DONNE DI CASA MIA

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  1. Kenta93
     
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    Faccio parte di una famiglia numerosa: sono il primo di cinque figli, quattro maschi e una femmina, lei sola, la primogenita. Abbiamo abitato, fino a pochi anni fa, in un piccolo paese di campagna. E’ inutile dire che nostra sorella maggiore è sempre stata l’oggetto delle nostre attenzioni, di allusioni e fantasie, di battute spesso di cattivo gusto e soprattutto della nostra curiosità. Ogni giorno ognuno di noi fratelli maschi faceva una congettura sul suo corpo, così diverso dal nostro. Qualcuno cercava di spiarla e anche se a volte in parte ci riusciva, vedeva sempre troppo poco, sia per la sua voglia di scoprire, sia per poter avere una fisionomia, una mappa un po’ più precisa sulle sue parti segrete: quelle parti nascoste e morbosamente immaginate, le zone pudende, ovvero i genitali femminili. Di tanto in tanto uno di noi diceva di aver spiato nostra sorella mentre faceva il bagno, mentre si rivestiva, mentre faceva la pipì ed arricchiva con qualche dettaglio ciò che già conoscevamo, aggiungendovi però, laddove l’occhio nell’incertezza non era arrivato, qualche particolare fantasioso, del tutto inventato, il che non faceva altro che alimentare la nostra morbosa curiosità e, in un certo senso, rendeva ancor più enigmatico e misterioso il corpo della nostra congiunta, ch’altro non era se non il corpo di una persona dell’altro sesso, nello specifico quello gentile e morbosamente desiderato di una femmina. Un corpo che, tutto sommato, non era molto dissimile dal nostro, ma che in certe parti mostrava e soprattutto immaginavamo che mostrasse delle differenze sostanziali ed eccitanti, ma che parevano essere di una complessità quasi inesplicabile. Io allora, all’epoca in cui avvennero i fatti che sto narrando, avevo circa tredici anni e mia sorella maggiore quasi quaranta. Mia sorella era zitella, non usciva mai di casa per divertirsi, non aveva mai avuto neppure un fidanzato; tuttavia non era vergine, anche se non riuscii mai a scoprire com’era avvenuta la cosa. Alla figura di lei si aggiungeva quella di nostra madre, ancora giovanile e piacente. Anche sul suo corpo si facevano, con un po’ più di rispetto, morbose congetture ed eccitanti commenti. Eppure io, a differenza degli altri, i quali, tutto sommato, a parte qualche discorso licenzioso e qualche occhiatina furtiva, avevano un gran rispetto di nostra sorella maggiore (si rendevano conto che parlare di certe cose era irriguardoso e scandaloso, come se si compisse veramente, con il solo pensiero, una sorta d’incesto) ed anche di nostra madre, ma io, a differenza di loro, avevo veramente veduto nude sia mia madre che mia sorella. Le avevo seguite una volta, di nascosto, e le avevo viste entrare tutt’e due in bagno. Avevano lasciato la porta socchiuse ed Adv io, in modo veramente sfrontato e, a differenza dei miei fratelli, senza alcuna vergogna o rispetto di sorta, di soppiatto avevo origliato dalla fessura, anzi l’avevo aperta un poco, poi ancora un po’, per vedere meglio. Ed eccole là le zoccole, tutte e due nude, una di fianco all’altra, con seni, capezzoli, ventre e figa nuda, con tanto di peli e di boschetto. Non potei fare a meno di farmi una sega e di sborrare mentre le osservavo. Troppa grazia S. Antonio! Era bello passare in rassegna, confrontare i loro corpi nudi, quasi uguali, leggermente più scuro quello di mia madre, più bianco e morbido quello di mia sorella. Le loro fiche erano ugualmente pelose, solo che quella di mia madre, la quale aveva senz’altro i capelli biondi ossigenati (anche se cercava