Relitto Savoia Marchetti S.79 ritrovato nel deserto

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    Nell’Aprile 1941 i Savoia Marchetti S.79 della 278° Squadriglia Aerosiluranti sono stanziati a
    Pantelleria ed in Nord Africa. La mattina del 21 Aprile, alla 5a Squadra di stanza a Berka, in
    Cirenaica, perviene la segnalazione della presenza a sud di Creta, di un convoglio costituito
    da circa 30 piroscafi, fortemente scortati. Il Comando ritiene conveniente impiegare gli
    aerosiluranti per una azione offensiva contro le unità nemiche. Vengono convocati i capiequipaggio, con i quali vengono concordate le modalità di attacco. Nell’azione saranno
    impiegati il Cap. Cimolini ed il Ten. Robone.


    Alle 16,40 decolla per primo il Ten. Robone. ( ... ) Il convoglio viene avvistato alle 19,25 . ( ...)
    l Ten. Robone si lancia all’attacco di un piroscafo di 6/8.000 tonn., contro il quale sgancia il
    suo siluro alle 19,28 da una quota di 80 mt. ed una distanza orizzontale dal bersaglio di 800
    mt. Una alta colonna d’acqua si alza in corrispondenza del centro della nave, che sbanda
    subito. Tutto lascia presumere che sia andato a segno. Il bollettino di guerra n.322 del 23
    Aprile attribuisce al Ten. Robone l’affondamento si di un piroscafo da 800 tonn. ( ... ) Il Ten.
    Robone atterra regolarmente sul campo di Berka alle 21,30.


    Da qui, soltanto alle 17,25, è decollato l’S.79 del Capitano Cimolini, con equipaggio: mar. pil.
    Barro, Ten. Vasc. Oss. Franchi, Serg. Magg. Marc. De Luca, 1° Av. Mot. Bozzelli, 1° Av.
    Arm. Romanini. Il velivolo non rientra alla base. Nulla si sa della sua sorte e le ricerche
    effettuate nella zona danno esito negativo . ( ... )
    (Diversi dispacci contenuti negli archivi della AM testimoniano che non si riescono ad avere
    notizie del velivolo – ndr).


    L’aviere Dondi ci trasmette con te sue parole l’ansia e la tristezza per la sorte di questi
    uomini: “Dove saranno a quest’ora? Prigionieri, lo speriamo, oppure sul battellino sperduti
    nell’immensità del mare? La sorte che noi tetti vi auguriamo è quella che caduti prigionieri
    passiate quanto prima dare vostre notizie. Ancor più ci dispiace per il Sergente Maggiore De
    Luca, una dei veterani, reduce da cento e cento battaglie. Povero De Luca, così buono e
    pieno di buonumore! La sorte ti è stata sempre propizia e vogliamo sperare te lo sia tutt’ora..
    Aveva la licenza già firmate in tasca e purtroppo il dovere gli ha imposto questa azione dalla
    quale non ha fatto ritorno. Notizie precise non se ne hanno al riguardo. Ancora oggi i nostri
    aerei da ricognizione e della Croce Rossa perlustrano il mare nella zona dove si presume sia
    accaduto il sinistro, con la speranza di poterli rintracciare”.
    Dovranno trascorrere vent’anni per poter sapere quale era stata la sorte del Cap. Cimolini e
    del suo equipaggio.



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    Il mistero del deserto


    Il 21 luglio 1960 i componenti di sua squadra di lavoro della Soc. CORI Compagnia Ricerche
    Idrocarburi, del Gruppo ENI, impegnati in rilievi geofisici nel deserto libico, rinvengono a
    pochi chilometri dalla pista Gialo-Giarabub i resti di su aviatore italiano.
    È un mistero in che modo quest’uomo possa essere finito nell’interno, a circa 400 Km da
    Bengasi. Nei dintorni non ci sono tracce di un relitto d’aereo. Ma accanto ai poveri resti
    dell’aviatore vengono trovati una bussola, un binocolo, una borraccia, due orologi, una pistola lanciarazzi e un bossolo di cartuccia. Questo sembra dimostrare che lo sventurato, costretto ad atterrare in pieno deserto, si era diretto a piedi verso Nord in cerca di soccorsi, ma le forze lo avevano abbandonato quando era oramai in vista della pista Gialo-Giarabub.
    Ma un altro elemento viene in aiuto di coloro che si impegnano nel dare su nome a quei
    poveri resti trovati in pieno deserto: una chiave con una targhetta metallica recante
    t’indicazione: “S79 MM 23881”.
    Ricerche immediatamente esperite presso il Ministero dell’Aeronautica consentono di
    stabilire che si tratta di un velivolo silurante scomparso nel 1941 durante un’azione. Vengono
    anche individuati i componenti dell’equipaggio. Ma a questo punto il mistero si fa più fitto.
    Come può infatti un uomo dell’equipaggio, partito da Bengasi per una azione sul mare a Sud
    di Creta, essersi venuto a trovare nell’interno del deserto, a 400 Km dalla base di partenza e
    ad oltre 500 Km dalla zona ove era stato segnalato l’obiettivo dell’attacco?
    Trascorrono più di due mesi, ed il 5 Ottobre, a circa 90 Km. A sud del punto in cui sono stati
    rinvenuti i resti dell’aviatore, viene ritrovato il relitto di un S.79. Nonostante vent’anni trascorsi nel deserto, il relitto, protetto dalla sabbia, è in buone condizioni: la tela della fusoliera è stata consumata dal ghibli, ma tutto il resto è intatto, lucido come nuovo. Sulla fusoliera appare ancora evidente il numero di Squadriglia: è 278.


