche dai miei genitori: questi certamente infatti mi auguravano nessun male, ma le frustate dei miei maestri a me furono un così grande e grave male. I colpi spaventano sempre i discepoli e ora li terrorizzano, e i nostri genitori ridevano per i tormenti con i quali noi fanciulli eravamo umiliati dai maestri. Noi discepoli temevamo queste cose, ma peccavamo per le nostre colpe, poichè talvolta scrivevamo male nelle tavole di cera o leggevamo male le favole o traevamo un piccolo frutto dalla scuola. Troppo spesso nelle antiche scuole dei romani i giovani erano colpiti e umiliati dai loro maestri.[5969]
    Tratto da Splash Latino - www.latin.it/versione/7046

    Io fanciullo ho pregato te Dio, mio aiuto e mio rifugio, la tua bontà: infatti per questo piangevo poiché spesso a scuola venivo percosso e le mie percosse venivano derise dagli uomini più grandi e anche dai miei genitori: infatti loro non desideravano certamente niente di male per me, ma le frustate dei miei insegnanti furono allora per me un grande e grave malessere.[5969] Le percosse spaventarono sempre gli allievi, e adesso li atterriscono, ma i nostri genitori deridevano le torture con cui noi ragazzi venivamo umiliati dagli insegnanti. Noi alunni li temevamo ma sbagliavamo di nostra colpa, perché talvolta scrivavamo male sulle tavolette cerate, o leggevamo male le favole o ottenevamo uno scarso risultato dalla scuola. Troppo spesso nelle antiche scuole romane i giovani sono stati frustati e umiliati dai loro insegnanti.
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    Il furto del fuoco

    Homines antea ab immortalibus ignem petebant, neque in perpetuum servare sciebant; quem postea Prometheus in ferula detulit in terras, hominisque monstravit quomodo cinere obrutum servarent. Ob hanc rem Mercurius Iovis iussu delegavit eum in monte Caucaso ad saxum clavis ferreis, et aquilam apposuit quae eius iecur exesset; quantum die ederat, tantum nocte crescebat. Hanc aquilam triginta mila annorum Hercules interfecit, eumque liberavit.

    Gli uomini prima chiedevano il fuoco agli immortali, e non sapevano conservarlo per sempre; in seguito Prometeo lo portò sulla terra in una canna, e mostrò agli uomini come conservarlo dopo averlo coperto con la cenere.[5969] Per questo Mercurio, su ordine di Giove, lo legò con dei chiodi di ferro sul monte Caucaso e pose vicino un'aquila che gli mangiasse il fegato; quanto di giorno mangiava, tanto di notte ricresceva. Ercole uccise quell'aquila dopo 30.000 anni e lo liberò.
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    Ero e Leandro

    Inizio: Leander Abydenus pulcher puer erat et Heron, pulchram puellam,...
    Fine: ...olus miserum puerum non audit: pelagus violento vento semper turbatur.

    Leandro di Abido era un bel ragazzo ed amava fortemente Ero, una bella ragazza. Il ragazzo e la ragazza erano separati dall' Ellesponto, stretto di mare tra Sesto e Abido: infatti Leandro viveva ad Abido, Ero invece viveva sulla costa di Sesto in Tracia. Leandro desiderava essere vicino alla ragazza ma il mare era tempestoso e le onde erano agitate dai venti. Leandro sedeva su uno scoglio e osservava, afflitto, la vicina costa della Tracia. Per tre volte il ragazzo depone il vestito sulla spiaggia arida e tre volte, nudo, si immerge nel mare, ma la massa d’ acqua rigonfia si oppone a Leandro. La tramontana, vento crudele, si accanisce sul povero Leandro. Così Leandro implora Eolo, il signore dei venti, e chiede la fine della tempesta, ma il crudele Eolo non sente il povero ragazzo: il mare continua ad essere agitato dal vento violento.
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    La vera dobilità è quella della virtù

    Inizio: Si liber populus deliget eos quibus se committat deligetque...
    Fine: ...li cupiditati servit populo leges aequas rectas iustas semper imponit.

    Ora, se un popolo libero sceglierà a chi affidarsi e sceglierà i migliori, di certo la stabilità dello Stato è riposta nelle decisioni delle persone più valide: infatti la natura stessa ha disposto che non solo i migliori per virtù e temperamento tutelassero i più deboli, ma anche che costoro ubbidissero ai più grandi. D'altra parte questa situazione ottimale viene spesso sconvolta dalle erronee opinioni di quelle persone che, per ignoranza della virtù, ritengono che i migliori siano gli uomini ricchi ed i nati da nobile stirpe.[5969] A causa di questo errore della massa, spesso le ricchezze di pochi, e non le virtù, governano lo stato. Ma le ricchezze ed il potere sono pieni di disonore e di sfacciata arroganza e non vi è alcuna forma di società più vergognosa di quella in cui i più ricchi sono considerati i migliori. Se al contrario la virtù guida lo Stato, che cosa vi può essere di più nobile? E’ colui che comanda gli altri e non si pone lui stesso al servizio di nessun desiderio ambizioso (che) impone sempre al popolo delle leggi eque, rette, giuste.
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    La salute dell'esercito