di non farcelo capire), era di color castano chiaro, quella di mia sorella invece era quasi nera, così scura che mi eccitò come non mi ero mai eccitato in vita mia, di un’eccitazione torbida, perversa, incontenibile. Quando vidi, tra i peli del loro basso ventre, proprio in mezzo alle cosce leggermente aperte, il taglio delle grandi labbra, allora mi ritrovai talmente infoiato che mi feci all’istante una seconda sega, sborrai nuovamente, in modo super abbondante, urtai leggermente anche la porta e per un attimo temetti che mi scoprissero, ma le due donne erano impegnate, a quanto pare, in tutt’altre faccende e non fecero molto caso allo scossone: pensarono, probabilmente, che fosse stato il gatto, o una folata di vento. Non so perché le nostre due consanguinee di sesso femminile erano entrate assieme in bagno, né cosa intendessero fare, entrambe così nude, come mamma e nonna le avevano fatte. Ad un certo punto vidi mia madre chinarsi in avanti e, con i lineamenti contratti, alterati, mettere il naso tra i peli, baciare la fica di mia sorella, poi lambirla con la lingua, mentre questa allargava le gambe per rendere più agevole l’intrusione e il massaggio, e nello stesso tempo si lamentava, chiedeva a mia madre cosa l’era preso e la pregava di smettere. Ma mia madre non smise, anzi, la prese per le natiche e la accarezzò nel taglio del culetto. Adelaide (questo era il nome di mia sorella) lanciò un urlo acutissimo, poi un lamento roco, strozzato. Trovò ugualmente la forza di reagire e si divincolò dalla stretta possessiva della mamma. “Non voglio più saperne di queste cose” urlò alla mia genitrice, “è una cosa vergognosa, so che hai la menopausa, ma sfogati con qualcun altro, con Marco magari, che sta sempre a spiarci, e poi è nel bel mezzo del risveglio ormonale”. “Magari!” pensai io. Intanto mia sorella aveva passato le dita tra i peli scuri e folti che aveva alla inforcatura, mentre con l’altra mano si strizzava i capezzoli. Forse si era eccitata anche lei. Forse, senza neppure accorgersene, stava cercando il clitoride, per masturbarsi. Mia madre le disse qualcosa e dopo un po’ fu Adelaide stessa a chinarsi sulla barba più chiara della mamma a cercarle il “grilletto”, ad afferrarle le chiappe un po’ flaccide e più scure, ad aprire le stesse e...a mostrarne l’intimità che c’era nel mezzo. La riga che divideva le natiche nude di mia madre era chiara e nel centro fece bella mostra di sé, in un’areola pelosa e un po’ più pigmentata, il buchino grinzoso dell’ano, piuttosto sporgente. Più sotto mi appariva, da dietro, la fica, molle, slabbrata, sicuramente molto dilatabile (c’ero passato io, con i miei quattro chili abbondanti). Incredibile... stavo osservando il fondo schiena di mia madre. Era il primo sfintere femminile che mi capitava di osservare, e guarda caso era quello della donna che mia aveva partorito e che più amavo, anche in modo profano, assieme a mia sorella, eccitato all’inverosimile proprio per esserne figlio e per avere profanato con lo sguardo la sua più segreta e vergognosa intimità, e, cosa non secondaria, mia madre era ancora una donna ben fatta e piacente. A questo punto non resistetti più (del resto mia sorella stessa aveva dimostrato di essere in qualche modo al corrente del fatto che le spiavo di soppiatto, e magari aveva goduto per questo), spinsi la porta ed infoiato entrai come una furia nel bagno, brandendo il mio cazzo svettante che si era trasformato in una mazza da base-ball di quasi mezzo metro di lunghezza e dal diametro che faceva paura. Mia madre si fece paonazza, ebbe una specie di mancamento e fuggì come una furia dannata, urtandomi e imboccando a zig-zag la tromba delle scale.
