Il Ragazzo di Mia Sorella

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  1. LastOfTheWilds
     
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    La mia esperienza al campeggio non è iniziata in maniera idilliaca: turni snervanti, orde di turisti (per lo più tedeschi) assetati e affamati che ordinavano in un italiano e/o inglese improbabile, colleghi isterici e salti mortali per una sigaretta sul retro. Insomma, un inferno. Solo dopo cena, quando il pub/discoteca del campeggio apriva i battenti, gran parte delle orde di turisti toglieva il disturbo, chi per andare a dormire dopo ua grigliata, chi per dislocarsi in discoteca. E l'atmosfera si faceva più rilassata, anche al punto di annoiarmi, a volte. Il rumore delle onde che si infrangevano sul molo antistante il bar e, più in là, il canto delle cicale e il rumore dei palmizi e degli eucalipti mossi dal vento, cominciavano a diventare un appuntamento notturno per me imperdibile, accompagnato da una sigaretta e una bella birra.

    Ma passiamo al misfatto. Una mattina di fine agosto mia sorella mi chiama dandomi una notizia lì per lì terribile: dopo aver rinunciato a un weekend a Capoverde, sarebbe venuta per 5 giorni nel villaggio dove lavoravo in compagnia del suo ragazzo, di cui era incinta di 3 mesi. La mia risposta fu abbastanza laconica, considerati i rapporti non troppo buoni che mi legano a mia sorella e il periodo di fuoco che stavo passando lì al villaggio. In ogni caso dopo una settimana me li ritrovo al villaggio con 2 bei zainoni. “Ma che bene che stai col grembiulino” disse mia sorella la prima sera che ci vedemmo, dopo un'estenuante sabato di lavoro “dovresti metterla anche a casa così entri meglio nel ruolo”. I suoi commenti Adv erano sempre sarcastici e fuori luogo ma considerate le circostanze risi a denti stretti e lasciai passare. A contrapporsi alla sua spigolosità era il mio futuro cognato che, con un sorriso irresistibile, cercava di controbattere alle continue punzecchiate di mia sorella, difendendomi.

    I tratti del suo viso sono un po' spigolosi, forse per via della sua mascella un po' quadrata, che gli dà un tocco da marpione pur essendo lui timido, dolce e molto educato. In pratica l'opposto di mia sorella! Per rendervi partecipi della mostruosa libidine che nutrivo nei suoi confronti, ve lo descrivo a larghe linee: 31 anni, occhi castani e folti capelli lisci color castano-scuro a volte legati in un codino, barba leggermente incolta, labbra fini e regolari, alto circa 180cm, fisico asciutto, spalle larghe, non troppo muscoloso. Le cose che mi hanno sempre eccitato di più di lui sono: il filo di peluria che dall'ombelico scende fino all'inguine e i pettorali poco pelosi e ben torniti che mi gustavo volentieri anche quando indossava una semplice t-shirt. E poi ragazzi...come veste lui i jeans e i pantaloni in genere manda in manicomio. Non si vestiva mai in maniera particolarmente elegante o fighetta, essendo un informatico scazzato e dall'abbigliamento che solo un etero può scegliere. Ma i suoi jeans non nascondevano comunque un culo da paura e un pacco da sbranarsi con gli occhi.
    L'inverno precedente, a Courmayer, l'avevo visto in slip e mi sono gustato per una serata intera il suo uccello e le sue palle che premevano sul sottile strato di stoffa mentre rassettava l'equipaggiamento da sci nella camera d'albergo. A giudicare da quelle mie investigazioni, doveva avere un cazzo grossetto e una cappella niente male, e quella considerazione mi ha da quel momento eccitato da morire e ha determinato una serie di sogni erotici da quali mi svegliavo infoiato.

    A parte quei pochi giorni a Courmayer, con lui avevo instaurato un bel rapporto nel corso degli ultimi 3 anni (fondamentalmente da quando mia sorella ha avuto la “briga” di presentarlo alla famiglia). Con lui facevo interminabili partite alla playstation, occasionali partite a calcetto e lunghe chiacchierate davanti alla tele o in macchina mentre andavano alle partite del Torino (Forza Toro!!).


