MANZONI!!DAGLI ATRI MUSCOSI. CORO ATTO III ADELCHI

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  1. pici89
     
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    HO URGENTE BISOGNO DEL RIASSUNTO O PARAFRASI DEL CORO ATTO III DI ADELCHI "DAGLI ATRI MUSCOSI" INIZIA CON :dagli atri muscosi, dai fori cadenti..... FINISCE CON: d'un volgo dipperso che nome non ha.
    E' URGENTE.GRAZIE :unsure:
     
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  2. uno
     
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    http://geniv.forumcommunity.net/?t=6684144

    Riassunto Adelchi

    Compiuto Il conte di Carmagnola, dopo un esperimento con l’Ataulfo ambientato nella Gallia meridionale, Manzoni iniziò nel 1820 una nuova tragedia, l’Adelchi, che pubblicò a Milano nel 1822. Come Il Carmagnola, è in cinque atti e in endecasillabi. E’ preceduta da Notizie storiche, nelle quali Manzoni chiarisce le sue libertà poetiche nei confronti della verità storica. Afferma inoltre che interamente da lui creato è il protagonista, Adelchi. L’opera fu rappresentata a Torino nel 1843, dunque molti anni dopo la sua pubblicazione e, come afferma Vittorio Bersezio, si salvò a stento, grazie alla bravura degli attori e alla notorietà di cui Manzoni godeva. L’Adelchi è più adatto come lettura che per la scena.

    Rappresenta l’ultimo atto della storia longobarda in Italia settentrionale, una storia che Manzoni interpreta e chiarisce in un’altra premessa all’opera, il Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia. In questo saggio Manzoni, contrariamente a quanto affermava la critica storica, sostiene che i Longobardi, in due secoli di dominazione, non si erano fusi con gli Italici che continuavano a considerarli quali erano, cioè oppressori crudeli e spietati. Il primitivo intento di Manzoni, di vedere in Adelchi un possibile unificatore dell’Italia, muta sostanzialmente nella tragedia.

    La vicenda ha una durata storica di tre anni e ha inizio nella reggia di Pavia, dove sono Desiderio re dei Longobardi e suo figlio Adelchi, associato al regno. Lo scudiero Vermondo annuncia la venuta di Ermengarda che il marito Carlo ha ripudiata. Questo è l’antefatto: i due figli di Pipino, Carlo Magno e Carlomanno, avevano sposato le due figlie di Desiderio, Ermengarda e Gerberga. Morto Carlomanno, il primogenito, a cui toccava il regno secondo la legge dei Franchi Salii, la moglie e i due figlioletti, di cui Carlo era tutore in attesa che salissero legittimamente al trono, furono da questo rimandati a Desiderio. Carlo si impadronì del regno, quindi ripudiò la moglie Ermengarda e sposò Ildegarde.

    All’inizio della tragedia Desiderio, che ha già occupato alcuni territori del papa, vorrebbe costringerlo ad ungere re dei Franchi i suoi nipoti, mentre Adelchi preferirebbe fare pace con il pontefice ed evitare la guerra con i Franchi. Carlo è in Val di Susa e, non riuscendo a trovare un passaggio per il suo esercito, si accinge a tornare indietro. Aveva deciso di venire in Italia, chiamato dal papa Adriano I contro i Longobardi. Giunge da Carlo il diacono Martino che indica un passaggio segreto, per il quale una parte dell’esercito franco potrà passare inosservata e prendere alle spalle i Longobardi. Alcuni duchi longobardi intanto, in casa di un oscuro soldato, meditano di tradire Desiderio e di accordarsi con Carlo. Nello scontro decisivo i Longobardi sono sconfitti. Ermengarda muore delirando nel convento di S. Salvatore a Brescia, di cui è badessa sua sorella Ansberga. Desiderio, tradito da uno dei suoi, è prigioniero di Carlo. Adelchi, trafitto a morte, catturato e poi condotto alla tenda dove è rinchiuso il padre, lo conforta della comune sventura, indicandogli quel Regno dei Cieli, al quale non aprono le porte onori e potenza sulla terra. Egli afferma che amara legge della storia è fare il torto o subirlo. Aldilà di questa legge è solo pace nella volontà di Dio.