    Mia sorella, ora, era completamente nuda vicino a me. La desideravo, la volevo fottere, da tanto tempo aspettavo quel momento. Sentivo che stabilire un piano di confidenza con lei, d’intimità, e poi amarla carnalmente era senz’altro meglio che possedere la mia fidanzatina (sebbene più bella e più avvenente). L’amore, gli accoppiamenti con lei, che consideravo una seconda madre, apparivano come qualcosa di diverso, di completo, erano più morbosi, perversi, pervertiti ed estremamente appaganti, goduriosi e pieni di trasgressione. Ci accoppiammo una sola volta io e mia sorella, in quell’occasione, poi molte altre volte, ma la vorrei ancora. Le misi una mano fra le cosce, poi la spinsi con le spalle verso la parete, le sollevai le gambe e le portai intorno alla mia vita. Lei tentava di unire i suoi piedi dietro il mio fondoschiena, mentre io la sorreggevo per le natiche. Si sa che quando si fa la cavallina, anche alla rovescia, le natiche s’aprono e s’apre pure il pertugio che sta in mezzo. Io le spalancai e approfittai per infilare la punta del dito nel suo buchino segreto. Adelaide gemette. La guardai diritta negli occhi: aveva il viso stravolto e arrossato e gli occhi torbidi, sfuggenti di una femmina che ha voglia. Il mio membro entrò tutto nella sua carne bagnata e lubrificata, come la punta di un coltello che s’immerge in un rotolo di burro. La penetrai lentamente all’inizio, poi la sbattei sempre più violentemente, mentre lei si eccitava spremendomi i coglioni. Ad un certo punto rallentai il ritmo, quasi mi fermai, allora fu lei a muoversi contro di me, in modo sempre più frenetico, ringhiando e rantolando. A quel punto la schiacciai contro il muro e le diedi le ultime stoccate.
    Ripenso ancora a quel momento, poco prima che lei godesse, quasi impazzita nel sentire il mio mezzo metro di cazzo che le squarciava il ventre, che la invadeva senza pudore, e lei si lasciava invadere, esplorare senza ritegno. Quando ero, anzi eravamo all’apice dell’atto, io che ora la prendevo da dietro e le infilavo la fregna fino all’ingresso dell’utero, oltre il suo ingresso, dentro la sua matrice, fino alla sua estremità, nelle tube, nelle ovaie, dilatandole l’utero stesso, le sue pareti, lei, in un momento di lucidità, mi disse ansimante: “Marco, non possiamo fare questo, non dovevamo, sono quasi tua madre; queste cose devi farle con la tua fidanzata, ed è sconcio anche con lei, figuriamoci con me, Marco! Che cosa mostruosa stiamo facendo, io mi vergogno, mi devo vergognare, cosa direbbe la gente se lo sapesse, sorella e fratello che s’accoppiano, e in quale modo...”. “E non è una cosa eccitante?” Replicai io, che volevo continuare l’accoppiamento, il quale già mi dava i primi messaggi d’intenso piacere fisico, oltre a quelli psicologici e cerebrali (dati dal fatto che stavo godendo nella figa di mia sorella maggiore e che di lì a poco glielo avrei messo anche nel culo). “Ti preoccupi della vergogna che proverai davanti alla gente o alla vergogna che dovresti provare dentro di te accorgendoti di essere una troia, che si fa montare dal fratello, e non per soldi, ma solo per godere?!”. “Mi vergogno di me stessa, siamo dei mostri, degli irresponsabili...”