    In assenza di mia sorella si parlava spesso di ragazze, solite cose (che poppe, che culo, che gnocca e via dicendo) e fu in una di quelle occasioni, con tono scherzoso che mi feci coraggio e gli diedi ad intendere la mia attrazione anche per il mio stesso sesso. Non capì fino a che punto avesse capito (e SE avesse capito), ma lui la prese apparentemente bene. Non me ne parlò più e, a quanto pare, non lo fece nemmeno con mia sorella, dato che conoscendola avrebbe tirato fuori l'argomento in occasione di una delle nostre frequenti liti.
    Ma passiamo alla serata clou: dopo 4 giorni dal loro arrivo al campeggio in cui m'ero visto con loro 2 dopo cena e saltuariamente in bar per 2 chiacchiere e una sigaretta veloce, me lo vedo arrivare tutto solo verso le 9 di sera, mentre cominciavo a prendere respiro dal lavoro. Capelli sciolti, t-shirt verde che gli metteva in risalto i pettorali, jeans fermati da una bella cintura in pelle nera e scarpe da ginnastica. Vedendolo avvicinarsi verso il bancone, in cui lavavo gli ultimi bicchieri prima di finire il turno, mi accorsi che aveva un'aria abbastanza cupa.
    “Uno dei nostri soliti scazzi”, sospirò sedendosi su uno sgabello davanti al bancone.

    Dopo un attimo di perplessità e considerata la frequenza delle loro liti, dissi tra l'imbarazzato e il divertito: “Direi che una birra fa al caso tuo”. E lui “Vai di spina, una rossa e niente schiuma”.

    Sapevo come la voleva, e avrei voluto che tacesse perché lo potessi stupire dandogli la birra che voleva, senza che mi dicesse niente.
    “È tornata a Torino questo pomeriggio, mi ha lasciato qui solo come un coglione”, disse.
    “Ma quando???”, domandai esterefatto
    “Questo pomeriggio. Le solite cose... è successo un casotto, non ti voglio rompere i coglioni con ste storie che tanto poi si sistema tutto......spero”. Sorrise.

    Mi raccontò tutto, eccome. Solite discussioni sul bambino in arrivo e sulla casa che avevano in progetto di comprare, che sfociavano in insulti e recriminazioni varie. Fino all'una davanti al bancone, tra una birra e l'altra, poi seduti su un muretto in penombra antistante il bar, davanti al mare e con il sottofondo di una discoteca in lontananza, da cui provenivano inquietanti fasci di luci che si intersecavano in cielo. Ipotizzammo un attacco alieno, già in preda ai fumi dell'alcool. In onore della sua presenza avevo sottratto dalle riserve del bar una bottiglia di vodka, che mandavamo giù a turni. Ero con LUI, ubriaco, da soli a parlare di cazzate. Lui era tutto per me, anche se per poche ore, dato che l'indomani sarebbe partito. Mentre parlava davo occhiate fugaci al suo pacco, di cui cercavo vogliosamente di individuare le fattezze sotto i jeans e ricordando il rigonfiamento sotto gli slip di quella gita in montagna. Non riuscivo a trattenere l'entusiasmo, ero in piena erezione.
    “Vado a pisciare”, esclamò interrompendomi e barcollò verso il molo dell'ex marina, a qualche metro da noi. Era completamente ubriaco. Quale migliore occasione per rifarmi gli occhi – pensai incoraggiato dal tasso etilico – e lo seguii dicendo con tono indifferente “Idem”.

