La prima e unica volta con mamma

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    Ho una buona immaginazione nel masturbarmi al punto che non uso mai per più di due o tre volte la stessa fantasia erotica. C’è però il ricordo del fatto che mi ha portato al primo orgasmo, che ha il potere di scatenare la mia sessualità. Sono passati degli anni, quasi cinque ed ancora adesso, a volte, rievoco quell’episodio per aumentare l’intensità del piacere. Spero solo che le mie o i miei partner non ne vengano mai a conoscenza.
    Il tardo pomeriggio del 30 giugno del 2004, mamma guidava tranquilla la ipsilon lungo la discesa tortuosa che conduceva al paese, dove avevamo la consueta casa che ogni anno affittavamo per tutta la stagione estiva. Marta, mia sorella, sedeva accanto a lei, felice perché la sera stessa avrebbe cominciato a lavorare nello stesso pub che frequentava da quando aveva sedici anni. Io Angelina, la piccola di casa, di anni ne avevo 13, e stavo scomodamente seduta dietro nell’esiguo spazio lasciatomi dai borsoni, fantasticando addirittura sul tono di voce che avrei usato, quando le amichette più piccole m’avrebbero voluto coinvolgere nei loro giochi infantili. «Scusatemi ma non posso, mi sono venute le mie cose». La frase ad effetto che avevo sempre sentito pronunciare da mia sorella.
    Era stata lei che quando le facevo domande al riguardo mi aveva detto: «Sono cose da grandi, però quando vedrai che da dove fai la pipì, ti esce un po’ di sangue, non dovrai spaventarti, verrai da me e ti spiegherò». Avevo controllato speranzosa ed in continuazione le mutandine e poi, sorpresissima, una mattina, nel rifare il mio letto, avevo visto la macchia rosso chiaro, la medaglia avuta in premio per essere finalmente diventata donna.
    Marta non era in casa, però c’era mamma, che alla notizia mi aveva preso in braccio e ridendo mi aveva detto: «Sei diventata donna, però hai ancora tutte queste ossicine che pungono». Non aveva torto, sono una longilinea inappetente, sottopeso. Poi mi aveva spiegato come fare per tamponare l’emorragia ed il mio orgoglio nel sistemarmi l’assorbente era esploso a dismisura.
    Avevo quasi 13 anni e la parola “mestruazioni” era l’unica cosa, concernente il sesso della quale ero a conoscenza. Fino a quel momento la micetta mi era servita esclusivamente per fare pipì; avevamo cambiato paese di residenza quando avevo finito le elementari, le amiche con le quali ero cresciuta non c’erano più e con quelle nuove non avevo ancora preso confidenza.
    Mamma va in spiaggia dalle otto di mattina alle dieci, poi spesa, lavori di casa, pranzo e siesta, Marta è tutta presa dal suo nuovo lavoro ed io, che sono una brava studentina, non avendo l’assillo di dover ripassare sono libera di fare Adv ciò che voglio.
    Vado in spiaggia che sono le due del pomeriggio, Luca, mio coetaneo e compagno di scuola, è nipote dei contadini che hanno casa e terreni sopra l’abitazione che loro stessi ci affittano; sta parlando con aria da saputo agli altri tre amici della nostra combriccola. come m’avvicino smette il conciliabolo, allora chiedo incuriosita qual’era l’argomento in discussione; i tre cincischiano e Luca che deve farsi vedere intraprendente, dice: «Parlavamo di sesso, di un filmato porno che abbiamo visto ieri in casa mia». Non posso neppure dire che per me quell’argomento è algebra, perché per me risolvere equazioni è un giochino da bambini dell’asilo. Luca vede il mio sguardo interrogativo, si alza, mi prende il polso, sotto lo sguardo ammirato dei suoi scudieri e mi conduce nella casa dei suoi nonni. Cava da un nascondiglio, che per scovarlo ci vorrebbe la mappa, una video cassetta, la mette nel registratore e per Angelina si spalancano le porte del sesso.
    Io che ho solo visto pistolini di bimbetti vedo proboscidi umane impressionanti per lunghezza e spessore, entrare in quella parte del corpo femminile che credevo fosse una semplice fessura da dove esce la pipì e quando si diventa signorine, il mestruo.
    Un’unica donna, che è impegnata con due uomini che le fanno di tutto e di più, ogni tanto si strofina con le dita, la parte superiore della sua miciona ed è quella la sequenza d’immagini che più m’impressiona.
    Finisce fra gemiti ed espressioni che non so decifrare, i maschi schizzano latte condensato sul viso e sui seni della donna che mentre viene insozzata continua con il movimento frenetico delle sue stesse dita sul sesso.
    Luca, che malgrado se la tiri, spesso durante la proiezione ridacchiava imbarazzato al pari mio, si fa intraprendente e mi dice:«Devo sfogarmi pure io, dunque per tutto il giorno mi fanno male le palle». Frase astrusa, però nel dirlo si abbassa i “bermuda” e vedo un cosò dritto e incappucciato, lontano parente di quelli che abbiamo appena finito di guardare e con movimenti lenti comincia a tirarsi la pelle fino in fondo scoprendo una ciliegia rossa, per poi risalire e ripetere quel movimento a ripetizione, su, giù, giù e su e così via in continuazione.