    La tragedia presenta personaggi psicologicamente ben definiti e ricchi di sfumature. Da un lato sono i potenti, accecati dalle passioni, dal desiderio di vendetta (Desiderio) e dalla brama di potere (Carlo); dall’altra gli uomini dal grande animo, come Adelchi, che riconosce di non avere alcun diritto sull’Italia: ma egli deve combattere per conservare il dominio, come longobardo e re. Altrettanto ben delineato è il personaggio di Ermengarda, nel cui animo, nell’ora della morte, si aggrovigliano il ricordo di gioie passate, la sofferenza per l’offesa fattale dal marito e un bisogno di pace. Ella morirà come vittima innocente che paga le colpe della sua gente. Altri personaggi costituiscono la massa degli umili, cioè di coloro che subiscono dolorosamente gli eventi voluti dai grandi. Tra questi si distingue Anfrido, lo scudiero di Adelchi, fedele incondizionatamente al proprio signore fino al sacrificio. La tragedia ha due Cori. Il primo

    Dagli atri muscosi, dai fori cadenti

    presenta gli Italici che si illudono di raggiungere con un nuovo Signore la libertà soffocata dai Longobardi e non si rendono conto che, accordatisi Longobardi e Franchi, si ritroveranno soggetti a due padroni. Un popolo _è questa la tesi di Manzoni _non può ricevere la libertà da altri: il riscatto è solo nella difesa della propria dignità e nell’impegno ad affermarla. Il secondo coro

    Sparsa le trecce morbide

    rappresenta il travaglio di Ermengarda agonizzante ed espone con estrema chiarezza la concezione manzoniana della provvida Sventura.

    Te collocò la provvida

    sventura in fra gli oppressi
     
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  3. pici89
     
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    grazie dell'aiuto,però avrei bisogno di qualcosa di più dettagliato solo sul coro "dagli atrii musscosi", più precisamente devo rispondere a queste domande: 1-riassumere le due macrosequenze (vv. 1-30; 31-66) che lo compongono. 2- per manzoni i cori costituiscono il momento di intervento del poeta che, sospendendo la narrazione, esprime le proprie opinioni: a- in quali strofe questo intervento è più evidente e quali espressioni lo rivelano maggiormente? b- qual'è il nucleo del messaggio manzoniano? 3- in quali versi emerge e in che modo viene espressa la partecipazione del poeta anche nei confronti dei popoli dominatori? 4-individua lo schema metrico e difinisci i più significativi strumenti retorici e lessicali di cui il poeta si avvale per conferire meggior efficacia al testo. 5- la visione della storia che emerge dal coro puù, complessivamente, essere definita pessimistica?
     
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  4. ||max||
     
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    http://geniv.forumcommunity.net/?t=9925439

    GLI ADELCHI
    Coro dell'atto III

    Dagli atri ricoperti di muschio, dai Fori in rovina,
    dai boschi, dalle officine riarse stridenti,
    dai campi coltivati dagli schiavi,
    un popolo disperso si sveglia improvvisamente;
    tende l'orecchio, solleva la testa 5
    colpito da uno strano rumore crescente.
    Il coro si apre con una considerazione amara da parte del Manzoni sulla degradazione del popolo latino. Il Foro, simbolo della civiltà romana, è ormai in rovina, così come le officine dove un tempo si forgiavano le armi. Il popolo latino viene definito dal poeta come un "volgo disperso", perché non ha più nessuna consapevolezza della grandezza civile e militare degli antenati; esso è solamente un popolo schiavo, ben lontano dal riconoscere il rumore dell'appressarsi della guerra, mentre per i romani era così familiare.

    Dagli sguardi dubbiosi, dai volti impauriti,
    quale raggio di sole traluce da folte nuvole,
    che rivela la fiera virtù dei padri:
    negli sguardi, nei volti confusi ed incerti 10
    si mescolano e si contrastano l'umiliazione della schiavitù
    con il misero orgoglio di un tempo ormai andato.
    Il ritratto dei latini rivela un popolo che ha ormai perso la propria identità e le proprie radici. L'umiliazione della schiavitù contrasta con un orgoglio di una grandezza ormai passata, e per questo inutile e senza senso. Da qui emerge un accenno polemico nei confronti dei classicisti, che cercavano di far rivivere qualcosa che si allontana di molto dal presente.

