Un Treno Speciale

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  1. othersides
     
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    ro seduto sul treno in movimento da ormai un bel po’. Dovevo tornare a casa, dopo una giornata passata a scuola. Fortunatamente non dovevo alzarmi presto per andarci, poche fermate ed ero arrivato. Ero seduto sugli ultimi posti nel treno, ad occhi chiusi. Il treno si fermò alla stazione Iro, e nessuno sembrò voler salire. Al contrario, molti scesero, data la posizione altamente strategica della stazione. Una voce si levava quasi indistinta tra la calca di passeggeri che scendeva: sembrava una ragazza.
    Continuava a protestare: “Per favore, fatemi passare! Vi prego!”
    Il treno si stava per mettere in movimento, quando la ragazza riuscì a salire, un momento prima che le porte si chiudessero.
    Sentivo che la ragazza stava imprecando sommessamente. Faccia nascosta dal cappuccio, aprii leggermente un occhio per esaminare la ragazza. Era carina, con occhi verdi e capelli neri, lunghi fino alle spalle. Il corpo era snello e formoso, e mi ritrovai a pensare: “E’ carina...”
    La ragazza si avvicinò a me, e si schiarì la voce. Aprii tutti e due gli occhi, e mi tolsi il cappuccio dalla testa: “Sì?” chiesi.
    La ragazza indicò il posto vuoto accanto a me, e chiese timidamente se potesse sedersi. Acconsentii.
    Lei mi tese la mano, e si presentò: “Ilya Kurosuchi, piacere di conoscerti”
    Dopo un istante di esitazione, strinsi la mano e mi presentai a mia volta: “Jacob Mikhailovich”
    “Jacob? Bel nome”
    “Grazie”
    Seguì un attimo di silenzio.
    “Uhm... che scuola frequenti?” chiese Ilya
    “Frequento il liceo Hikari” risposi
    “Anche io!” esclamò Ilya, sorpresa. “Sezione?”
    “C”
    “Io F! Ma come abbiamo fatto a non vederci mai?”
    Ilya scoppiò a ridere, e persino a me sfuggì una risatina.
    Sentimmo uno squillo, e Ilya si alzò un attimo. Tirò fuori dalla tasca un cellulare, e rispose: “Pronto? Sì. Sì, sto tornando. Ah, non ci siete? Capito. Bye bye”
    “Genitori?” chiesi
    Lei annuì. “Sì. Stasera sarò sola, sembra. I miei escono a cena”
    D’improvviso uno scossone del treno la fece sbilanciare, e cadde con il (prosperoso) seno sul mio volto.
    Seguì qualche istante di silenzio imbarazzato, poi Ilya si ritrasse.
    “Ma... che cazzo fai?!” chiese, sbigottita.
    Io ero sbalordito. “Ma non ho fatto nulla! Ti sei sbilanciata e mi sei caduta col...”
    Ilya arrossì.
    Mi alzai un attimo. Un altro scossone del treno mi fece precipitare addosso a Ilya, e mi trovai sopra di lei, con le mie mani nelle sue.
    I nostri respiri si fecero affannosi, mentre entrambi cercavano di dire qualcosa.
    Ma ormai non avevamo bisogno di parole. Posai le mie labbra sulle sue, quasi involontariamente. Ilya non tentò nemmeno di resistermi, si abbandonò semplicemente al piacere...
    Ci alzammo, sempre baciandoci, e ci sedemmo ai posti di prima, mentre lei stava tirando giù la cerniera dei pantaloni.
    “Wow!” esclamò “E’ grande!”
    Iniziò a succhiarlo (con una certa bravura...), a fare su e giù con la lingua.
    Dio, mi sembrava di essere in Paradiso! Era così piacevole che...
    Ilya smise di succhiarmelo, e si tolse l’intimo da sotto la gonna dell’uniforme scolastica, calandosi sopra di me. Su e giù, su e giù, mentre le massaggiavo i capezzoli e la baciavo con la lingua.
    Sentii che iniziava a gemere, e sembrava che stesse per venire. Smise di fare su e giù, si alzò e si appoggiò alla parete, mentre iniziavo a penetrarla da dietro, sempre più forte, sempre più velocemente.
    Venne, e sarebbe mancato poco affinchè fossi venuto pure io; perciò si chinò, e iniziò a farmi una sega spagnola. Dio, che seno sodo... poi appoggiò la sua lingua sul glande, e iniziò a leccare, e leccare, e leccare...
    Era così piacevole che non ci volle molto affinchè venni completamente su di lei.
    “Whoa...”
    Ansimammo. Il desiderio ancora non era sparito, ma non potevamo farlo in treno. Non di nuovo.
    Quindi avanzai la proposta: “Che ne pensi se ti facessi compagnia a casa? Sei da sola tanto, no?”
    Il sorriso di Ilya si fece molto grande: “Sicuramente” rispose.
    Ci rivestimmo, scoprendo di essere dalla parte opposta della città...
    “Un altro giro?” mi offrii.
    Ghigno.
     
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