    «Angelina fammi vedere la fica, non c’è niente di male, lo fanno tutti». Essendo nipote di contadini è giusto che usi termini da ortolano, però il fico femmina non ho mai saputo che ci sia, lui s’accorge che lo guardo senza aver capito allora mi dice perentoriamente di spostare di lato lo slip del costume, ma di far presto perché sta per venire. Non ci faccio caso è il somaro della classe e con i tempi dei verbi non ci acchiappa proprio, però obbedisco e mentre continua il movimento il suo viso assume un’espressione strana e dalla ciliegina zampillano gocce che non hanno la densità del latte condensato ma assomigliano di più all’orzata diluita con acqua.
    Usciamo, la mia mente confusa va sempre al movimento che la donna del filmato si faceva con le dita sulla fica, ora so che si chiama così, ed all’espressione di soddisfazione che aveva dipinta sul volto.
    «Io faccio un salto a casa». Dico a Luca e lui mi risponde: «Se volevi ti facevo godere io». Immagino a cosa si riferisce però non gli rispondo.
    In casa il caldo è asfissiante ed io lo soffro da matti, quindi entro in camera da mamma, che sta riposando, l’unica con il refrigeratore. Vado a sedermi sulla poltrona di vimini col cuscino di tela, mi stravacco con le gambe allargate ognuna appoggiata ai braccioli, faccio mente locale e m’infilo la mano dentro lo slip e quasi ancor prima di toccarmi, solo al pensiero di ciò che sto per fare, una sensazione fino ad allora sconosciuta mi da un brivido.
    L’indice ed il medio uniti, mentre con gli occhi della mente rivedo le scene del film, cominciano a strusciare sul bottoncino duro e sporgente che incontrano, già dal primo tocco comprendo che ho scoperto un punto magico dal quale scaturiranno altre magie. Avverto che avrò una meravigliosa rivelazione, soffro il caldo ma il calore che s’irradia dal sesso e m’avvolge non è sofferenza, è piacere, una cosa fino allora sconosciuta che m’avvolge, m’impregna la mente che diventa tutt’una con le dita ed il bottoncino. Mi tolgo lo slip e ricomincio, dal sesso mi esce del liquido vischioso che mi bagna le dita e cola incanalandosi lungo il solco fra le natiche; il godimento aumenta a dismisura temo che arriverà a un punto di non ritorno, ho quasi paura e mi esce dalla gola un gemito, mamma apre un attimo gli occhi, oddio, cosa succede, però non posso smettere, è troppo bello e continuo, lei li richiude.
    Rimango stranita e ansante e m’accorgo che una macchia umida e appiccicaticcia s’è formata sul cuscino, proprio sotto il mio sesso. E ora che faccio? Devo portarlo in lavatrice, m’inventerò la scusa che l’ho bagnato mentre bevevo un succo di pompelmo, intanto che mi godevo il fresco del refrigeratore. Sono girata di schiena quando avverto la presenza di mamma, mi appoggia le mani sulle spalle, mi volto, è nuda, siamo alte uguali, mi prende il viso fra le mani, mi guarda rassicurante negli occhi e mi sussurra: «È la prima volta che lo fai»? Le faccio cenno di si, mi bacia la fronte e mi dice:«Lo faccio anch’io sai, specialmente qui d’estate, quando non c’è papà». Allora rivedo le scene del filmato e capisco cosa succede fra adulti.
    «Ti è piaciuto»? Insiste ed io: «Non credevo potesse esistere una cosa tanto meravigliosa». Mi bacia sulle labbra e mi conduce sul letto.
    Siamo allungate di fianco, senza sapere il perché mi tolgo il reggiseno del costume, le mie tettine, sbocciate da poco non sono un granché, hanno però le aureole rossee, lisce da tanto la pelle è tesa, le sue hanno il colore del caffellatte ed il capezzolo sporgente lungo quasi come il filtro d’una sigaretta. Un desiderio ancestrale di succhiarglieli m’assale, lei mi legge nel pensiero e mi sussurra: «Fallo stellina». Adesso li ho in bocca e li suggo piano, prima l’uno poi l’altro, mamma geme, poi mi fa mettere al suo fianco con le ginocchia di lato: «Fallo da così». Mi dice.
    Se li preme l’uno contro l’altro di modo che io possa passare da un capezzolo all’altro e succhiarli tutte due assieme, di colpo libera una mano e sento le sue dita che mi scivolano fra le natiche per portarsi infine sul punto cruciale ed inaspettatamente mi dice:«Si chiama clitoride, è una concentrazione di terminali nervosi, il punto più sensibile dell’organo genitale femminile». Poi comincia ad accarezzarmelo con movimenti lenti ma ordinati ed io sento che sta per rinnovarsi il miracolo.
    «Fammelo anche tu gioia.» E senza sapere il perché, seguendo l’istinto anziché accarezzargliela con le dita, ci vado con la bocca intanto che contemporaneamente le scavalco il viso con la mia gamba e appoggio la mia di fica sulla sua di bocca, poi mi concentro per fare a lei quello che sta facendo a me.
     
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