    Il volgo si raduna voglioso di libertà, si disperde impaurito,
    per sentieri tortuosi, con passo incerto,
    fra il timore degli antichi padroni e il desiderio della loro sconfitta, avanza e si ferma di nuovo;15
    e sogguarda e fissa la turba dispersa scoraggiata e confusa
    dei crudeli signori,
    che fugge dalle spade dei Franchi, che non si fermano mai.
    L'atteggiamento del volgo è incerto: si alternano in esso attimi in cui si desidera la libertà, succeduti dal timore nei confronti degli antichi padroni. Davanti ai loro occhi la folla dei signori Longobardi che fuggono, definita una "turba", ovvero un mucchio di persone senza anima. I "torti sentieri" stanno ad indicare l'incuria e lo stato di inciviltà al quale si è ridotta la società, in contrapposizione con le grandi strade costruite dai romani.

    Il volgo li vede agitati, come fiere tremanti,
    le rossastre criniere dritte per la paura, 20
    che cercano i noti nascondigli;
    e qui, messo da parte l'usuale atteggiamento minaccioso,
    le donne superbe, con il viso pallido,
    guardano pensose i figli pensosi.
    I padroni Longobardi vengono paragonati a delle fiere braccate, che per la paura sembrano avere i loro caratteristici capelli rossastri dritti. L'agitazione pervade anche l'animo delle donne, che abbandonano l'atteggiamento da padrone e guardano preoccupate i propri figli, pensando al loro destino.

    E appresso ai fuggitivi, con la spada desiderosa di sangue, 25
    come cani da caccia sciolti, correndo, frugando,
    da destra e da sinistra, arrivano i guerrieri:
    il volgo li vede, e estasiato da una contentezza mai provata,
    con la galoppante speranza che precorre l'evento,
    e sogna la fine della dura schiavitù.
    La fuga dei padroni e l'arrivo dei guerrieri longobardi viene paragonata ad una scena di caccia, di fronte alla quale il popolo sogna la liberazione da parte dei soldati stranieri. Da qui comincia ad emergere il pensiero del poeta, finora rimasto estraneo: il sogno è appunto una fantasticheria che non ha nulla a che vedere con la realtà. Si preannuncia dunque l'esito della battaglia per il volgo, che spera in qualcosa che il Manzoni nei versi successivi dimostra come non sia realizzabile.

    Udite! Quei soldati Franchi sul campo di battaglia,
    che impediscono la fuga dei vostri tiranni,
    sono giunti da lontano, attraverso aspri sentieri:
    hanno rinunciato alle gioie dei pranzi festosi,
    si alzarono in fretta dai dolci riposi 35
    immediatamente chiamati dalle trombe della guerra.
    Da questo punto in poi si apre la riflessione del Manzoni sulle infondate speranze di libertà del volgo. Il popolo Franco per giungere in Italia ha rinunciato alla tranquillità del proprio ambiente familiare.

    Lasciarono nelle stanze della casa in cui nacquero
    le donne preoccupate, che ripetutamente davano loro l'addio,
    con preghiere e consigli interrotti dal pianto:
    sulla fronte hanno gli elmi delle passate battaglie, 40
    hanno posto le selle sugli scuri cavalli,
    corsero sul ponte che risuonava cupamente.
    Il poeta prosegue parlando della partenza dei soldati Franchi, delle loro donne preoccupate. L'ultimo verso descrive una tipica immagine medievale: il ponte levatoio che si abbassa per lasciar uscire i soldati dal castello.