. E mentre diceva questo mosse in modo frenetico il bacino, strinse lo sfintere, emise un urlo di piacere, un gemito, uno strillo simile a un barrito, ruotando contemporaneamente il bacino. Vidi le sue pupille dilatarsi e sentii il suo sfintere contrarsi in uno spasimo inequivocabile, eloquente. Estrassi improvvisamente il mio fallo dalla sua calda e accogliente vagina, lo sfilai per tutta la lunghezza, provocando un curioso rumore, come di risucchio. “Noooo” urlò lei. “Non mi puoi scaricare così, non puoi smettere di chiavarmi ad un passo dell’orgasmo...ti prego, continua, non mi puoi lasciare in questo modo, a languire, anelando il godimento supremo, sfondami di nuovo con la tua verga, rimettimela nel ventre, nelle budella, fammelo salire fino al cuore, al cervello, fammelo uscire dalla bocca, ma continua a penetrarmi, ad esplorarmi utero e figa, continua a sfregare il tuo fallo nella mia carne segreta, portami all’orgasmo, ho già iniziato a godere!” Introdussi di nuovo il fallo nel suo taglio slabbrato, spremendole, titillandole il clitoride, menandoglielo come fosse un abbozzo di pene (qual’era in effetti, ormai gonfio e svettante). Stava godendo in modo fantasmagorico, sconcio e ignominioso. “Cosa mi daresti, Adelaide, per portare a compimento l’atto, per non interrompere l’orgasmo che tanto sogni e aneli con una brama quasi delirante?”. “Sto godendo in modo tale, come una cagna forse, in maniera così inimmaginabile, superna, superlativa, che... grazie fratellino mio, darei qualsiasi cosa per giungervi, per non interrompere questo piacere supremo, mi degraderei nel modo più indecente, farei qualsiasi cosa, forse ruberei, ti darei tutto quello che ho, diverrei per sempre la tua schiava, mi macchierei di qualsiasi infamia, mi prostituirei, mi lascerei pisciare sulla faccia e nelle budella, e altro ancora, ma ti prego non interrompere il piacere che mi sta portando all’orgasmo più goduto della mia vita, ti prego fai godere la tua sorella maggiore. Non ho mai provato una felicità più grande”. Le feci capire che non avrei interrotto l’atto, ma in cambio le feci promettere che da quel momento sarebbe sempre stata a mia completa disposizione. Mentre portavo al settimo cielo mia sorella, mi accorsi che mia madre origliava dietro l’uscio, ci spiava. Il desiderio era stato più forte della vergogna, del suo pudore, e un po’ della sua dignità (la passione della menopausa è un buco nero nel cervello). Dietro mio invito ci spostammo, mia sorella ed io, verso la porta, pur rimanendo attaccati. Lei rideva e gemeva, alternativamente. Arrivati all’uscio, lo aprimmo di scatto e rivedemmo nostra madre seminuda. Dopo aver accontentato mia sorella zitella, che crollò dopo l’ultimo, risolutivo sussulto, dopo uno spasimo atroce e felino, che per qualche secondo aveva imprigionato il mio fallo nella morsa d’acciaio del suo sesso, feci a mamma lo stesso che avevo fatto ad Adelaide: la penetrai, eccitatissimo, con la variante che mentre la scopavo mia sorella strizzò a lungo i capezzoli a lei e a me infilò un dito tra le chiappe. Glielo misi fra i seni e nella bocca, infine la sodomizzai. Sì, avevo i testicoli in subbuglio e quando una donna ti si mostra piuttosto disponibile, foss’anche tua madre, è difficile resistere alla doppia tentazione di trombare e trasgredire (adesso, a distanza di tempo, mi vergogno). Però, devo ammettere che è fantastico avere due donne a disposizione e poter paragonare il loro calore, la loro morbidezza, la loro passione, l’accessibilità e le contrazioni dei loro orifizi, il loro modo di venire, di gemere, di godere. Arrivai all’orgasmo per la prima volta e versai la mia sborra nel ventre della prima, venni per la seconda volta, in modo convulso, violento, e inondai di sperma le budella della seconda. Andammo avanti così, presi da una strana e irresponsabile frenesia, per ore, finché, sfiniti, non ci accolse la sera. Alla fine le salutai e me ne andai a trovare la mia fidanzata. Dopo non molto venivo anche nell’utero di lei.