    Nelle vicinanze del relitto vengano trovati resti umani, due berretti, qualche strumento. I poveri resti vengo no recuperati dagli uomini dell’AGIP e consegnati al Consolato italiano di
    Bengasi.
    Nel febbraio dell’anno successive un elicottero dell’AGIP si posa nei pressi del relitto e degli
    esperti Io esaminano attentamente, nell’intento di raccoglierne dati tecnici.
    L’aereo e' atterrato con i carrelli ed i dispostivi di ipersostentazione estratti, e con i motori
    accesi. L’impatto con il terreno è stato duro, tanto che le gambe di forza dei carrelli hanno
    sfondata la superficie superiore dell’ala. I motori si sorso staccati dai castelli e giacciono nella sabbia, le pale delle eliche distorte. La mitragliatrice dorsale è in perfetto stato, i vetri
    della cabina di pilotaggio intatti, e sotto l’ala sono ancora visibili il disco bianco con i tre fasci ed i colori mimetici. All’interno della fusoliera viene individuato il numero di matricola: sono visibili quattro dei cinque numeri. E’ ormai inequivocabile: si tratta del S79 MM 23881 del Cap. Cimolini.


    Una relazione completa viene inoltrata al Ministero dell’Aeronautica. Il 17 aprile del 1981 un
    altro elemento completa il mosaico di questa drammatica vicenda. Nel corso della
    tumulazione della salma recuperata nei pressi della pista Gialo-Giarabub, nella tasca delle
    combinazione di volo, viene rinvenuto il piastrino di riconoscimento: si tratta del 1° av. Arm.
    Giovanni Romanini, componente dell’equipaggio dell’ S79 del Cap. Cimolini.
    Dunque l’aviere Romanini ha marciato per giorni nel deserto, orientandosi con la pesante
    bussola smontata dall’aereo, alla ricerca di una pista a di un qualsiasi punta dove fosse
    possibile chiedere soccorso per i suoi compagni. Oramai stremalo ha lanciato un razzo per
    attirare l’attenzione di qualcuno, ma il destino ha voluto che nessuno ne vedesse la scia
    colorata salire in cielo.
    Ma manca ancora una risposta. Come abbia potuto cimolini addentrarsi nel deserto fino a
    quasi 300 Km da Bengasi. Una accurata indagine ufficiale esclude che lo smarrimento sia
    stata causato da qualche avaria, non avendo il velivolo tracce di colpi, e avendo atterrato con
    tutti i principali organi in efficienza. L‘indagine conclude quindi che l’aereo, dopo aver portato il sua attacco al convoglio nemico, si è spostato verso Sud-Est per evitare di sorvolare
    la base di Tobruk, ancora in mano agli inglesi. Con ogni probabilità ha incontrato venti molto
    forti da Nord-Ovest, che lo hanno portato fuori rotta senza che, a causa del buio, i piloti
    potessero rendersi conta dell’accentuata deriva.