    Mentre ci dirigevamo verso la spiaggia continuai a parlare dell'argomento in cui m'aveva interrotto in maniera indifferente e continuai a farlo anche mentre sbirciavo le sue mani che si sbottonavano la patta. Il cuore mi batteva a mille, stavo per vedere il cazzone per cui spasimavo da 3 anni e di cui avevo TANTO sognato. Era abbastanza buio, ma la luce del lampione antistante il molo mi permise di vedere tutto in maniera abbastanza nitida, nonostante l'offuscamento causato dalla vodka. Tirò fuori il cazzo, se lo scappellò un poco con le dita rivelando una cappella di dimensioni ragguardevoli (sebbene nei miei sogni fosse più grossa) e, reggendosi alla mia spalla, cominciò a pisciare dal molo sul mare nero cobalto. Io feci per tirarlo fuori ma era troppo duro. Mi bloccai continuando a guardare il suo pisello e persi il discorso di quello che stavo dicendo. Lui si girò verso di me ridacchiando “La smetti di fissarmi il cazzo?? Ricchione.”. Mi diede una lieve pacca sulla spalla e barcollò verso dove avevamo lasciato la bottiglia di vodka, più al buio. Diede un altro bel sorso dopo essersi seduto a gambe larghe sul muretto.

    Tornai da lui dopo avere pisciato (a fatica!), ero abbastanza imbarazzato e cercai di deviare il discorso sul nostro argomento preferito: le moto. Lui mi interruppe per l'ennesima volta e con un sorrisino sarcastico e gli occhi lievemente socchiusi chiese: “Quanti ne hai ciucciati fino ad ora?”, e diede un altro sorso. Io, spaesato, risposi la verità “Succhiato mai, ma me l'hanno succhiato a me, 3 volt...”. “E l'hai mai preso in culo?”, chiese prima ancora che finissi di rispondere. “No, mai.”, risposi. Era ancora la verità. Con altri ragazzi avevo avuto solo rapporti fugaci e senza alcun trasporto, un po' per paura, un po' perché mai ero stato con persone da cui ero particolarmente attratto. “Naa, non ci credo” disse con un sorrisino complice, che mi eccitava da impazzire. Si voltò verso il mare e si accese una sigaretta.

    Seguirono alcuni momenti di silenzio. Giocai il tutto per tutto e, dopo un bel sospiro, pronunciai delle parole che MAI avrei creduto di dire a lui, sforzandomi di avere un atteggiamento divertito e quasi indifferente: “Dai tiralo fuori e ti dico cosa si prova a succhiarlo per la prima volta”. Fece un'espressione per niente sorpresa, si girò nuovamente verso il mare, sorridendo, e disse a voce alta “Cazzo, sei proprio un gay”. Dopo un attimo di silenzio, diede un'ultima profonda boccata alla sigaretta, la spense sulla sabbia con il piede, si alzò e si diresse verso di me, con il solito sorrisino beffardo stampato in faccia. Io feci quasi un sobbalzo. Mi prese la mano, gelida, e me la poggio sul suo pacco. Non ci credevo, mi tremavano le gambe e se non fosse stato per il mio enorme desiderio sarei scappato via, di corsa, senza voltarmi.

    Mi guardava fisso negli occhi, mentre gli massaggiavo il pacco guidato dalla sua mano. Il suo cazzo era già un po' duro quando cominciai e in pochi secondi era di marmo. Si voltò per accertarsi che non ci fosse gente nei paraggi, mentre io fremevo strusciando le mie dita attorno alla sua cappella gonfia che pulsava dentro i jeans, avevo l'adrenalina a mille. Lui continuava a sospirare con la sua mano calda sopra la mia. Poi mi disse a bassa voce, con l'alito che puzzava di vodka “Lo sai che tua sorella non me lo succhia, no? Le fa schifo succhiare il cazzo.”. Capii con estremo piacere cosa voleva. Feci cenno di no con la testa e continuai a massaggiare il suo cazzone rovente sotto i jeans. Con la mano cercai di aprire un bottone della patta, che stava ormai per esplodere.
    Si girò nuovamente e mi fece cenno con la testa di spostarci verso il muro di una casetta a una decina di metri di distanza, forse l'ex capitenira della marina, al riparo da eventuali sguardi indiscreti.