    “Stasera scopiamo ancora?” chiesi a mia sorella quando la rincontrai nel corridoio, il giorno seguente. “No, è una cosa di cui mi vergogno, abbiamo avuto un momento di debolezza, è vero, ma dobbiamo vincere la nostra eccitazione, siamo fratello e sorella, è una passione proibita, devo difendere la mia dignità; siamo essere umani, non siamo bestie, non dobbiamo perseverare nell’incesto”. “Mi hai fatto una promessa” le ricordai. “Pensa cosa diranno gli altri tuoi fratelli quando sapranno quello che stavi facendo con la mamma in bagno. Vi voglio fottere entrambe, passare da un buco all’altro, direttamente, entrare ed uscire dai quattro buchi che avete solitamente sotto la gonna e dai due più sensuali ed esteticamente più pregevoli, ma all’occasione altrettanto osceni, che mostrate a tutti in modo provocatorio e senza vergogna alcuna, senza contare i buchi delle orecchie, le narici, il solco fra le natiche, fra i seni, le ascelle ed altro ancora”. “Marco, ti prego, non mi rovinare, farò tutto quello che vuoi”. “No sorella mia, devi essere completamente sincera, tu non mi accontenti per paura della vergogna e del disonore, del resto ti sei già più volte disonorata; tu desideri in modo ardente e irresistibile il mio cazzo, lo vuoi sentire ancora nelle tue budella, nel tuo utero, nella tua bocca; anche le donne desiderano godere, apertamente o di nascosto, ed ora tu lo desideri più di ogni altra”. Ripresi fra le mani il mio randello e glielo misi sotto il naso. Al contatto del suo respiro, della sua pelle calda e della sua nudità, questo crebbe velocemente ed Adelaide non poté non osservarlo con malcelata concupiscenza e golosità. “Va bene” sussurrò lei, “mi farò fottere un’altra volta, ti permetterò ancora di abusare del mio corpo”. Intanto, involontariamente, sfregò una coscia contro l’altra, trattenendosi a stento di portarsi una mano fra le gambe, si spremette i capezzoli, spinse indietro la testa, di scatto, contrasse i muscoli del ventre, e sicuramente anche quello ad anello degli sfinteri anteriori e posteriori. “No! ” insistetti. “Non devi far finta di concederti solo per accontentare me, lo so che non è vero, e lo sai benissimo anche tu, smettiamola con questa pantomima, devi ammettere che hai una voglia fottuta di farti sbattere ancora da me, di sentire il mio missile sfondare il tuo ventre, di sentire la tua bava, il tuo brodo colare in modo incontrollato, ammetti che non vedi l’ora di godere ancora come prima, o come non hai mai goduto”. Adelaide avvampò. “Sì” disse. “Sìììì” ammise, arrossendo e reclinando il capo. “Devi dirmelo guardandomi negli occhi!”. Lei mi fissò. Aveva lo sguardo torbido e pieno di desiderio, il viso in fiamme, stravolto. Lo disse: “Voglio essere ancora posseduta, con tutta la mia anima e il mio corpo, mettendo da parte ogni falso pudore, voglio essere di nuovo fottuta, montata, sottomessa da te, anche se hai solo tredici anni ed io quasi quaranta, ma lo voglio, voglio ancora godere come una vera troia, sì perché tua sorella maggiore è un troia ed elemosina ancora il tuo bastone di carne, per esserne trafitta senza alcuna delicatezza e pietà!”. Disse tutto questo con una specie di rabbia, la voce isterica e gli occhi dilatati, il volto livido, contratto. Poi i suoi occhi si addolcirono ed il suo tono di voce si fece più dolce e sensuale. Quasi sussurrò: “Sì Marco, voglio ancora fare l’amore con te, come una femmina che si concede al suo amato compagno, come una sorella maggiore che, chissà perché, ha scelto di far l’amore con il fratello più piccolo, ma pieno di ardore, e forse proprio per questo, voglio far l’amore con te perché ti voglio bene e voglio, desidero, che tu, con il tuo dardo possente ed infuocato, entri senza bussare nel mio corpo, e lo trapassi, con amore, ma senza riguardi, voglio che mi esplori oscenamente nella figa e nel buchetto del culo, voglio sentire la tua sborra colare sul mio seno e dalla mia vagina, giù per le cosce aperte, la voglio bere, voglio essere la tua schiava”.