    A schiere, passarono di terra in terra,
    cantando gioiose canzoni di guerra,
    ma con l'animo rivolto ai dolci castelli: 45
    per valli petrose, per dirupi,
    montarono la guardia durante le gelide notti,
    ricordando i fiduciosi colloqui d'amore.
    Il tragitto per l'Italia è stato faticoso per i soldati stranieri, nonostante vi sia in loro la gioia di accingersi a combattere per la vittoria. Tutto ciò serve per dimostrare che un esercito non viene da così lontano, attraverso tragitti impervi, per ridare la libertà ad un popolo straniero.

    Sopportarono gli oscuri pericoli di soste forzate,
    le corse affannose attraverso luoghi mai attraversati, 50
    il rigido comando militare, la fame;
    videro le lance scagliate contro i petti,
    accanto agli scudi, rasente agli elmetti,
    udirono il fischio delle frecce che volavano.
    In questi versi il poeta continua ad elencare i pericoli affrontati dai Franchi nella discesa in Italia.

    E il premio sperato, promesso a quei soldati, 55
    sarebbe, o delusi, capovolgere le sorti,
    porre fine al dolore di un volgo straniero?
    Tornate alle vostre superbe rovine,
    alle attività pacifiche delle officine riarse, 60
    ai campi bagnati dal sudore servile.
    Manzoni si rivolge al volgo, destinato a rimanere deluso, poiché non verrà liberato da un popolo partito con l'intento di assoggettarlo. Dovrà dunque tornare schiavitù di sempre.

    Il forte si mescola col nemico sconfitto,
    anche con il nuovo signore rimane la vecchia situazione;
    sia l'uno che l'altro popolo vi rendono schiavi.
    Si spartiscono i servi, gli armenti;
    giacciono insieme sui campi di battaglia 65
    di un volgo disperso senza nome.

    Analisi del testo
    • INTERESSE PER IL POPOLO: Nonostante il genere tragico imponga la trattazione esclusiva dei grandi della storia, nel coro il Manzoni mostra la vicenda dal punto di vista del popolo. Questo perché lo spirito evangelico spinge il Manzoni a parlare degli umili, delle sue condizioni di vita, che la storia ufficiale ignora. Inoltre, la visone borghese della realtà rifiutava la letteratura eroica tipica dell'aristocrazia e del classicismo, preferendo una letteratura che trattasse le vicende della gente comune.
    • LA POESIA STORICA: Il coro è un esempio di poesia storica, la quale ricostruisce, sulla base di documenti, i sentimenti di grandi collettività.
    IL MESSAGGIO POLITICO: La trattazione di vicende del passato permette a Manzoni di inviare ai contemporanei un messaggio attualissimo: non contare sulle forze straniere per la liberazione nazionale.

    ----------------------------------------------------

    GLI ADELCHI
    Coro dell'atto III

    Le morbide trecce giacciono sparse
    sul petto pieno di affanno,
    le mani abbandonate, e il volto pallido
    imperlato dal sudore della morte,
    la pia giace, con lo sguardo 5
    tremolante cerca la luce.
    Nei primi versi Manzoni ricostruisce l'immagine di Ermengarda durante gli ultimi respiri che la separano dalla morte. Ad ella attribuisce l'aggettivo "pia", che fa riferimento all'umiltà e alla semplicità della donna.

    Termina il compianto delle suore: unanime
    si innalza una preghiera:
    calata sulla gelida
    fronte, una mano leggera 10
    chiude gli occhi
    sulla pupilla azzurra.
    La morte è ormai giunta, e, ora che la speranza è finita, le suore non possono far altro che pregare. Gli occhi azzurri (segno della stirpe longobarda) della donna vengono chiusi da una mano, che metaforicamente rappresenta la mano di Dio.

    Libera, o nobile, dall'animo
    angosciato le passioni terrene,
    offri un candido pensiero 15
    a Dio, e muori:
    oltre la vita vi è la meta
    del tuo lungo martirio.
    A questo punto il poeta sembra intervenire nell'ultimo atto di consapevolezza della donna prima della morte. Si riconferma ancora una volta la concezione del Manzoni secondo la quale le passioni terrene si rivelano inutili di fronte all'eternità di Dio. Così vorrebbe che Ermengarda morisse liberando il suo animo da tali angosce e che si abbandonasse al raggiungimento di una meta ultraterrena che darà significato al suo martirio.
    Questo era l'immodificabile destino
    sulla terra dell'infelice: 20
    di chiedere sempre un oblio
    che le sarà negato;
    e ascendere al Dio dei santi,
    lei santa a causa del suo dolore.
    Il destino della donna, quando era in vita, era di non riuscire a dimenticare ciò che era stato causa del suo dolore. Ma proprio grazie a queste sofferenze, di tipo sentimentale, ella può arrivare in Paradiso.