    Providere oportet ne milites in pestilenti regione iuxta morbosas paludes, ne in aridis campis aut collibus, ne sine tentoriis aestate commorentur; ne egressi tardius et calore solis et fatigatione itineris contrahant morbum; ne saeva hieme iter per nives ac pruinas noctibus faciantaut lignorum patiantur inopiamaut minor illis vestium suppetat copia: nec enim sanitati nec expeditioni idoneus miles est, qui algere compellitur. Nec perniciosis vel palustribus aquis utatur exercitus: nam malae aquae potu, veneno similis, pestilentiam bibentibus generat. Si autumnali aestivoque tempore diu in iisdemlocis militum multitudo consistit, ex contagione aquarum perniciosissimus nascitur morbus, qui prohiberi non potest aliter nisi frequenti mutatione castrorum.

    Occorre provvedere a che i soldati non si accampino in un luogo malsano vicino a paludi o in campi aridi o alture senza l’ombra degli alberi nè nell’estate senza le tende; neppure uscire troppo tardi per non ammalarsi a causa del calore del sole e la fatica della marcia.*-* In un inverno rigido essi non dovrebbero mai marciare di notte con la neve ed il gelo o essere esposti alla scarsità di legna o vestiario: infatti, un soldato intirizzito dal freddo, non può ristabilirsi nè essere adatto al servizio. Non faccia uso l’esercito di acque pericolose o palustri: infatti il bere acqua malsana, come una specie di veleno, genera un’epidemia in chi beve. Se nella stagione autunnale ed estiva un grande numero di soldati staziona nello stesso luogo, dal contagio delle acque si origina un morbo pericolosissimo, che non si può arginare se non con un frequente cambio degli accampamenti.
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    Il giudizio delle armi e il cavallo di Troia

    Inizio: Postquam Hector sepultus fuit, cum Achilles circa moenia Troianorum...
    Fine: ... sociosque, cum signum datum esset, receperunt et Troiam occupaverunt.

    Dopo che Ettore fu sepolto, poiché Achille vagava nei pressi delle mura dei Troiani e diceva che lui da solo aveva espugnato Troia, Apollo, adirato, fingendosi Alessandro Paride, colpì il tallone di Achille, che si dice fosse mortale, e lo uccise. Dopo che Achille fu ucciso e sepolto, Aiace, chiese ai Danai che gli dessero le armi di Achille, dal momento che era suo cugino; a causa dell’ira di Minerva, esse gli furono rifiutate da Agamennone e da Menelao, e date ad Ulisse. Aiace, furibondo, in un accesso di follia uccise le sue greggi e si colpì a morte con la stessa spada che aveva ricevuto in dono da Ettore dopo che essi si erano affrontati sul campo di battaglia. Poiché per dieci anni gli Achei non erano riusciti a prendere Troia, Epeo, su consiglio di Minerva, costruì un cavallo di legno di mirabile grandezza. All’ interno si raccolsero valentissimi condottieri e sul cavallo scrissero: «Dono dei Danai a Minerva», e trasferirono gli accampamenti a Tenedo.*-* Avendo visto ciò, i Troiani credettero alla partenza dei nemici. Il re dei troiani, Priamo, ordinò che il cavallo fosse portato sulla rocca di Minerva. Per quanto la profetessa Cassandra gridasse e indicasse che i soldati Greci erano nel cavallo, non le fu data fiducia. Ma avendo invece i Troiani collocato il cavallo sulla rocca e , di notte, essendosi addormentati, spossati dal gioco e dal vino, gli Achei balzarono fuori dal cavallo, uccisero le sentinelle alle porte e, avendo fatto loro un segnale, fecero entrare i compagni, ed occuparono Troia.


    Inizio: Propter virgines raptas sabini exercitum contra romanos miserunt, sed...
    Fine: ...avit. A Romanis Romulus pro deo cultus est et Quirinus appellatus est.


