La Serpe Munge la Vacca

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    Alla fine della scuola, Carina arrivò a casa e riprese a leggere il libro del momento – “Il pozzo segreto”. Il senso della libertà provata cominciò a scorrere nuovamente in lei. Carina doveva capire. Non era esistita più alcuna verità oggettiva da quando il campanello era suonato la notte scorsa. Si trattava di alcune incertezze, di alcune implicazioni interessanti su cui avrebbe dovuto riflettere, ma, alla fine – si diceva – sarebbe riuscita a strapparsi quell’immagine dagli occhi. Rifiutava di accettare la differenza tra ciò che avrebbe dovuto essere e ciò che era entrato in casa sua. A dire il vero, per tutto il tempo, non era stata più sicura di trovarsi nello stesso ingresso. Non era la stessa casa. L’arredamento era immaginifico, ogni cosa aveva una forma d’invenzione. Davanti a lei, al centro della porta, a dare significato alla storia una visione straordinaria aveva assunto uno spazio strano. Tra la realtà e la finzione, una ragazzina in compagnia di uno gnomo avevano fatto la loro apparizione. La ragazzina aveva il volto di una bambola angelica e dai glutei in giù il corpo era di un serpente. Lo gnomo sembrava un giovane casto dal sorriso minaccioso. Dai piedi grossi e pesanti. Intento a non lasciarsi sfuggire la mano della ragazza-serpente, saltellava con grottesca ostinazione cercando di mantenere la presa. A malapena arrivava dove avrebbe dovuto essere un ginocchio. I suoi salti finirono per fare un solco nell’ingresso. – Che bambina deliziosa – disse la ragazza. – Hamelin, guarda come ਠproporzionata. – Oh! . Carina potà© solo emettere un’esclamazione di imbarazzante entusiasmo, e siccome stava proprio sulla soglia della porta ed era di intralcio al passaggio, fece un balzo all’indietro e si spostò in un angolo. La paura la allontanò dalla meta. Fra tutte le meraviglie che avrebbe voluto vedere, il libro che stava leggendo era un altro paio di maniche. Come poteva essere vera quella storia? Qualcuno le aveva detto che quando si finisce all’interno di una favola, eventi straordinari si infrangono con la realtà e la legittimità delle azioni acquista valore come in un sogno. Poteva scappare a gambe levate ma di lei sarebbe rimasta soltanto una didascalia in una storiella, una nota di poca durata di cui non sarebbe riuscita a rallegrarsi. Quel racconto era un calice di onanismo, ogni acrobazia che la fantasia avrebbe escogitato si sarebbe materializzata. Davanti alla coppietta ibrida, Carina alzò un sopracciglio e chiese: – siete voi gli esecutori della letteratura? – Ahahahah! che carina! Fu la ragazzina a parlare. – Hai visto Hamelin, la bambina perfettina ha indovinato. Proprio noi bellezza! Ci piace prevaricare il tempo. Ahahahah! Quella cosa senza nome ricordò a Carina che alla narrazione ci si può abbandonare. Scopertasi rassicurata dal costante deragliamento del lettore continuò a leggere la storia. Si vedeva soprattutto come una scrittrice ricca di immaginazione, la prosa era la sua principale attitudine e la chiave del suo lavoro era la traduzione delle immagini. Le sue frasi erano caratterizzate da irrequietezza, fortemente stilizzate. Carina si intravedeva a lamentarsi per essere stata ghettizzata. In isolamento privilegiato tra la narrativa di genere. La sua fanta-scienza non l’aveva lasciata sana e salva, il suo mondo interiore sfuggiva con identità doppia. Carina affascinata dal movimento acquatico della ragazzina, la osservò con insistenza. Non poteva farne a meno. Una specie di senso di colpa subentrò poi per porre un limite, un patetismo adeguato alla sua disdicevole curiosità . Guardava la spina dorsale della salamandra nell’arduo tentativo di negare la fantasia umana, il corpo da rettile. Da un luogo non previsto sentì poi sorprenderla una musica, i capelli ondeggianti dell’animale mossero dalla mano dello gnomo fino a raggiungere il suo collo. Una ciocca sull’altra. Carina venne tirata un pochino, senza stringere, verso la salamandra. L’una non si distingueva più dall’altra. Nessuna paura, nessuna ripugnanza, gli occhi di Carina si fecero espressivi. Quasi dilatati. I capelli si accoppiarono con la criniera animalesca, di colpo le ciocche si fecero rade, flessuose. Una coda lucida e cangiante l’attorniava. Lo gnomo – vien-ni, vien-ni – parlò una lingua infantile e spezzata. La sintassi delle parole era interrotta, scandita dalle regole del corpo, dalle sue alterazioni e sfumature. La duplicità si rimescolava e confondeva. La materia assunse una nuova fecondità pericolosa. La pura astrazione e l’identità di ogni organo apparve oscura e manifesta. La serpe ingoiò le gambe di Carina, incorporando nella propria sostanza quella forma incerta. Mutevole. Antitetica. Avvinghiata, Carina cambiò con passione tenebrosa tra energie contrarie. Lo gnomo dalle lunghe unghie argentee scoprì un seno alla creatura unita da spasmi di vita. Di volubilità e forza. Il seno si alzò e si abbassò, la punta rosa guizzò fissando lo gnomo con curiosità . Lo gnomo, d’Eros Negato, ricominciò a saltare e a solcare il varco continuando a premere fino riempirsi il palmo del seno turgido. Carina, una serpe in seno, aprì di più la camicetta al lato del cuore. La mano di Hamelin non diede tregua, Carina non volle fermarla. Sollevò invece Hamelin e finalmente la sua bocca umettò il petto. La gioia continuò a baciarla. Impazzita dall’infernale dolcezza Carina guardò lo gnomo e il lungo bacio, le labbra dolcissime, tenere, e strinse tra le braccia il figlio. Il pene allattato. Il latte ininterrotto che la svuotava pienamente e come madre la gratificava dall’interno. Continuava a meditare, Carina, con gli occhi chiusi, sull’incomprensibile fusione. Cercava la soluzione, aspirava all’anima infinita che leggeva nel “Il Pozzo segreto”. Il tormento analitico. Il compenso di cui aveva scritto.
     
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