    Appoggiò la schiena al muro e fece per spingere la mia testa verso la sua vita. Ma io opposi resistenza e vogli togliermi uno sfizio prima di assaggiare il suo uccellone. Volevo baciare le labbra che per anni avevo sognato. Capì subito la mia intenzione, mi prese per la nuca e mi infilò la lingua in bocca. Sentii i peli della sua barba incolta di 2 giorni sulle mie guance, sul mento. Le sue labbra erano un po' screpolate, la sua lingua ruvida e insistente, sapeva di alcol. Sentivo il suo profumo, regalatogli da mia sorella qualche mese prima in occasione del suo onomastico. Un sogno. Preso dalla foga gli morsi un labbro e lui, di risposta, mi infilò la lingua in bocca con maggiore prepotenza. Il ragazzo di mia sorella era infoiato come un toro, avevo la sua lingua in bocca e la mia mano si era già insinuata dentro la sua patta, a contatto con gli slip.
    Il bacio finì con un forte schioppo, mi spinse la testa verso il basso.
    Ero davanti alla sua patta aperta, un mondo mi si stava per aprire. Non volli nemmeno perdere il tempo di abbassargli i pantaloni, infilai la mano e tirai fuori il suo pisellone, ancora con la cintura addosso. Era caldo, grosso, non ancora scappellato e umido sulla punta di un liquido vischioso. Era il primo pompino che stavo per fare. Sentivo l'odore del suo cazzo, un odore acre e incredibilmente virile. Morivo dalla voglia di assaggiare il palo del mio quasi cognato. Lo scappellai e diedi un bacio sulla cappella gonfia, che lasciò sulle mie labbra un sapore salato, acre e vischioso. L'altra mano la spostai pian piano verso sue belle chiappe, nell'insenatura tra le gambe e il culo. Lui impazziva di piacere, il suo sorriso beffardo aveva lasciato spazio a un'espressione quasi estatica, occhi chiusi e e fronte corrucciata, esattamente come lo immaginavo nelle mie fantasie erotiche.

    L'avevo fatto penare abbastanza. Impugnai il cazzone e lo infilai in bocca, avvolgendo la sua cappella umida nella mia lingua e carpendone ogni singolo sapore. Sentii un suo gemito di piacere e un sommesso “sì...cazzo...mm...”. Cominciò ad accompagnare il bacino coi miei movimenti e mise le mani sulla mia testa, assecondando il sù e giù.
    Mentre gli pompavo il cazzone gli infilai la mano nella patta per tastare i suoi coglioni. Erano abbastanza grossi e un poco pelosi, degni del suo cazzo. Chissà se almeni quelli mia sorella li apprezzava!

    Il cazzo era durissimo e fui preso da un'irrefrenabile voglia di sentire la sua sborra in bocca. Cominciai a menarglielo ancora con la sua cappella in bocca, mentre lui mugulava di piacere. Solo dopo qualche istante sentii che stava per schizzare, continuai menarglielo gustando la sua cappella e lui mi trattenne la testa facendomi intendere la sua intenzione: voleva sborrarmi in bocca. Un secondo dopo, preceduto da un suo lungo sospiro liberatorio, arrivò il primo schizzo caldo di sborra. Fece per affondare il suo cazzo in gola mentre altri schizzi si susseguirono e mi riempirono la bocca e la gola del suo sperma. Tirai fuori il cazzo ancora pulsante e assaporai il frutto del suo piacere. Ero in estasi. Riprendo la cappella in bocca per succhiare per l'ultima volta il suo uccello ancora umido, che si ammosciava rapidamente, mentre il mio cazzo premeva ancora sulla patta dei miei jeans.
    Giusto il tempo per riassaggiarlo e poi si riabbottonò.

    Il sorriso tornò a illuminare il suo bel viso: “Ricchione, fatti un sorso di vodka”, disse indicando la bottiglia con un cenno della testa “c'hai un alito del cazzo”.
     
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