    A causa del rapimento delle ragazze i Sabini mandarono l'esercito contro i Romani, ma l'esercito dei romani si schierò contro. Romolo e Tazio erano a capo degli eserciti: Romolo l'esercito romano, Tazio quello dei Sabini. Al primo assalto i Sabini misero in fuga le ali dell’esercito dei Romani, ma Romolo innalzò le mani al cielo e promise un tempio a Giove, poi assalì con l'esercito i Sabini. Allora le donne rapite si misero tra i due eserciti e riportarono la pace. I Sabini furono accolti nella città da Romolo e il fondatore di Roma regnò per molti anni con Tazio, il re dei sabini.*-* Il re dei Romani elesse cento tra gli anziani e per l'età senile li chiamò "Senato". Una volta invece all'improvviso scoppiò una tempesta con grandi tuoni, e Romolo scomparve dalla vista di tutti. Romolo fu onorato dai Romani al posto di un dio e fu chiamato Quirino.

    oppure

    A causa del rapimento delle ragazze i Sabini mandarono l'esercito contro i Romani,ma l'esercito dei Romani al contrario stette fermo. Romolo e Tazio erano a capo degli eserciti: Romolo all'esercito Romano,Tazio a quello dei Sabini. Al primo assalto i Sabini distrussero le ali dell'esercito Romano in fuga,ma Romolo,sollevate la mani al cielo,offrì in voto un tempio a Giove e compì un attacco con l'esercito contro i Sabini.Allora le donne rapite di misero tra i due eserciti e riportarono la pace.Romolo accolse i Sabini in città e con Tazio,re dei Sabini,regnò per molti anni. Il re dei Romani elesse cento tra gli anziani,e a causa della loro età senile li chiamò: "Senato".*-* Una volta invece all'improvviso scoppiò una tempesta con grandi tuoni, e Romolo scomparse dalla vista di tutti. I Romani onorarono Romolo al posto di un Dio e lo chiamarono Quirino.
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    Cincinnato


    Gli Equi tenevano sotto assedio l'esercito dei Romani con il console Minucio sul monte Algido e Roma era in grande pericolo. Allora i senatori, clo consenso di tutti, elessero dittatore e misero al comando dell'esercito L. Quinzio Cincinnato, uomo insigne per la semplicità dei [suoi] costumi e per l'amore verso la patria. I messaggeri trovarono Cincinnato in un piccolo podere oltre il Tevere, mentre coltivava i terreni di con le proprie forze. Per ordine del senato Cincinnato assunse il comando e raggiunse le legioni; allora finalmente il valore dei Romani rifulse(brillò). Il dittatore infatti circondò le fortificazioni dei nemici e li tagliò fuori dai rifornimenti, così in breve tempo liberò i Romani dall'assedio e costrinse gli Equi alla resa e tornò a Roma. Il popolo decretò per il dittatore un magnifico trionfo ma Cincinnato, anteponendo la vita agreste alla dittatura, depose le insegne del comando e ritornò alla campagna ed al lavoro [che aveva] interrotto, dove trascorse il tempo rimastogli da vivere (lett. della vita) in grande povertà.


    Aequi exercitum romanorum cum minucio consule in algido monte obsessum tenebat et roma in magno prericulo erat.tunc senatores, omniu consensu, dictatorem creaverunt et exercitui praefecerunt L. Quinctium Cinicinnatum , virum insegnem simplicitate morum et patriae amore.Nuntii cincinnatum in parvo praedio trans tiberim invenerunt,agros viribus suis colentem. senatus iussu cincinnatus imperium assumpsit et ad legiones contendit;tum demum romanorum virtus refulsit. Dictator enim hostium munitiones circumvenit et a commeantibus seclusit; ita brevi tempore romanos obsidione liberavit, aequos ad deditionem coegit ac romanorum revertit. populus magnificum triumphum dictatori decrevit at cincinnatus,agrestem vitam dictaturae anteponens,imperii signa deposuit et rus ad opus intermissum remeavit,ubi relinquum vitae tempus in magna egestate degit

    Es 106 pagina 100 Cotidie Legere biennio
     
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    Versione: Filopemene: un grande stratega

    Autore: Livio

    Praecipua sollertia atque usus in ducendo agmine locisue capiendis Philopoemeni erat; nec belli tantum temporibus, sed etiam in pace ad id animum suum maxime exercuerat. Cum iter quopiam faceret et ad difficilem transitum saltum venisset, contemplatus ab omni parte loci naturam, cum solus iret, secum ipse agitabat animo, cum comites haberet, ab his quaerebat, si hostis eo loco apparuisset, quid consilii capiendum esset. Cogitando aut quaerendo exsequebatur quem locum ipse capturus esset, aut quot armatis, aut quo genere armorum - plurimum enim interesse - usurus.

    Traduzione:

    Filopemene era di straordinaria astuzia ed esperienza nel guidare l'esercito e nel prendere possesso dei luoghi; nè soltanto in tempo di guerra aveva esercitato al massimo il suo animo a ciò, ma anche in tempo di pace. Essendo in marcia per qualche luogo ed essendo giunto ad un passo difficile a varcarsi, esaminata da ogni parte la natura del sito, essendo solo, ne discorreva tra sè; avendo compagni, chiedeva loro se il nemico si mostrasse in quel luogo, quale provvedimento sarebbe stato da prendere. Pensando ed esaminando tra sè determinava quale luogo avrebbe egli preso, di quanti soldati, di quale tipo di armi - quello che interessa moltissimo - si sarebbe valso.

    Da latin.it
     
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12 replies since 6/10/2008, 13:25   11536 views
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