    Ahi! nelle notti insonni, 25
    per chiostri solitari,
    tra il canto delle suore,
    agli altari dove rivolgeva le sue suppliche,
    gli irrevocabili giorni
    le tornavano sempre in mente; 30
    In questi versi il poeta torna ad un'immagine del passato recente di Ermengarda, ovvero quando ella è rinchiusa in un convento di Brescia in seguito al ripudio. Nonostante lì cerchi di soffocare il ricordo dei giorni felici del matrimonio, riaffiorano ossessivamente in tutti i momenti del giorno e in tutti i luoghi. Inizia poi il flashback dei momenti passati quando ancora era moglie di Carlo Magno.

    quando ancora amata da Carlo, senza prevedere
    un avvenire in cui l'avrebbe ingannata,
    estasiata respirò l'aria
    vivificatrice della terra francese,
    e se ne andò invidiata 35
    tra le altre spose francesi:

    quando da un piano rialzato,
    la bionda criniera adorna di gemme,
    vedeva sotto uomini e cani correre
    impegnati nella caccia, 40
    e sulle redini sciolte del cavallo
    il re dalle lunghe chiome;

    e dietro di lui la furia
    dei cavalli fumanti per la corsa,
    e lo sbandare, e il rapido 45
    ritornare dei cani ansanti;
    e dai cespugli frugati
    uscire il cinghiale spaurito;

    e la polvere calpestata
    rigarsi di sangue, colpito 50
    dalla freccia del re: la tenera donna
    volgeva immediatamente il volto verso le ancelle,
    pallida di paura.

    Oh Mosa errante! oh tiepidi 55
    bagni di Aquisgrana!
    dove, deposta la maglia
    di ferro, il sovrano guerriero
    scendeva a lavarsi
    dal nobile sudore del campo! 60
    Questi momenti descrivono scene tipiche della corte medievale: la caccia, e il ritorno del re dalla guerra.

    Come rugiada al cespo
    d'erba secca,
    fresca ridà la vita
    negli steli riarsi,
    che risorgono verdi 65
    alla mite temperatura dell'alba;

    così al pensiero, sconvolto
    dalla potenza empia dell'amore,
    va incontro il refrigerio
    di una parola amica, 70
    e il cuore si dirige verso le placide
    gioie di un altro amore.
    Negli ultimi dieci versi vi è la prima parte di una similitudine in cui il sollievo che porta la rugiada nell'erba secca è paragonato alle parole delle monache, che distolgono Ermengarda dai suoi pensieri e li indirizzano verso l'amore divino. La potenza dell'amore è definita "empia" perché non ha pietà della sua fragilità e la sconvolge.

    Ma come il sole che sorge
    sale sull'erba infuocata,
    e con la sua vampa continua 75
    incendia l'aria immobile,
    abbatte al suolo
    i gracili steli appena risorti;

    così velocemente dalla breve
    dimenticanza torna l'immortale 80
    amore sopito, e assale
    l'anima impaurita,
    e le immagine temporaneamente distolte
    richiama al noto dolore.
    Nella seconda parte della metafora, il ritorno di Ermengarda ai pensieri dolorosi per un attimo messi da parte, è paragonato al ritorno degli steli d'erba allo stato di siccità, a causa del sorgere del sole. La notte dunque, di limitata durata, è assimilata al breve oblio.

    Libera, o nobile, dall'animo 85
    angosciato le passioni terrene;
    offri un candido pensiero
    a Dio, e muori:
    nel suolo che deve ricoprire
    la tua giovane spoglia, 90
    In questi versi si riprende quanto detto nella terza strofa, e ripropongono il motivo della liberazione dal tormento che è possibile solo nella morte.

    dormono altre infelici,
    consumate dal dolore; spose private dei mariti
    dalla spada dei nemici, e vergini
    fidanzate invano
    madri che videro i figli 95
    uccisi impallidire.