    Giunto al limite dell’autonomia, non è rimasto che l’atterraggio forzato in pieno deserto.
    Questa vicenda ha appassionato per anni tecnici, storici ed aviatori, che si sana staccati per
    dare una risposta a tanti interrogativi. (singolare la analogia con il caso del B-24 “Lady be
    Good”, scomparso nell’Aprile del 1943, e ritrovato nel deserto Cirenaico, 400 miglia più a sud
    della sua base, nel Maggio 1959, 14 anni dopo la sua scomparsa - ndr)
    Uno dei più qualificati tentativi è venuto dal giornalista aeronautica Franco Pagliano, che nel
    suo volume In Cielo e In Terra, edito nel 1969 da Longanesi, dice: “Abbiamo provato a
    tracciare su .me carta il triangolo del vento, calcolandone la velocità in cento chilometri l’ora,
    sulla base di alcuni dati meteorologici rilevati dalle relazioni. La deriva risultante è di tale
    entità che, se non fosse stata adeguatamente corretta, dopo due ore di volo dal punto del
    convoglio, l’aereo, seguendo sulla bussola l’angolo di rotta per Bengasi, si sarebbe trovato a
    centoottanta chilometri a Sud Est di questa località. Chi ha svolto l’attività da quelle parti sa
    che, quando spiravano venti forti, anche se si era pratici dello zona, non si correggeva mai
    abbastanza la deriva e bisognava calcolarla ripetutamente, sia per mancanza di punti di
    riferimento evidenti, sia perché variava molto con la quota.

    Purtroppo l’equipaggio di Cimolini era arrivato in Africa il giorno prima, o probabilmente non conosceva bene lo condizioni ambientali. È probabile che, non avvistando Bengasi, a bordo abbiano ritenuto di essere ancora sul mare, ed abbiano quindi accostato decisamente a sinistra aggravando la già difficile situazione perché, navigando ormai col vento in coda, l’aereo aumentava la sua velocità di allontanamento dalla base. Questa ipotesi, che ci sembrata più attendibile, presuppone però l’inefficienza degli apparecchi radio. Infatti, anche se Bengasi era stata riconquistata solo da diciassette giorni, una stazione campale era certamente in funzione a Berka; quindi l’aereo avrebbe potuto individuare la direzione col radiogoniometro o chiedere di essere radiogoniometrato o informato della sua posizione rispetto a Bengasi.
    Se questo non avvenne è purché l’impianto radio dell’areo ora in avaria. Anche se abbiamo
    appreso che, quando l’impianto è stato recuperato, si presentava in buone condizioni, ci
    sembra impossibile che, dopo vent’anni di deserto, vi fosse la possibilità di accertare se al
    momento dell’atterraggio era efficiente o no.
    L’ipotesi che la radio fosse efficiente e che a bordo siano stati tratti in inganno dalle emissioni
    di un radio-faro inglese situato nella zona di Giarahub è suggestiva, ma ci sembra debba
    essere senz’altro scartata, perché presuppone che nessuno dell’equipaggio abbia tenuto
    conto delle indicazioni della bussola magnetica, il che è assurdo. Questa ipotesi è stata a suo
    tempo formulata soltanto perché la mancanza di dati sicuri o di giustificazioni precise sollecita la fantasia e porta a romanzare anche un errore di rotta, sia pure assunto in circostanze eccezionali…”


    Le sabbie, il cielo o il vento del deserto custodiscono la verità sulla sorte di questo
    equipaggio di giovani aerosiluranti:
    · Cap. pil. di complemento Oscar Cimolini, nato a Trieste d 26/ll/1908;
    · Ten. vascello oss. Franco Franchi, nato a Fiume il 11/10/1912;
    · Mar. pil. Cesare Barro, nato a Conegliano Veneto il 16/5/1914;
    · Serg.Magg. marc. Amorino De Luca, nato a Frascati d 7/2/1915;
    · 1° av. mot. Quintilio Bozzelli, nato a Pistoia il 5/5/1915;
    · 1° av. arm. Giovanni Romanini, nato a S. Paolo (Parma) il 28/10/1916.


    (Fonte:– Orazio Giuffrida - Buscaglia e gli Aerosiluranti – Ed. Stato maggiore dell’Aeronautica, Ufficio Storico, Roma , 1998 – pagine 175-179)



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    Edited by <geniv> - 14/1/2017, 01:23
     
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  2. Twister9
     
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    Bellissmo articolo! :clap:
     
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    Si può essere perduti ma non dimenticati

    Lo Sparviero perduto.

    21 aprile 1941: Campo di K1 Berka, Cirenaica. L’ SM.79 Sparviero MM.23881 della 278a Squadriglia Autonoma Aerosiluranti sta per decollare, sono le 17,25, lo pilota il capitano Oscar Cimolini, è in ritardo rispetto al collega Robone che lo ha preceduto, un inconveniente ai motori lo ha attardato, la destinazione è a sud di Creta dove la nostra ricognizione marittima ha avvistato un convoglio.