    Feci l’amore con entrambe, a giorni alterni, per molto tempo ancora; era bello avere a disposizione due fiche, anche se si trattava di un amore incestuoso (semmai ciò lo rendeva più perverso ed eccitante), poter paragonare il diametro dei loro orifizi, il loro modo di venire, di godere, toccata e fuga nell’una, finale maestoso nell’altra, la forza dello “stringi” convulso del loro sfintere che, in mia sorella, nel momento della voluttà, si allargava non poco e subito dopo si stringeva, all’istante, con forza tremenda, come risucchiato dalla libidine che la giovane donna aveva riscoperto facendosi fare dal fratello minore. Io, tredicenne, ne ero stato il maestro, avevo iniziato ai piaceri dell’amore mia sorella trentottenne. In quanto a mia madre, mi vergognavo un po’, e più mi vergognavo e più mi eccitavo; il rapporto con lei era talmente torbido e consapevolmente peccaminoso che ancora adesso sborro, solo al pensiero, immaginando d’essere di nuovo tra le sue labbra calde, le labbra di una vulva amata e familiare di donna matura. Madre e amante, o solo un corpo attempato (relativamente) da possedere. A volte invitavo anche la mia fidanzata, dal cespuglio biondo-cenere; allora era una cosa in famiglia, un’ammucchiata strepitosa. Dopo qualche tempo (due anni, forse, o poco più), mia madre morì ed ebbi il corpo di Adelaide tutto per me. Ultimamente, avevo ripreso ad invitare la mia fidanzata (che più che fidanzata era divenuta concubina). Ci sollazzavamo quasi tutti i giorni; io passavo da un corpo all’altro, da una gnocca all’altra, dal buco del culo dell’attempata e soggiogata sorella allo sfintere anale più stretto e profondo di Marisa (era questo il suo nome), circondato da ignobili peli, poi lo facemmo a giorni alterni, per risparmiarci. Fu comunque un periodo bellissimo, che ricordo ancora con grande nostalgia, un momento della mia vita che mi rese felice. Escogitavamo, ogni volta, nuovi giochi e nuove sconcezze per rendere sempre più eccitanti e intriganti i nostri rapporti. Una volta mi legarono un elastico alla base del pene, poi, a turno, mi fecero un solenne pompino. Venni una, due, tre volte, ma non uscì una goccia di sperma dal mio glande, perché l’elastico, chiudendo il condotto, lo tratteneva. Mi sentivo scoppiare. Alla quarta fantastica masturbazione, mi tolsero velocemente l’elastico. Ma la sborra non mi uscì subito (con mio grande piacere), poi a poco a poco, come un distillato o l’essenza di un liquido super-concentrato, prese ad uscirne sempre più velocemente. Fu un orgasmo incredibile, fantasmagorico, convulso, che recuperava e riassumeva in sé i tre orgasmi mancati; fu un’esplosione, un susseguirsi di fuochi d’artificio, di fiotti potenti e incontenibili, che mi dettero, soprattutto all’inizio, quando il liquido della mia venuta prese a salire per la strada finalmente liberata e i testicoli pulsavano d’uno spasimo d’indescrivibile voluttà, un godimento estremo, impagabile, mai provato e apparentemente interminabile. In quel momento amai veramente le due “ragazze”, e mentre venivo le guardavo profondamente negli occhi.
    Fu certamente una parentesi assai debilitante, perché finivo quasi sempre spompato (nella bocca di Adelaide o nell’utero di Marisa), ma fu stupendo ugualmente, finché la favola bella, in cui la verità superò, forse, la fantasia, durò. E, credetemi, benché non sia facile crederlo, durò pure per molto, molto, moltissimo tempo ancora. -
     
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  2. Luigino1
     
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    Ho letto le tue vicissitudini, poi ho visto queste tre bambine , indovina cosa mi sono fatto

    Edited by <geniv> - 31/8/2014, 23:34
     
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  3. caligola2
     
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    un bel racconto di incesto
     
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2 replies since 22/3/2010, 17:41   20999 views
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