    Te discesa dalla colpevole stirpe
    degli oppressori,
    prodi solo perché numerosi,
    che conoscevano solo l'offesa, 100
    la legge del sangue, e la gloria
    di non aver pietà,

    la provvidenziale sventura
    ti collocò tra gli oppressi:
    muori compianta e tranquilla; 105
    muori con i Latini.
    Nessuno insulterà
    le ceneri prive di colpa.
    La sventura provvidenziale è un tema che ricorre anche nei Promessi Sposi; in questo caso consente ad Ermengarda di raggiungere Dio, poiché la sventura l'ha collocata tra gli oppressi.

    Muori; e ritrovi la pace
    la faccia senza vita; 110
    come era allora che non poteva prevedere
    di un avvenire ingannevole,
    rifletteva solo i pensieri
    sereni di una vergine. Così
    dalle nuvole squarciate 115
    si libera il sole al tramonto,
    e, dietro il monte, imporpora
    con luce tremolante l'occidente:
    al pio contadino rappresenta un augurio
    di un giorno più sereno. 120
    Quest'ultima strofa riprende il motivo della speranza in un riscatto ultraterreno, in cui il cielo rappresenta una promessa di pace e serenità.

    Analisi del testo
    • SUCCESSIONE DEI PIANI TEMPORALI:
    presente (morte)  passato recente (monastero) passato lontano (matrimonio)
    • PERSONAGGIO DI ERMENGARDA: ella è il "doppio" femminile degli Adelchi. La sua fragile anima pura è succube della brutalità del mondo. Ermengarda è la tipica figura romantica della donna angelo, che rivolge le sue passioni ad un amore coniugale, quindi lecito e casto.
    • IL RICORDO DEL MARITO: nella memoria di Ermengarda le immagini del marito sono legate a scene di violenza e di sangue, proprio perché il suo è un amore impietoso che la sconvolge.
    • LA MORTE: come per Adelchi, la morte è l'unica soluzione al suo conflitto con la realtà. Ella è ansiosa di trovare nel cielo la liberazione ai suoi tormenti.
    LA POESIA EPICO-DRAMMATICA: è un'innovazione rispetto alla tradizione poetica italiana. Si fonda sulla costruzione dei personaggi, sull'analisi di "individualità oggettivate", mette in scena conflitti drammatici.

    Edited by uno - 28/11/2007, 23:10
     
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    CITAZIONE (uno @ 27/11/2007, 19:32) 
    http://geniv.forumcommunity.net/?t=6684144

    Riassunto Adelchi

    Compiuto Il conte di Carmagnola, dopo un esperimento con l’Ataulfo ambientato nella Gallia meridionale, Manzoni iniziò nel 1820 una nuova tragedia, l’Adelchi, che pubblicò a Milano nel 1822. Come Il Carmagnola, è in cinque atti e in endecasillabi. E’ preceduta da Notizie storiche, nelle quali Manzoni chiarisce le sue libertà poetiche nei confronti della verità storica. Afferma inoltre che interamente da lui creato è il protagonista, Adelchi. L’opera fu rappresentata a Torino nel 1843, dunque molti anni dopo la sua pubblicazione e, come afferma Vittorio Bersezio, si salvò a stento, grazie alla bravura degli attori e alla notorietà di cui Manzoni godeva. L’Adelchi è più adatto come lettura che per la scena.

    Rappresenta l’ultimo atto della storia longobarda in Italia settentrionale, una storia che Manzoni interpreta e chiarisce in un’altra premessa all’opera, il Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia. In questo saggio Manzoni, contrariamente a quanto affermava la critica storica, sostiene che i Longobardi, in due secoli di dominazione, non si erano fusi con gli Italici che continuavano a considerarli quali erano, cioè oppressori crudeli e spietati. Il primitivo intento di Manzoni, di vedere in Adelchi un possibile unificatore dell’Italia, muta sostanzialmente nella tragedia.