    Il tempo non favorisce l’azione, c’è un fortissimo vento da nord-ovest e la visibilità è scarsa per un densa foschia e per una nuvolosità diffusa. Il Ten. Robone avvista il convoglio e attacca (il bollettino di guerra n. 322 del 23 aprile 1941 gli attribuisce l’affondamento di un piroscafo di 8000 t.) , dopo aver sganciato il siluro ed effettuato il disimpegno dal nutrito fuoco di contraerea di cui era fatto oggetto riferisce nel suo rapporto di aver visto vampe di cannoni e traccianti che solcavano l’orizzonte in direzione del convoglio. Anche Cimolini era arrivato sull’obiettivo.

    L’MM.23881 non rientrerà alla base.

    Scattano le ricerche nel tratto di mare interessato ma il capitano Oscar Cimolini e il suo equipaggio, composto dal Tenente di Vascello osservatore Franco Franchi, dal maresciallo pilota Cesare Barro, dal sergente maggiore marconista Amorino De Luca, dal primo aviere motorista Quintilio Jozzelli, e dal primo aviere armiere Gianni Romanini, non vengono ritrovati.

    21 luglio 1960: Libia. Il geologo Gianluca Desio, figlio del noto esploratore Ardito Desio, il topografo Eugenio Vacirca e la guida zuela Amed Rahil, dipendenti della CORI (Agip) nell’ambito di rilievi per ricerche petrolifere, lungo la carovaniera e pista militare che congiunge l’oasi di Gialo a quella di Giarabub, teatro di eroiche gesta dei nostri soldati, rinvengono ai piedi di una duna in pieno erg, la salma semisepolta di un aviatore italiano.

    “Il corpo, ridotto a uno scheletro e con quanto restava della tuta di volo, giaceva supino, senza documenti, con addosso o vicino, un binocolo militare, due orologi, una pistola Very con almeno un colpo esploso, una borraccia di alluminio da mezzo litro vuota, una bussola da aereo funzionante, un casco di pelle, un cacciavite, alcuni frammenti di giornali italiani e tedeschi, un mazzo di chiavi e una chiave della portiera dell’aereo col numero di matricola “S-79-MF 23881, cert. 263, data di collaudo…”

    Interpellata prontamente l’Aeronautica Militare tramite il consolato, comunicata la matricola giunge una sorprendente risposta: i dati corrispondono ad un aereo scomparso a sud di Creta a circa 500 km di distanza. 5 ottobre 1960: un’altra squadra della Fondazione Lerici, che sta svolgendo un rilievo geofisico per conto della CORI, trova a sud-est di Gialo, a circa novanta chilometri a sud del punto nel quale il 21 luglio erano stati rinvenuti i resti dell’aviatore, il relitto di un trimotore SM.79.

    Per quanto l’aereo fosse rimasto nel deserto per circa vent’anni, era stato protetto dalla sabbia che lo ricopriva parzialmente e sulla sua fusoliera era ancora chiaramente visibile il numero 278 che stabiliva senza alcuna possibilità di dubbio la sua appartenenza alla 278a squadriglia. Si trovano sul posto le ossa di due morti fuori dall’aereo e probabilmente di uno all’interno. 7 aprile 1961: un nuovo elemento, questa volta definitivo, va ad aggiungersi a quelli già noti e a completare il mosaico della misteriosa e drammatica vicenda. In quella data, infatti, il console d’Italia comunicò a Roma che, nel procedere alla tumulazione della salma recuperata a sud della pista di Gialo, nella tasca interna del giubbotto di volo era stato rinvenuto un piastrino di riconoscimento recante inciso il nome di Romanini Giovanni, completato dalle generalità e dall’indicazione del distretto militare di origine.

    Ma come era potuto arrivare lì lo Sparviero che partito per una missione che doveva svolgersi a sud di Creta, ben quattrocentonovanta chilometri di distanza dalla base di Bengasi da dove era partito e dove avrebbe dovuto rientrare e a cinquecentonovanta chilometri dal convoglio che doveva attaccare?

    Per non dimenticare i nostri aviatori perduti e ricordare l’eroismo di Gianni Romanini che compì un’impresa al limite dell’impossibile, percorrendo e sprofondando nell’ insidiosa sabbia caratteristica del luogo, in uno dei più caldi deserti del mondo, molto oltre dei 90 km in linea d’aria che separavano il suo aereo dal luogo del ritrovamento del suo corpo, cosa che risulterebbe quasi impossibile perfino per i nostri odierni super allenati atleti partecipanti alle moderne “Marathon des Sables”, è in uscita il libro che ripercorre in maniera dettagliata l’intera vicenda.
     
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