    La vicenda ha una durata storica di tre anni e ha inizio nella reggia di Pavia, dove sono Desiderio re dei Longobardi e suo figlio Adelchi, associato al regno. Lo scudiero Vermondo annuncia la venuta di Ermengarda che il marito Carlo ha ripudiata. Questo è l’antefatto: i due figli di Pipino, Carlo Magno e Carlomanno, avevano sposato le due figlie di Desiderio, Ermengarda e Gerberga. Morto Carlomanno, il primogenito, a cui toccava il regno secondo la legge dei Franchi Salii, la moglie e i due figlioletti, di cui Carlo era tutore in attesa che salissero legittimamente al trono, furono da questo rimandati a Desiderio. Carlo si impadronì del regno, quindi ripudiò la moglie Ermengarda e sposò Ildegarde.

    All’inizio della tragedia Desiderio, che ha già occupato alcuni territori del papa, vorrebbe costringerlo ad ungere re dei Franchi i suoi nipoti, mentre Adelchi preferirebbe fare pace con il pontefice ed evitare la guerra con i Franchi. Carlo è in Val di Susa e, non riuscendo a trovare un passaggio per il suo esercito, si accinge a tornare indietro. Aveva deciso di venire in Italia, chiamato dal papa Adriano I contro i Longobardi. Giunge da Carlo il diacono Martino che indica un passaggio segreto, per il quale una parte dell’esercito franco potrà passare inosservata e prendere alle spalle i Longobardi. Alcuni duchi longobardi intanto, in casa di un oscuro soldato, meditano di tradire Desiderio e di accordarsi con Carlo. Nello scontro decisivo i Longobardi sono sconfitti. Ermengarda muore delirando nel convento di S. Salvatore a Brescia, di cui è badessa sua sorella Ansberga. Desiderio, tradito da uno dei suoi, è prigioniero di Carlo. Adelchi, trafitto a morte, catturato e poi condotto alla tenda dove è rinchiuso il padre, lo conforta della comune sventura, indicandogli quel Regno dei Cieli, al quale non aprono le porte onori e potenza sulla terra. Egli afferma che amara legge della storia è fare il torto o subirlo. Aldilà di questa legge è solo pace nella volontà di Dio.

    La tragedia presenta personaggi psicologicamente ben definiti e ricchi di sfumature. Da un lato sono i potenti, accecati dalle passioni, dal desiderio di vendetta (Desiderio) e dalla brama di potere (Carlo); dall’altra gli uomini dal grande animo, come Adelchi, che riconosce di non avere alcun diritto sull’Italia: ma egli deve combattere per conservare il dominio, come longobardo e re. Altrettanto ben delineato è il personaggio di Ermengarda, nel cui animo, nell’ora della morte, si aggrovigliano il ricordo di gioie passate, la sofferenza per l’offesa fattale dal marito e un bisogno di pace. Ella morirà come vittima innocente che paga le colpe della sua gente. Altri personaggi costituiscono la massa degli umili, cioè di coloro che subiscono dolorosamente gli eventi voluti dai grandi. Tra questi si distingue Anfrido, lo scudiero di Adelchi, fedele incondizionatamente al proprio signore fino al sacrificio. La tragedia ha due Cori. Il primo

    Dagli atri muscosi, dai fori cadenti

    presenta gli Italici che si illudono di raggiungere con un nuovo Signore la libertà soffocata dai Longobardi e non si rendono conto che, accordatisi Longobardi e Franchi, si ritroveranno soggetti a due padroni. Un popolo _è questa la tesi di Manzoni _non può ricevere la libertà da altri: il riscatto è solo nella difesa della propria dignità e nell’impegno ad affermarla. Il secondo coro

    Sparsa le trecce morbide

    rappresenta il travaglio di Ermengarda agonizzante ed espone con estrema chiarezza la concezione manzoniana della provvida Sventura.

    Te collocò la provvida

    sventura in fra gli oppressi
     
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  6. Mirò1
     
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    mi avete salvato era introvabile sta parafrasi
     
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  7. mattia15
     
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